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— Sì — ammise Jackson. — Gli stava crescendo dentro, tranquillamente, una rabbia fredda e immensa come fosse nera acqua immota. Cazie lo sapeva?

Lizzie proseguì: — Il modello di probabilità aveva riferimenti incrociati con un sacco di roba su di lei, dottor Aranow. Un programma psicologico personalizzato. — Lizzie arrossì.

Quindi Cazie sapeva.

Jackson si alzò ma quando si trovò in piedi si accorse che non aveva alcun posto dove andare. Lizzie, chiaramente, non aveva ancora terminato. La sua rabbia fredda e nera aumentò.

— Ottimo lavoro, Lizzie — commentò Vicki. — Ma non è tutto qui, vero? Perché volevi unirti a noi disperatamente nell’area bioschermata?

La mano di Lizzie tremò. Il resto del caffè si versò. — Vicki…

— No, dillo pure. Qui. Adesso. Così tutti sapranno quello che sa la K-C.

Le mani di Lizzie tremavano ancora ma la voce era ferma. — C’erano altri modelli di probabilità nei dati nascosti. Erano più semplici, e sono riuscita a capirli, io. Mostravano varie probabilità di mutazione del neurofarmaco originale. O forse non proprio dell’originale, ma di qualcosa che può diventare. Quella parte era difficile. Ma i modelli per tracce differenti… i modelli…

— Dammi la media Tollers — disse freddamente Jackson. — La probabilità media puntava alla trasmissione diretta dell’infezione, vero? Da persona a persona, tramite cellule Nielson nei fluidi corporei. Quale era la probabilità Tollers?

Con la voce che si elevava per la sorpresa Vicki domandò: — Lo sapevi?

— Lo immaginavo. Speravo di sbagliarmi. Questo tipo di vettore di trasmissione è notoriamente instabile, muta in continuazione, Lizzie. Qual è la probabilità Tollers di mutazione in una forma trasmissibile per via aerea che sopravviva autonomamente al di fuori delle colture di laboratorio e del corpo umano?

— Zeo virgola zero tre per cento.

Basso. Il progettista (il diavolo di Insonne che fosse) del vettore originale (qualunque diavolo esso fosse) aveva fatto il possibile per impedire un’infezione incontrollabile per via aerea in tutto il mondo. Almeno quello. — E per la mutazione in una forma autonoma in grado di trasmettersi direttamente da umano a umano?

Lizzie sussurrò: — Trentotto virgola sette per cento.

Più di una possibilità su tre. Così, ormai lo sapevano, pensò Jackson. L’infezione inibitoria poteva trasmettersi da persona a persona tramite sangue, saliva, sperma. Urina? Probabilmente. Trentanove per cento di possibilità. Per arrivare a una percentuale così alta i campioni di laboratorio dovevano mutare come pazzi.

— Avevi paura di restare infettata anche tu, là fuori — disse Vicki a Lizzie. — A quel punto non saresti più stata in grado di aiutare Dirk. Quindi sei venuta all’interno dell’area bioschermata con noi.

Jackson continuò: — Anche se la mutazione avesse avuto già luogo, il che non è probabile, lei non l’avrebbe contratta restando lontana dalle persone. Avrebbe dovuto entrare in contatto diretto con sangue o avere un rapporto sessuale o… Lizzie, cosa c’è?

Lizzie sussurrò: — O toccare bulbi oculari?

— "Bulbi oculari?"

— Morti, voglio dire, io. Oh, dottor Aranow, io ho toccato… oh, Dio, e se l’avessi presa? Dirk! Dirk! Non c’è un test, e se l’ho presa, io, e se l’ho presa?

La ragazza era preda di un attacco isterico. Jackson ricordò che Lizzie aveva diciotto anni ed era passata attraverso orrori che lui non immaginava nemmeno. Lizzie si mise a singhiozzare e, quando Vicki la portò via lungo il corridoio e da qualche parte una porta si chiuse alle loro spalle, Jackson fu felice per l’improvviso silenzio.

Sembrò passare molto tempo prima che Vicki tornasse, anche se non era così. I suoi occhi viola modificati geneticamente apparivano stanchi. Doveva essere mattino presto.

— Lizzie sta dormendo.

— Bene — commentò Jackson.

Vicki si trovava a un metro da lui, non stava tentando nemmeno di toccarlo. — E adesso che succede?

— La Kelvin-Castner butta via il falso progetto di ricerca e ne inizia uno serio. — Jackson fissò lo schermo muto. — Avete sentito, bastardi? Adesso avete un motivo valido. Non sono soltanto i Vivi che hanno respirato qualche strana sostanza. Ce l’hanno anche a Brookhaven, no? Anche le enclavi schermate possono prendere l’infezione. Potete prenderla anche voi. Meglio trovare un antidoto.

Aspettò, immaginando di vedere apparire Thurmond Rogers, Alex Castner o magari Cazie. Lo schermo restò spento.

— Così adesso siamo tutti sulla stessa barca — commentò Vicki. — Spinti dagli stessi interessi. Bello.

— Giusto — convenne con amarezza Jackson.

— A meno che io, tu e Theresa non sappiamo qualcosa che il resto del mondo non sa — continuò Vicki. — Miranda Sharifi e gli Insonni non possono tirarci fuori dai guai, questa volta. Non ci saranno siringhe miracolose provenienti dal Rifugio, dall’Eden o da Selene. I Super sono tutti morti.

Jackson la fissò sbalordito.

— No, non dovremmo tenerlo segreto, Jackson. Abbiamo bisogno di dirlo alla K-C. Abbiamo bisogno di chiamare la stampa, il governo e tutta la gente che conta su Miranda Sharifi perché ci salvi ancora una volta. Perché la K-C non otterrà aiuto dal cielo. E il governo dovrà fare irruzione a Selene per verificare l’assenza di persone. E la gente potrebbe smettere di inviare messaggi a Miranda perché questa volta non salterà fuori nessuna dea ex-machina. La machina si è rotta e la dea è morta. Jackson, ti prego, abbracciami. Non mi interessa chi stia guardando.

Lui lo fece e, anche se Vicki gli dava una sensazione calda fra le braccia, la cosa non lo aiutò. Non seriamente.

— Jack — intervenne Cazie dallo schermo del terminale con volto corrucciato. — Dimmi quello che sai su Miranda Sharifi e Selene.

Raccontò tutto a Cazie, in piena notte. Raccontò tutto ad Alex Castner, sempre in piena notte. Raccontò tutto alla FBI e alla CIA nella tarda mattinata del giorno dopo, perché, saltò fuori, la Kelvin-Castner non aveva chiamato i federali se non dopo avere indetto un consiglio di amministrazione. Jackson fu felice per il sonno prolungato. Alla CIA e alla FBI dovette raccontare tutto molte volte.

Dopo, cercò di allontanare dalla mente le indagini. Passò intere giornate a occuparsi dei dati che la Kelvin-Castner gli forniva ormai liberamente. Non aveva motivi per non farlo. Come aveva detto Vicki, erano tutti sulla stessa barca.

Il ventunesimo giorno di quarantena, l’ultimo, aveva analizzato tutti i dati in possesso della K-C. Non si recò personalmente nei laboratori: non era un ricercatore. Si limitò ai modelli medici, che erano inconcludenti. Forse si sarebbe trovato un antidoto per il neurofarmaco ma non sapevano ancora né dove né come.

Né quando.

La rabbia fredda e nera restò dentro. La rabbia non derivava dall’impossibilità di produrre una cura: non era impossibile. La rabbia non derivava dal fatto che qualcuno aveva creato quel neurofarmaco crudele e pericoloso, sconosciuto in natura: per quattromila anni gli uomini avevano creato veleni sconosciuti in natura per annullarsi a vicenda. La rabbia non derivava nemmeno dal fatto che la Kelvin-Castner aveva anteposto i propri profitti al bene pubblico, finché le due cose non avevano coinciso: le industrie funzionavano così.

Durante il ventunesimo giorno, mentre Jackson stava lasciando la K-C per un breve viaggio per andare a trovare Theresa, Thurmond Rogers lo bloccò appena prima del portello di sicurezza che immetteva nella parte non bioschermata dell’edificio. Thurmond Rogers in persona, non con un ologramma o una linea di comunicazione. — Jackson.

— Penso che non abbiamo niente da dirci, Rogers. O fai il messaggero per Cazie?

— No — disse Rogers e, notando il suo tono, Jackson lo osservò più attentamente. La pelle di Rogers, modificata geneticamente perché risultasse appena abbronzata per contrastare con i riccioli biondi, appariva chiazzata e scialba. Le pupille degli occhi turchesi erano dilatate, perfino nella luce solare simulata del corridoio.