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Arrancò in piedi e cominciò a scivolare lungo la cupola. Inutile, era il bersaglio più visibile e meglio equipaggiato. Due uomini conversero su di lei.

— Lo zaino! Acchiappalo, Tish!

Non erano due uomini ma un uomo e una donna alta e dalle spalle larghe come quelle di un uomo che mostrava profondi occhi color porpora sotto ciglia lunghissime. "Modificata geneticamente."

I begli occhi da Mulo sogghignarono davanti a Lizzie e la donna cercò di afferrarla, incontrando lo scudo personale. — Cazzo! È schermata, lei! — L’accento era perfettamente da Vivo.

Tish pesava almeno quindici chili più di Lizzie. La fece cadere su un fianco e Lizzie si sentì crollare e scivolare contro la cupola a energia. Si rannicchiò piagnucolando all’interno del suo bozzolo. Tish le cadde accanto in ginocchio, con gli occhi color porpora che scintillavano di gioia pregustando la tortura, e cominciò a scuotere Lizzie per il collo come un cane con l’osso.

— Allora se non posso entrare lì dentro, io, posso sempre scuoterti fino a spezzarti il collo proprio dentro il tuo piccolo scudo sicuro…

Lizzie estrasse dallo stivale il coltello che Billy usava per scuoiare i conigli e lo spinse con un movimento dal basso in alto sotto lo sterno della donna.

Aveva affilato il coltello ogni giorno, durante le lunghe ore diurne in cui era stata nascosta. Nonostante ciò, rimase sorpresa di quanto fosse duro far passare la lama attraverso muscoli e carne. Spinse finché la lunga lama non fu conficcata fino al manico.

Gli splendidi occhi di Tish si spalancarono; crollò in avanti sopra Lizzie, in un abbraccio inerte.

Lizzie la spinse via e si guardò in giro terrorizzata. L’uomo che aveva detto a Tish di afferrare il suo zaino si trovava dall’altra parte della zona sgombra da macerie e stava combattendo con uno dei pochi uomini rimasti in vita nelle vicinanze dell’enclave. Il compagno di Tish sembrava avere la meglio. C’erano poi altri due razziatori in giro, e in un minuto qualcun altro l’avrebbe attaccata, Lizzie aveva a disposizione solo pochi istanti.

Non esitò: se ci avesse pensato non sarebbe mai stata in grado di farlo. Tish era pesante e lei non avrebbe potuto trascinarne il corpo muscoloso, ma non aveva bisogno di tutto il corpo.

Tremando, Lizzie si inginocchiò accanto a Tish e tirò fuori il cucchiaio d’argento che aveva rubato dalla sala da pranzo del dottor Aranow. Aveva avuto la bizzarra idea che, una volta all’interno di Manhattan Est, lo avrebbe potuto mostrare al sistema dell’edificio, convincendo "Jones" a lasciarla entrare. Fermò la palpebra destra di Tish fra il pollice e l’indice destro, l’aprì per bene e fece scivolare il cucchiaio sotto il bulbo oculare. Trattenendo il respiro, estrasse l’occhio dall’orbita. Quindi tirò fuori il coltello dal corpo di Tish e il sangue della donna la spruzzò a fiotti, scivolando lungo la parte esterna dello scudo a energia. Lizzie tagliò nervi e muscoli che legavano il bulbo all’orbita vuota.

Si girò, cercando a tastoni il profilo nero della porta dell’enclave. Il sangue macchiava le superfici esterne dello scudo a energia-Y della cupola e del suo. Inserito nel profilo della porta c’era un analizzatore di retina standard, programmato per concedere l’ingresso a ogni configurazione modificata geneticamente. Una misura di emergenza: un tecnico poteva essere colto all’esterno, un adolescente avventuroso poteva restare bloccato. Lizzie lo sapeva dai dati che spesso aveva trafugato.

Appoggiò l’occhio di Tish contro lo scanner e la porta della cupola esterna si aprì. Le si chiuse alle spalle, proprio davanti ai razziatori che gridavano per ucciderla.

Lizzie crollò a terra ed ebbe un conato. Non riuscì a vomitare: non aveva ingerito cibo per bocca da settimane. Ma non aveva tempo. Quanto poteva restare fresco un bulbo oculare per ingannare uno scanner? Quel tipo di informazione non si trovava nei data base.

Barcollando in piedi, sollevò l’occhio color porpora modificato geneticamente di Tish verso il secondo scanner. Si aprì anche la porta interna e Lizzie vi si catapultò attraverso.

Era dentro Manhattan Est.

Più precisamente, si trovava in una specie di deposito, pieno di robot da lavori pesanti immobili contro le pareti. Bene. Niente robot-poliziotti finché non avesse lasciato quell’edificio che doveva essere fortemente schermato e ben sigillato. Poteva aspettare. Lizzie si stese sul pavimento finché non riuscì a respirare normalmente.

Quando fu in grado di stare in piedi, disattivò lo scudo personale. Il sangue di Tish scivolò sul pavimento. Lizzie riattivò lo scudo e si rese conto soltanto in quel momento di avere ancora in mano l’occhio della donna. Non era insanguinato: tutto il sangue si era versato quando lei aveva ritirato il coltello dal corpo di Tish.

Tish non aveva mai utilizzato i suoi occhi modificati geneticamente per entrare nell’enclave. Perché no? Doveva sapere di essere modificata. Lizzie, tuttavia, aveva capito il motivo dell’esilio di Tish quando lei aveva cercato di scuoterla a morte. Le mani di Tish si erano strette attorno al suo collo; il corpo di Tish si era premuto contro il suo. Attraverso gli abiti, Lizzie aveva sentito i punti duri nei posti sbagliati, lo sterno malformato, le costole asimmetriche. Lo scheletro di Tish si era deformato nell’utero. Nuda, sarebbe apparsa grottesca. Lizzie rifletté sull’importanza che i Muli attribuivano alla perfezione fisica, e su quanto tempo Tish avesse vissuto con i Vivi per ottenere quell’accento. Vicki aveva sempre sostenuto che odiare se stessi fosse il tipo peggiore di odio. Lizzie non aveva mai capito cosa intendesse dire Vicki.

Rabbrividì e lasciò cadere l’occhio purpureo a terra. Sentì un conato. Non poteva abbandonare lì quella cosa col rischio che la trovasse un robot addetto alle manutenzioni. Si costrinse a recuperare l’occhio e a infilarlo in tasca.

Lizzie cominciò pazientemente a inserirsi nei codici di sicurezza del deposito.

Le occorse quasi mezz’ora. Quando ebbe terminato, uscì nell’Enclave di Manhattan Est. Si trovò su una strada immacolata orlata di fiori modificati geneticamente: lunghe e sottili forme azzurre che si protesero verso di lei. Lizzie balzò indietro, ma i fiori erano soffici, flaccidi, innocui. L’aria profumava di cose meravigliose: fumo di caminetto a legna, erba appena tagliata e spezie che non riuscì a identificare. Le torri di Manhattan scintillavano alla luce del tramonto mentre la programmazione delle loro pareti esterne si intonava delicatamente ai colori del cielo. Da un punto non ben precisato arrivò un profondo tubare di colombi.

C’erano persone che vivevano davvero in quella bellezza e in quell’ordine. Costantemente. Lo facevano sul serio. Lizzie terrorizzata, esausta e incantata, si sentì sul punto di piangere.

Non ne ebbe il tempo. Le andò incontro un robot-poliziotto.

Freneticamente infilò la mano in tasca per prendere l’occhio di Tish. Si era fatto più molle, leggermente flaccido. Lizzie si sentì rivoltare lo stomaco. Tenne l’oggetto disgustoso davanti all’occhio destro, chiudendo anche il sinistro, ma il robot non tentò nemmeno di prendere una scansione di retina dell’occhio purpureo in putrefazione. Non si sa come, quello sapeva già che lei non apparteneva a Manhattan Est. Lizzie vide la nebbiolina che le venne spruzzata in faccia, gridò e si accasciò sui fiori modificati geneticamente che avvolsero amorevolmente i soffici petali attorno ai suoi arti paralizzati.

20

Jennifer Sharifi, vestita con una fluente abbaya bianca, si trovava nella sala conferenze dei Laboratori Sharifi. Gli altri membri della squadra del progetto la chiamavano "centro di comando" ma a Jennifer quel nome non piaceva. La squadra era una comunità, non un esercito. Attraverso il pannello trasparente e bordato posto sul pavimento, le stelle scintillavano sotto i suoi piedi.