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"Hanno fatto saltare in aria il Rifugio." Chi? Perché? Con tutti gli Insonni dentro? Poteva essere stata Miranda Sharifi, in guerra con sua nonna. Ma perché in quel momento? Poteva avere connessioni con il neurofarmaco della paura in qualche modo?

Non aveva alcun senso.

E Lizzie era stanca di congetturare. Stanca, infuriata, impaurita. Di arrivare a New York a piedi per cercare Vicki e il dottor Aranow. Di essere attaccata da Vivi, Muli e robot. Di essere minacciata di arresto per omicidio. Perfino di trafugare dati. Era una madre. Il suo posto era a casa con suo figlio. Non appena avesse trovato Vicki, il dottor Aranow o chiunque a cui mollare quella patata bollente in mano, era precisamente lì che sarebbe tornata.

— Ehi! — gridò Lizzie, incerta. Non rispose nessuno. L’agente Foster non tornò.

Lizzie cominciò a recitare tutti i codici standard vocali, per vedere se riusciva a farsi rispondere in qualche modo da un sistema dell’edificio. Non accadde nulla.

Si accomodò in attesa.

Passò un’ora. Ma non sarebbe tornato nessuno per interrogarla? Non era rimasto più nessuno a New York? E se quelli che avevano fatto saltare in aria il Rifugio avessero scaricato una bomba su Manhattan Est? Be’ non lo avrebbe mai scoperto prima di essere morta. Ma se qualcuno aveva diffuso il neurofarmaco della paura anche lì? I poliziotti se ne sarebbero andati a casa tranquillamente, impauriti per ogni novità, lasciandola a marcire in una cella?

Tutto lì dentro era sintetico. Non c’era nulla di consumabile.

Ma doveva esserci un robot che le portasse qualcosa da mangiare, dell’acqua. Un posto per pisciare. Esaminò il foro sul pavimento.

Trascorse stancamente un’altra ora. Lizzie cercò di pensare con lucidità, di pianificare. Benissimo, se non fosse arrivato nessuno e non fosse successo niente quando lei avesse contato fino a cento… d’accordo, duecento.

Tempo scaduto.

— Uhhhh! — strillò Lizzie. Si afferrò qualche pelo nelle narici e tirò forte. Le fece un male terribile. Il muco cominciò subito a fluirle dal naso, il cuore prese a batterle forte e sentì che il volto arrossiva. Strappò altri peli del naso e le lacrime iniziarono a scenderle sulle guance mentre il naso colava. Cominciò quindi a respirare ansimando velocemente e poco profondamente, finché non sentì che iperventilava. Si accasciò sul pavimento in cemespugna.

— Si richiede assistenza medica — disse la cella. — Schema respiratorio anormale. Pressione sanguigna in rialzo di quaranta punti su trenta, battito cardiaco uno-trenta, la scansione cerebrale mostra…

Un’unità medica fluttuò attraverso lo scudo-Y. Era di un tipo che lei non aveva mai visto prima, nemmeno quando nei paesi dei Vivi c’erano unità mediche. Un piccolo braccio con un cerotto sfrecciò verso di lei: un altro tranquillante. Lizzie balzò sulla piattaforma-letto, afferrò l’unità medica e la tirò su verso di sé, sollevandola da terra per bloccarla in modo che nessuno dei bracci robotici la raggiungesse. Sperò che l’allarme inviato dall’unità al sistema dell’edificio non avesse persone attorno che lo sentissero.

— Apri una comunicazione medica! — strillò lei e recitò il codice all’associazione medica del dottor Aranow, proprio come lo aveva trafugato dal suo sistema personale. Dio, doveva aprirsi! Quell’affare era un’unità medica, no? Doveva essere connesso con la struttura ufficiale.

— Comunicazione ufficiale medica aperta — disse tranquillamente una voce femminile. — Sto registrando. Dica pure, dottor Aranow.

— Mi colleghi col sistema di casa mia!

— Questa unità non è abilitata. Lei ha aperto un collegamento ufficiale medico con un canale per la registrazione. Proceda, prego.

— Stramaledizione! — strillò Lizzie. E se l’unità avesse attivato delle difese fisiche? Cominciò a snocciolare i codici di sovrapposizione di sicurezza trafugati da diversi sistemi governativi, sperando che uno aprisse il canale che pensava fosse possibile aprire… "doveva" essere possibile; perfino i collegamenti ufficiali dei Muli avevano delle porte di servizio perché un sistema fosse usato diversamente da come era stato programmato.

— Collegamento aperto — disse la voce femminile e, un istante dopo, si sentì una voce maschile: — Sì, dottor Aranow?

Jones. Il sistema di casa del dottor Aranow. Lizzie trasse un profondo respiro per calmarsi.

— Jones, dica al dottor Aranow che ha una chiamata d’emergenza da parte di Lizzie Francy. — Continuò a tenere l’unità medica il più lontano possibile, anche se quella aveva smesso di cercare di applicarle cerotti tranquillanti. — La signora Lizzie Francy.

— Il dottor Aranow non è disponibile, al momento. Vuole lasciare un messaggio registrato?

— No! Non… voglio dire, ho bisogno di lui, io! Collegami col suo sistema personale!

— Mi dispiace ma questo sistema nan può farlo tramite ordini esterni. Vuole registrare un messaggio?

Non aveva un collegamento ad altissima priorità e quel robot che dispensava cerotti non aveva la possibilità di crearne uno. Allora?

— La prego di rispondere durante i prossimi quindici secondi. Vuole registrare un messaggio?

— No! — gridò Lizzie disperata. — Fammi parlare con la sorella del dottore!

— Un momento, prego.

A quel punto udì una voce debole, spaventata: — Pronto?

— Signorina Aranow! — All’improvviso Lizzie non riuscì a ricordare il nome della sorella di Jackson. Riusciva a vederla, sottile ed elegante col suo vestito a fiori, che teneva in braccio Dirk, le lacrime che le scendevano sul pallido volto terrorizzato. Lizzie riusciva a ricordare il nome del sistema personale di lei, "Thomas" e tutti i suoi codici di accesso. Ma non aveva la minima idea di come si chiamasse di nome la ragazza. — Signorina Aranow, sono Lizzie Francy, l’amica del dottor Aranow. Quella col bambino. Sono in prigione nell’Enclave di Manhattan Est! Dica subito al dottor Aranow e a Vicki di venirmi a prendere, è un’emergenza!

— In prigione? Con il "bambino"? — Cominciò la signorina Aranow.

L’unità medica la spinse repentinamente con un insolito impeto di energia. Il cerotto si attaccò al polso di Lizzie che venne subito avvolta dall’oscurità: non vide nemmeno l’unità medica fluttuare via dalla sua presa per aleggiare sopra il suo corpo, accasciato mezzo sopra e mezzo fuori dalla piattaforma-letto.

Theresa giaceva tremante sul letto. Quella ragazza Viva era in prigione. Con il bambino.

Vide, chiaramente come se fissasse le pareti del suo studio invece di quelle della camera da letto, gli ologrammi presi dai notiziari sui bambini dei Vivi, malformati, deformi, affamati, morenti…

No. Si stava comportando in modo ridicolo. Il bambino di Lizzie non stava morendo. Quel piccolo era Cambiato. Però si trovava in prigione, in una cella da qualche parte, e doveva essere accaduto "qualcosa" a sua madre perché la comunicazione si interrompesse in quel modo. Qualcuno aveva fatto del male a Lizzie Francy? E al bambino?

Theresa non aveva mai visto una prigione. Tuttavia aveva guardato ologrammi di storia e film. Le prigioni, in quelli, erano sudicie e orribili celle che puzzavano e ospitavano persone pericolose che facevano del male agli altri. Di sicuro però non erano più così. I robot-pulitori non permettevano che fossero sudicie. Ma per il resto…

Si sollevò, appoggiandosi contro i cuscini. Le piaghe sulle mani e sul corpo le si erano chiuse. Era in grado di mangiare e di parlare, perfino di camminare un po’, con le stampelle. Aveva avuto anche un fluttuante ma Jackson lo aveva rispedito indietro perché, aveva detto, usarlo non l’avrebbe aiutata a ricostruire la muscolatura. Due volte al giorno, il roboinfermiere istruiva Theresa assistendola con il software di riabilitazione fisica. Alzarsi costituiva comunque uno sforzo, e passare le mani sulla testa calva la faceva piangere. Jackson aveva tolto tutti gli specchi dalle stanze. Durante la maggior parte del tempo, Theresa stava a letto dettando appunti, ore e ore di appunti ossessivi, a Thomas. Su Leisha Camden. Sugli Insonni. Su Miranda Sharifi.