— Vi prego, vi prego, non riesco più a muovermi…
La paura combatté con i ricordi. Le donne anziane, che ricordavano i giorni di fame e malattia precedenti al Cambiamento, divennero per un breve momento le persone che erano state a quel tempo. E si avvicinarono a Theresa, l’estranea nel bisogno.
— Ehi, com’è possibile che non sei Cambiata, tu? Mangia questo, forza… Guarda le sue braccia, Paula, sembrano bastoni, loro…
Ciotola di plastica e cucchiaio. Una sbobba di cibo colloso che assomigliava ai fiocchi di avena ma aveva il sapore delle noci, soltanto un po’ più amaro, non del tutto mascherate da uno sciroppo d’acero troppo dolce. La mendicante ingollò tutto.
— Ma sta morendo di fame, lei… Paula, non riesce quasi a muoversi, non possiamo lasciarla qui, noi…
Da dietro l’angolo del pesante portone, scivolarono fuori Josh, Mike e Patty, tenendosi stretti per mano. Jomp. Flebilmente, la mendicante sollevò la testa pelata e ustionata. Non la riconobbero. — Non è "Cambiata" lei? Gesù Cristo…
— Comincia a piovere, non può restare qui fuori così, lei…
Mike la tirò su. La mendicante si contrasse quando la pelle tenera venne sollevata dalle braccia di lui. La portò all’interno, mentre gli altri li seguivano accodati.
Una stanza scura ed estranea, volti poco familiari la osservavano impauriti. Sentì serrarsi la gola e aumentare il battito cardiaco. Ma lei non era Theresa. Lei era la mendicante. La mendicante con un dono. Loro avevano bisogno che lei avesse bisogno di loro.
Il neonato nonCambiato, quello che aveva già visto in precedenza, in un’altra vita, la guardò da dietro le gambe di sua madre. Allora era ancora vivo. Ed era cresciuto: la mendicante vedeva che era diventato un bambinetto. Gli colava muco dal naso. Il braccino sinistro deformato, più corto del destro, gli penzolava dalla spalla.
— Grazie — disse al circolo di volti. Alcuni si ritrassero, ma il resto annuì e sorrise. — Adesso mi permetterete di darvi qualcosa, visto che mi avete aiutato?
Allarme immediato. Qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. La mendicante si chiese, nel profondo, nella parte di cervello dove era qualcun altro, come dovevano essere mutate tutte le scansioni cerebrali di quella gente a causa delle sue parole.
— Potete farlo, accettare questo — disse. — È soltanto un robot. Avete visto tutti dei robot, un sacco di volte.
La porta dell’edificio era stata lasciata aperta. Il roboinfermiere, secondo le istruzioni ricevute, aveva seguito la mendicante. Il bambino nonCambiato, che non aveva visto i robot, cominciò a piangere.
— È un’unità medica — disse con voce disperata la mendicante. Forse doveva provare a parlare come loro. — Un’unità medica, quella. Come le avevamo prima, noi. Non può Cambiare quel bambino, ma gli può dare una medicina per il naso. Gli può rimettere a posto il braccio, lui. — E ancora una volta. — Questo potete farlo.
— Fare che cosa, noi? — chiese Josh. Era sempre il più intelligente e il meno impaurito. La mendicante parlò con lui.
— Fare qualcosa di nuovo, Josh. Tu puoi farlo, tu, se è una buona cosa e se vuoi farla davvero. Io posso insegnarti come, io.
Stava procedendo troppo in fretta. Josh impallidì e indietreggiò di un passo. Tuttavia lei scorse anche il barlume di interesse nei suoi occhi, prima che si perdesse nella paura. Poteva farcela. Poteva imparare a creare una diversa chimica cerebrale fingendo di essere una persona diversa. Forse non ci sarebbero riusciti tutti, ma alcuni sì. Come Josh. E forse sarebbe stato abbastanza.
Un uomo stava indietreggiando davanti al roboinfermiere, trascinandosi dietro i suoi due compagni. — No, no, stiamo bene così noi. Portatelo via, tu!
La madre del bambino deformato, però, non si mosse. Theresa allungò una mano e, con un angolo della camicia lacera e sporca, asciugò il naso del piccolo. La madre glielo permise, ma serrò la mano sulla spalla buona del figlio. Consentì comunque di toccare il proprio bambino alla mendicante, che finì con l’avere la mano sporca di muco. Lei aveva un motivo per combattere la paura.
"Prendi un neurofarmaco, Tessie. È un problema medico."
Con quel pensiero, Theresa tornò Theresa. Theresa debole, Theresa spaventata, Theresa in un luogo estraneo in mezzo a estranei. Sentì il respiro accelerare. Però era stata la mendicante, era arrivata fino a lì, aveva fatto qualcosa di buono… e la volta dopo sarebbe riuscita a esserlo un po’ più a lungo. Avrebbe insegnato ad altri come fare, ma non in quel momento, era troppo debole, aveva tanta paura, ma loro capivano la paura e si sarebbero curati di lei.
Ebbe il tempo per un altro pensiero prima che l’oscurità si impadronisse di lei. Un pensiero di Theresa, non della mendicante: "Solo in parte un problema medico, Jackson. Solo in parte".
Quando tornò in sé, Theresa giaceva al buio su uno strano letto. No, non era un letto: una pila di coperte sul pavimento, distese su fronde di pino. Riusciva a sentirne l’odore mentre frusciavano sotto il corpo. Attorno, si profilavano pareti irregolari.
L’accampamento dei Vivi. Era stesa su uno dei loro letti. Chiuse gli occhi e diventò Cazie. Solo Cazie sarebbe uscita di lì senza farsi prendere dal panico. Lei "era" Cazie, era decisa, minuta e priva di paura, era Cazie: l’ormai familiare click le scattò nel cervello.
Si alzò nel buio e avanzò a tentoni lungo la parete più vicina. Terminava con una coperta pesante appesa come tenda. Dopo che l’ebbe scansata, vide una luce più forte provenire da un cono a energia-Y al centro del pavimento di quella sorta di caverna. La stanza puzzava di gente sporca che dormiva. Cazie l’attraversò con il corpo malridotto. A metà strada, il roboinfermiere fluttuò verso di lei. — Signorina Aranow, ha saltato due sedute di riabilitazione…
— Zitto! — sussurrò Cazie. — Non parlare! Tu resta qui.
Il robot sussurrò: — Non sono programmato per ricevere ordini di riassegnazione, signorina Aranow. Devo rimanere con lei.
Quella stupida cosa era legata a lei. Come Jomp. Theresa/Cazie assunse un’espressione truce. — Allora seguimi fra mezz’ora. Come prima.
Vacillò fino alla porta e l’aprì senza rumore. La luna era piena, alta nel cielo. "Cazie" si incamminò lungo il sentiero che costeggiava il fiume fino ad arrivare all’aeromobile. Le occorse tutta la forza di Theresa, quella in prestito, quella creata, quella naturale e una ancora che poteva essere solo un dono, per farcela.
— Oh, Dio — disse una voce. — Oh, Theresa!
Vicki Turner. La sua voce. Ma che ci faceva sul tetto del suo condominio nella notte fredda? Theresa, che era profondamente addormentata prima che l’aeromobile atterrasse, strizzò gli occhi e si ritirò contro il sedile.
— Ma guardati, Theresa. Dove sei andata? Quegli stracci… non hai un cappello? Vieni, lascia che ti aiuti…
— Ero Cazie — disse Theresa. — E la mendicante.
— Cosa? Vieni dentro, tremi. Aspettavo qui che tornassi a casa perché non sapevo proprio dove cercarti, e non osavo dire a Jackson che eri sparita. Tessie, lascia che ti aiuti, qui c’è l’ascensore…
Si era addormentata di nuovo. Stava sognando, doveva essere così, strane forme con denti enormi che le davano la caccia attraverso un giardino modificato geneticamente dove tutti gli alberi la odiavano: percepiva il loro odio rovesciarlesi addosso a ondate e non capiva che cosa avesse fatto perché loro la volessero distruggere…
— Theresa, svegliati, è soltanto un sogno. Hai gridato. Hai dormito per ore…
Sentiva il corpo bruciare. Le strane forme le avevano dato fuoco. Le faceva male la testa. — Io non… non mi sento bene.