Jennifer restò perfettamente immobile, sconcertata per la propria reazione. Non aveva mai tali impeti di rabbia. Erano scarsamente produttivi, indebolivano. Jennifer Sharifi non si infuriava mai. Diveniva fredda e, di conseguenza, efficace.
Il momento di rabbia non aveva mai avuto luogo.
— Signora Schneider me ne occuperò io — disse con voce calma. — Faccia uscire tutti i nostri agenti da Manhattan Est, senza dare nell’occhio, durante i prossimi quarantacinque minuti. Si assicuri che comprendano che devono andarsene immediatamente. Mi occuperò io del resto. — Strukov avrebbe potuto procedere con il test su Brookhaven, ma Jennifer lo avrebbe istruito di cambiare il secondo bersaglio in Manhattan Est. La cosa avrebbe risolto il problema di Elizabeth Francy.
— Capito — disse Sondra Schneider. Il quinto schermo si spense. Lo sguardo di Jennifer riprese a spostarsi repentinamente e con regolarità sugli altri quattro.
I Vivi sulla spiaggia del Pacifico ammassati per la paura dei giornalisti Muli…
Il notiziario della UBN e i programmi di segnalazione all’interno della Rete, ignari del neurofarmaco inibitore…
Flussi di dati dalla Kelvin-Castner, dati che si accumulavano troppo lentamente per districare la complessa matassa delle molecole di Strukov…
Rapporti investigativi frustrati dell’FBI sull’esplosione nucleare a La Solana…
Il volto freddo di Miranda sullo schermo cinque…
Il corpo di Jennifer fremette per lo shock. Non c’era nulla sullo schermo numero cinque. Non c’era più stato niente da quando Sondra Schneider era scomparsa. Miranda era morta. La sua immagine non era mai esistita.
— Eccoti qui — disse Will Sandaleros. — Jenny, guarda questo.
Lei, invece, fissò Will. Il volto dell’uomo era rosso per l’eccitazione. Le stava porgendo un terminale portatile che mostrava un modello CAD di un robot.
— Il veicolo di diffusione dei peruviani. Quei bastardi finalmente ci hanno consegnato il progetto dettagliato che, contrattualmente, dovevano fornirci settimane fa. È abbastanza interessante. È…
— L’ho già visto — lo interruppe Jennifer. — Settimane fa.
— Te l’avevano fatto vedere? La versione dettagliata? E tu non mi hai detto nulla?
Jennifer si limitò a fissarlo. Il volto dell’uomo, qualche momento prima rosso per quello che considerava un suo trionfo sui peruviani, impallidì per quello che considerava tradimento da parte di lei. Sempre di più, Will era assorbito da quelle ridicole lotte di potere. Si arrabbiava, comprometteva la sua obiettività e la sua efficacia. Perdeva di vista l’imponente e sacra missione del progetto.
— Scusami, Will, mi devo occupare di alcune cose. Strukov deve lanciare fra meno di un’ora.
— Sapevi che desideravo avere il progetto del veicolo, che ho tormentato quei figli di puttana…
— Un Insonne non "tormenta", Will. — Jennifer vide Eric Hulden, dall’altra parte della stanza, che li stava osservando.
— Ma tu sapevi…
— Ti prego di scusarmi.
La mano di Will si serrò sul terminale. — D’accordo, Jenny. Ma dopo i test di oggi, affronteremo una discussione personale.
— Sì, Will. Lo faremo. Dopo i test. — Si allontanò con grazia.
Il resto della squadra arrivò nella sala conferenze. L’atmosfera era tranquilla, quasi dimessa. La situazione era troppo importante per suscitare ilarità o il genere di accaloramento irresponsabile che mostrava Will. Quello era il culmine della vita di Jennifer.
Finalmente avrebbe reso il Rifugio davvero sicuro per gli Insonni.
Erano stati disprezzati, perseguitati, odiati, maltrattati e anche uccisi (ricordava sempre Tony Indivino) per oltre cento anni. I Dormienti avevano odiato la sua gente perché gli Insonni erano più intelligenti, più tranquilli, di maggior successo. Migliori. Il passo successivo nell’evoluzione umana. Così la specie perdente aveva cercato di rendere impotenti gli Insonni nel mondo. Soltanto Jennifer Sharifi e Tony Indivino avevano previsto l’arrivo di quella inevitabile guerra a lungo termine. Ormai era rimasta solo Jennifer per rendere sicura la sua gente contro un nemico che poteva contare su un numero tanto più cospicuo.
Quando tutti i membri della squadra si furono radunati, Jennifer si mosse fra loro, mormorando parole di ringraziamento, di elogio e di incoraggiamento. Persone forti, competenti, fredde. Le più efficienti e leali del sistema solare.
Jennifer aveva deciso di non fare alcun tipo di discorso. Che fosse l’evento a parlare, in modo eloquente, per proprio conto. Evidentemente, Strukov aveva compiuto la stessa scelta. Senza alcun preambolo, il principale schermo a parete si illuminò e la telecamera montata sul veicolo telecomandato peruviano si attivò.
Sotto i loro piedi, attraverso il pannello trasparente sul pavimento, la Terra apparve alla vista.
Il veicolo telecomandato volò basso e tranquillo sopra Long Island nello stato di New York. Lentamente si vide crescere di dimensione, in lontananza, la cupola dell’Enclave di Brookhaven, che dominava l’erba nuova di primavera, le strade abbandonate e i paesi in rovina dei Vivi di Long Island. Il veicolo si direzionò verso l’alto e Jennifer fu in grado di vedere all’interno della cupola dell’enclave. Edifici semplici e dalle proporzioni gradevoli. Case. Complessi commerciali. Aree di intrattenimento. Edifici governativi. I Laboratori Nazionali di Brookhaven.
Brookhaven rappresentava il sito ideale per il primo test contro un’enclave ad alta sicurezza per il virus di Strukov. Abbastanza piccola (quanto non lo sarebbe stata la base dell’aeronautica di Taylor), abbastanza isolata (quanto non lo sarebbe stato il Pentagono), abbastanza poco appariscente (quanto non lo sarebbe stata l’Enclave di Washington Mall). A causa poi della presenza dei Laboratori Nazionali di Brookhaven, era schermata pesantemente come una qualsiasi altra installazione governativa da qualsiasi altra parte. Se il veicolo telecomandato di Strukov poteva penetrare attraverso gli scudi a energia-Y di Brookhaven, poteva penetrare attraverso quelli di qualsiasi altro posto.
Eccetto quello che aveva protetto La Solana. Jennifer allontanò il pensiero.
Il veicolo telecomandato volò attraverso il triplo scudo-Y di Brookhaven come se non ci fosse nemmeno stato. Il mezzo accelerò e zoomò appena sotto la cima dell’ultima cupola e l’immagine scomparve.
— È dentro — sospirò Chad Manning. — Siamo dentro.
— Veicolo telecomandato disintegrato — disse Caroline Renleigh. — Brookhaven ovviamente è equipaggiata per la guerra batteriologica. Devono esserci dei sistemi di sicurezza che segnaleranno, rintracceranno, punteranno… Come hanno fatto i peruviani a…
— I segnali di reazione potrebbero essere stati ritardati elettronicamente alla fonte — annunciò David O’Donnell dalla sua consolle di sicurezza.
Lo schermo si illuminò nuovamente. L’immagine era distorta, tremolante. Jennifer si rese conto che rappresentava intrusioni di microsecondi nei computer di sicurezza della stessa Brookhaven, che lavoravano in sovrapposizione sui monitor di Brookhaven con scariche non continue per meglio evadere la localizzazione. Non c’era suono. Lo schermo si divise in due. La parte superiore mostrò alcuni specialisti della sicurezza accigliati davanti ai banchi dei macchinari. Quella inferiore riportò dati presi dal computer dell’enclave.
— Sanno che è penetrato qualcosa — disse Will, alle sue spalle. — Sanno che potrebbe essere un agente biologico. Stanno sigillando i laboratori…
— Troppo tardi — disse Jennifer, studiando i dati sulla parte inferiore dello schermo. Quanto meno per chiunque non si fosse trovato in un ambiente sigillato durante l’esplosione.
Will esultò: — Possiamo anche permetterci che qualcuno scampi all’infezione. Non è probabile che riescano a scoprire cosa li ha colpiti. — Il suo umore era cambiato. Se Jennifer si fosse voltata avrebbe visto Will eccitato, con le braccia che fremevano e gli occhi che brillavano. Non si voltò.