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E poi?

Come prima cosa, doveva arrivarci.

Lizzie fissò il ponte e quindi il cielo. Mancavano più o meno tre ore al tramonto: avrebbe potuto attraversare protetta dall’imbrunire e nascondersi dall’altra parte. Il ponte offriva scarsa copertura. Era stretto, non più di tre metri di larghezza, e non mostrava sporgenze o supporti visibili. Ma come stava in piedi? Probabilmente nello stesso modo in cui si era retta la ferrovia a gravità. La fisica e l’ingegneria non avevano mai interessato troppo Lizzie. Però avrebbe potuto raccogliere tutte le informazioni possibili prima di attraversare.

L’Hudson scintillava brillante nella luce del sole. Presso il fiume, mezzo nascosto da un’alzaia, Lizzie trovò una chiazza di terreno erboso. Bevve dall’Hudson, disattivò lo scudo e si spogliò. Mentre giaceva a terra per alimentarsi, sollevava la testa ogni pochi secondi per essere sicura che non si avvicinasse nessuno. Il sole dava una gradevole sensazione sulla pelle nuda, ma lei non riuscì a goderne. Non appena la sua chimica Cambiata le segnalò sazietà, balzò in piedi, si vestì e riattivò lo scudo personale. Quindi si mise al lavoro col computer. Al tramonto sapeva tutto quanto c’era nella biblioteca di cristallo sul Ponte a Traliccio della Ferrovia a Gravità Governatore Samantha Deborah Velez.

All’estremità orientale del ponte, nascosta nella profonda ombra di un edificio, Lizzie rimase ad ascoltare con estrema attenzione. Un’ora prima aveva sentito delle persone iniziare ad attraversare il ponte. In quel momento, tuttavia, non c’era nessuno in vista, e tutto quello che riusciva a sentire era il grido di gabbiani che turbinavano e il lambire del fiume contro le sponde. Si mise carponi e cominciò a strisciare sul ponte, presentando la sagoma più piccola possibile.

Il ponte era lungo 2,369 chilometri.

L’oscurità era calata prima di quanto Lizzie avesse previsto. Il buio rappresentava ovviamente una copertura, ma lei aveva paura di strisciare attraverso il ponte non illuminato. Non tanto di cadere, quanto… di cosa? Aveva soltanto paura e basta. Di tutto.

No, non ne aveva. Lei era Lizzie Francy, il miglior pirata informatico del paese, l’unica Viva ad avere osato riprendere parte del potere politico dai Muli. Non avrebbe avuto paura. Soltanto le persone come sua madre avevano paura di tutto, anche prima del neurofarmaco.

"Resta a casa, piccola, al tuo posto, tu." Di nuovo la voce di Annie. Dio, sarebbe stata felice quando fosse stata troppo vecchia per sentire nella testa la voce di sua madre. Quanti anni avrebbe dovuto avere? Forse addirittura trenta?

Poi udì qualcos’altro. Persone che attraversavano il ponte arrivando dalla parte di Manhattan.

Lizzie strisciò in avanti ancora più in fretta. Ormai riusciva a vedere la luce che portavano, una forte torcia a energia-Y che ballonzolava in lontananza. Quanto lontano? Il vento soffiava contro di lei: portava le loro risate. Risate maschili.

Doveva essere lì vicino, "vicino": era passato un po’ di tempo da quando aveva sentito l’ultimo…

Lo sentì al tatto nell’oscurità, il piccolo dosso scuro al margine del ponte, studiato per essere utilizzato durante le riparazioni. I tecnici vi agganciavano i fluttuanti, quindi attivavano lo scudo di energia che aumentava momentaneamente l’ampiezza del ponte per godere di maggiore possibilità di manovra. Gli scudi potevano sostenere parecchie tonnellate di equipaggiamento, se necessario. Potevano anche piegarsi a ogni angolazione desiderata. Lizzie ne aveva letto nella biblioteca di cristallo: ma non conosceva i codici di attivazione. Non aveva osato aprire un collegamento satellitare per cercare di carpire l’informazione dai data base dell’azienda della ferrovia a gravità.

Ormai non aveva alcuna possibilità di scelta.

— Attivare sistema — sussurrò. — Oh, Dio, "attivare sistema". Volume minimo.

— Terminale attivato — sussurrò il computer.

Lavorò in fretta, mormorò febbrilmente al terminale, controllò la luce della torcia più avanti. Sembrava essersi fermata. Voci occasionali di cui non distingueva le parole le soffiavano contro portate dal vento. Voci alterate, una discussione. Bene. Che litigassero pure, che si picchiassero, che si buttassero giù dal ponte. E se avessero buttato lei giù dal ponte? Non sapeva nuotare.

"Resta a casa, piccola, al tuo posto, tu."

— Traccia 74, codice J — tentò Lizzie. "Dai, dai." Doveva trattarsi di un codice semplice. Forse perfino di tipo industriale, standard, facile da ricordare per tutti i tecnici turnisti delle squadre. Non doveva presentare troppi fattori contingenti né cambiamenti automatici: sarebbero stati di intralcio in caso di un’emergenza. Doveva essere semplice, non troppo segreto…

Eccolo.

La torcia si muoveva nuovamente in avanti. Lizzie afferrò il terminale e lo zaino. Appoggiò una mano sul dosso scuro e pronunciò il codice. Senza produrre alcun rumore, grazie a Dio non lo faceva, il ponte si estese sopra l’acqua, una piattaforma trasparente di energia che scompariva nell’oscurità.

Lizzie esitò. Sembrava così poco concreto. Se vi fosse strisciata sopra e se il ponte l’avesse lasciata cadere nel fiume di sotto… ma non sarebbe accaduto. L’energia-Y non era poco solida. L’energia-Y era la cosa più affidabile e solida che fosse rimasta dai vecchi tempi, prima delle Guerre del Cambiamento, quando la vita era stata sicura.

Le voci si cristallizzarono in parole. "Sbrigati… Dov’è… non può… la ragazza, Janey…"

Poteva essere gente per bene. Potevano essere semplicemente persone normali che attraversavano un ponte. Oppure potevano essere come quegli animali alla rimessa. Lizzie guardò di nuovo lo scudo quasi invisibile, chiuse gli occhi e vi rotolò sopra. Sussurrò un codice e sentì lo scudo curvarsi, muoversi e scivolare sotto il ponte per permettere di effettuare un’ispezione e una riparazione.

Cautamente, Lizzie riaprì gli occhi. Giaceva pochi centimetri sotto il traliccio, la cui parte inferiore era butterata di escrescenze e pannelli. Probabilmente alcuni erano terminali. Per una volta tanto, non provò alcun desiderio di trafugare dati. Si aggrappò con una mano al bordo del campo di energia che la sorreggeva, cercando di trovare il punto in cui si collegava col ponte. Per quello che avvertiva lei, l’intero scudo era scivolato esattamente sotto il ponte ed era individuabile da sopra soltanto da qualcuno che cercasse effettivamente nel buio un’estensione di un campo di energia.

Sopra di lei, le persone si allontanarono.

Aspettò alcuni minuti dopo avere avvertito l’ultima vibrazione nel ponte. Pronunciò quindi il codice per fare tornare indietro l’estensione e quello per farla richiudere.

Sul lato est del ponte la ferrovia a gravità si divideva. Una linea procedeva a sud, lungo la costa occidentale di Manhattan, su una stretta striscia di terra fra il fiume e la cupola dell’Enclave di Manhattan Ovest. L’altra deviava a nord, schivando l’enclave e andando a finire a Central Park. Da quella parte, Lizzie lo sapeva, c’erano le rovine della New York dei Vivi. Ormai non ci vivevano più molte persone: cemespugna rotta e pietre cadute non fornivano molto come cibo. Quelli che erano rimasti erano pericolosi.

Non aveva scelta. Era la via per arrivare al dottor Aranow.

Avvolta nello scudo personale, Lizzie si nascose sotto un folto cespuglio fino al mattino. Si sentiva abbastanza sicura di non essere vista, ma non riuscì ad addormentarsi per lungo tempo.