Thurmond Rogers fissò Vicki con uno sguardo d’odio.
— Vai pure, Lizzie — disse Vicki. — È una camminata breve e nessuno ti fermerà. C’è una spia all’interno del colletto della tua tuta e la gente nel pulmino potrà tenerti sott’occhio quando non sarai più inquadrata dai monitor della K-C. Il dottor Rogers dirà all’edificio di aprirti la porta e di lasciarti rientrare. Con un testimone del pulmino che ti accompagni. Vai adesso, tesoro.
Lizzie, con gli occhi ancora lucidi, prese il terminale e il suo orribile zaino color porpora. Si strinse forte al petto il terminale e uscì dal raggio della videocamera di comunicazione. Vicki trasse un profondo respiro e lo trattenne finché il volto maschile di un estraneo non apparve sullo schermo. In piena notte, l’estraneo si presentava perfettamente a posto, pettinato e calmo. — Elizabeth Francy è con noi all’esterno, signorina Covington. Con il sistema. La chiusura del sistema inizierà non appena sarà arrivata la squadra della Kelvin-Castner, a meno che la Kelvin-Castner non preferisca che la dottoressa Seddley esamini i dati.
— Rogers? — chiese Vicki.
L’odio di Thurmond Rogers non si era sedato, ma ormai lui lo aveva sotto controllo. — Nessun esame in questo momento. Io andrò immediatamente alla porta di emergenza est accompagnato da un addetto alla sicurezza della Kelvin-Castner.
— Certamente — disse il volto maschile ben curato, e Jackson pensò scioccamente all’anonimo sistema per gli ospiti che gli aveva acceso il notiziario. — La signorina Francy, accompagnata dall’agente Addison, sta tornando nell’edificio. — Tutt’e due le metà dello schermo si spensero.
Jackson guardò Vicki. Era a piedi nudi e aveva i capelli scompigliati dal sonno. Aveva qualche ciocca appiccicata alla guancia sinistra. Sembrava giovane e indifesa. — Chi è l’agente Addison? — chiese lui. — E le altre tre persone nel pulmino?
— Guardie del corpo.
— Come facevi a sapere…
— È il mio mestiere — disse Vicki. — O almeno lo era. Anche se, ovviamente, non sono stata io a pagare per questo. Lo hai fatto tu.
— Come…
— Lizzie ha trafugato i tuoi numeri di conto corrente molto tempo fa. Ma è una piccola creatura etica, a modo suo. Potrei giurare che non li ha mai usati. — Sorrise. — Non si può dire lo stesso di me.
Jackson mise una mano sul braccio di Vicki. Non lo strinse forte ma non lo accarezzò nemmeno. — Che cosa ha trovato Lizzie?
— Non lo saprò finché non ce lo avrà detto. O finché il suo terminale resterà sigillato. Ma mi interessa di più sapere perché è voluta entrare nell’area bioschermata per parlarci di persona.
— L’agente, la guardia del corpo, qualsiasi cosa sia, resterà con lei per tutta la Decontaminazione?
— Come atomi fusi insieme. — Vicki parlò all’aria. — E l’agente è dotato di trasmettitori continui sottocutanei. Oltre che di altri potenziamenti.
— Così aspetteremo — disse Jackson. — Finché Lizzie non sarà fuori dalla Decontaminazione.
— Aspetteremo — confermò Vicki. — Sistema, chiedi al robot servitore di portare del caffè.
— Certamente. E se ci fosse qualsiasi cosa che la Kelvin-Castner possa fare per lei, non esiti a chiederlo.
Vicki si limitò sorridere.
A Lizzie e all’agente Addison occorse un’ora per uscire dalla Decontaminazione. Jackson bevve due tazze di caffè e guardò Vicki prepararsi a lanciare un’altra granata. Ormai conosceva i segnali. La donna bevve lentamente il proprio caffè, deliberatamente, guardando il notiziario. Alla fine lui le chiese: — Che cosa stai aspettando di sentire, di preciso?
— Qualsiasi cosa riguardante Brookhaven. — Vicki parlò con naturalezza, il che significava che non le interessava se la conversazione veniva origliata. Si spostò leggermente sul divano della sala di attesa, accovacciando le gambe sotto il corpo.
— I Laboratori Nazionali di Brookhaven? Che cosa è successo?
— Non so. Il programma di monitoraggio di Lizzie, tuttavia, ha colto un’anomalia. Quel programma esamina trasmissioni provenienti da determinate agenzie governative in modo da evidenziare differenze per volume, frequenza, priorità e codifica. Tutte le informazioni inviate da Brookhaven mostravano un’anomalia. — Vicki tirò giù le gambe e le accavallò.
— Un’anomalia? Qualche cambiamento significativo? — chiese Jackson.
— Una significativa mancanza di cambiamento. Stesso volume, frequenza, priorità e codifica, ogni giorno.
— Vuoi dire…
— Il neurofarmaco inibitore è penetrato attraverso lo scudo dell’enclave. E non si tratta di un’enclave qualsiasi, quello è un laboratorio governativo, ritenuto biologicamente sicuro. — Vicki spostò nuovamente il peso sul divano. — Ovviamente, la Kelvin-Castner ne è già al corrente, ne sono sicura. Maledizione, non riesco a mettermi comoda.
Si alzò dal divano, si stiracchiò, sbadigliò e sorrise a Jackson. Per una volta tanto, lui comprese che cosa lei lo stava invitando a fare. Le disse: — Vieni, accomodati qui con me.
La donna attraversò la stanza fino alla poltrona di lui e gli si sedette sulle ginocchia. Lo schermo continuava a recitare notizie a un volume che, si accorse improvvisamente Jackson, era lievemente più alto del normale. Le labbra di Vicki gli stuzzicarono l’orecchio. Lei gli disse dolcemente: — Voglio mostrarti qualcosa — e si sbottonò la camicetta.
Jackson sentì un subbuglio di ormoni in petto. Vide, quindi, i disegni sul petto di lei.
Vicki mormorò: — Qui probabilmente ci sono meno monitor che nella tua camera da’ letto. Comunque, spostati più a sinistra. Di più. Ecco.
I loro corpi formarono uno stretto triangolo con lo schienale imbottito della poltrona. Vicki piegò la testa e i suoi capelli schermarono lo spazio racchiuso fra di loro, impedendone la vista dal soffitto. Slacciò altri bottoni.
Aveva seni lisci e pallidi. Più piccoli di quelli di Cazie, ma più sodi, dolcemente rialzati. Sulla curvatura superiore c’era uno schizzo tracciato con inchiostro non lavabile, del genere usato per contrassegnare e datare documenti di laboratorio che non venivano inseriti in linea. C’erano penne del genere in tutta la Kelvin-Castner. Vicki si era disegnata addosso dopo essere passata dalla Decontaminazione. Jackson sbirciò i disegni: c’era luce a mala pena sufficiente a distinguere le linee tracciate con l’inchiostro. Il profumo di Vicki, la fragranza della sua pelle e del suo respiro, gli annebbiavano il cervello.
Finché non si rese conto di cosa stava guardando.
Due schizzi grezzi di scansioni cerebrali. Quella sopra il seno sinistro era di Theresa. Jackson la riconobbe perfino tracciata al contrario e a grandi linee. Aveva guardato quotidianamente quei particolari grafici durante la malattia di sua sorella e molto di frequente negli anni precedenti. Erano grafici che rappresentavano una sovreccitazione cerebrale cronica, in particolare nelle zone più primitive del cervello che controllavano le emozioni. La zona limbica, l’ipotalamo, le amigdale, la formazione reticolare della zona pontina, il midollo ventrale rostrale: tutte sovreccitate.
Il sistema di attivazione reticolare ascendente, SARA, che reagiva per l’input neurale proveniente da molte altre parti del cervello, mostrava un’attività di onde particolarmente frenetica: bassa ampiezza, alta frequenza, intensa asincronia. I segnali di allarme viaggiavano costantemente verso la corteccia di Theresa che, di conseguenza, riteneva costantemente il mondo un luogo allarmante. Quelle informazioni, a loro volta, ritornavano indietro al SARA che reagiva con un’attività elettrochimica ancor più frenetica. I segnali elettrochimici di pericolo allertavano pensieri di pericolo che a loro volta allertavano ulteriori reazioni elettrochimiche di stress. Si trattava del circolo vizioso che Theresa non aveva mai permesso a Jackson di interrompere con neurofarmaci.