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Sutty lo guardò, trovando la sua agitazione grottesca, snervante. Replicò seccamente: «Non sono una scienziata. Studio poesia. E non c’è bisogno che tu mi venga a parlare dei danni che la religione può provocare. Li conosco».

«No» fece il Controllore, stringendo e aprendo i pugni. «Non li conosci… Non sai nulla di cosa eravamo un tempo. Dei nostri grandi progressi. Non torneremo mai alla barbarie.»

«E tu sai qualcosa del mio mondo?» ribatté Sutty incredula, sprezzante. Poi le sembrò che quella conversazione fosse del tutto inutile e desiderò solo allontanarsi da quel fanatico. «Ti assicuro che nessun rappresentante dell’Ekumene s’intrometterà negli affari akani a meno che non gli venga chiesto espressamente di farlo.»

Lui la fissò e disse con straordinaria veemenza: «Non tradirci!».

«Non ho la minima intenzione…»

Il Controllore volse il capo, in un gesto di diniego o di dolore. Poi, di colpo, passò oltre, e proseguì lungo la strada.

Sutty provò nei suoi confronti un impeto di odio che la spaventò.

Si girò e riprese a camminare, dicendosi che avrebbe dovuto provare compassione per lui. Era sincero. Come la maggior parte dei fanatici. Quello sciocco, stupido e arrogante, che cercava di dirle che la religione era pericolosa! Ma stava solo ripetendo come un pappagallo la propaganda dovzana. Cercava di spaventarla, arrabbiato perché i suoi superiori l’avevano fatto apparire colpevole. Non potendo controllare lei, esasperato, aveva perso il controllo di se stesso. Non era assolutamente il caso di pensare più a lui.

Continuò a percorrere la salita, diretta al negozietto, per chiedere al Fecondatore cos’erano le porte con la nuvola, il motivo per cui era uscita.

Quando entrò nel negozio, la stanza alta e buia con le pareti coperte di parole le sembrò appartenere a una realtà del tutto diversa. Rimase immobile un minuto, lasciando che quella realtà diventasse sua. Guardò l’iscrizione: "Nella discesa della nube scura dal cielo l’albero-lampo biforcuto cresce dalla terra".

L’elegante vasetto donatole dal Fecondatore recava un motivo che sulle prime le era parso un arbusto o un albero stilizzato, poi però si era resa conto che avrebbe potuto trattarsi di una variante dell’immagine della nuvola sulle porte doppie. Aveva schizzato il motivo del vaso. Quando il Fecondatore spuntò dai reconditi recessi oscuri della bottega, Sutty posò lo schizzo sul banco e chiese: «Per favore, yoz, sai dirmi cos’è questo motivo?».

Lui osservò il disegno. Con voce fievole e stridula, commentò: «È un disegno molto grazioso».

«È preso dal vasetto che mi hai donato. Ha un significato? Significa qualcosa d’importante?»

«Perché me lo chiedi, yoz?»

«M’interessano le cose vecchie. Le vecchie parole, le vecchie usanze.»

Il Fecondatore la fissò con occhi velati dall’età, e non disse nulla.

«Il vostro governo» Sutty usò la vecchia parola, biedins, "sistema di funzionari", invece del termine moderno vizdestit, "impresa collettiva" o "azienda"… «il vostro governo, lo so, preferisce che la gente impari nuove usanze, non si soffermi sul passato.» Usò ancora il vecchio termine per dire "gente", non riyingdutey, "produttori-consumatori". «Ma agli storici dell’Ekumene interessa tutto quello che i mondi membri hanno da insegnare, e noi crediamo che una conoscenza proficua del presente abbia radici nel passato.»

Il Fecondatore ascoltò, affabile, impassibile.

Sutty proseguì decisa: «Mi è stato chiesto, dal mio superiore nella capitale, di scoprire il più possibile su alcune vecchie usanze che là non esistono più, le arti e le credenze e le tradizioni che regnavano su Aka prima che la mia gente venisse qui. Un Controllore Socioculturale mi ha assicurato che il suo dipartimento non ostacolerà i miei studi». Pronunciò l’ultima frase con un certo piacere vendicativo. Era ancora scossa, irritata, dopo lo scontro con il Controllore. Ma la quiete di quel luogo, la penombra, i vaghi odori, le antiche scritte parzialmente visibili, le facevano sembrare quell’episodio qualcosa di remoto.

Una pausa. L’indice magro del vegliardo si mosse sopra il disegno che lei aveva fatto. «Non vediamo le radici» disse il Fecondatore.

Sutty ascoltò.

«Il tronco dell’albero» proseguì lui, indicando l’elemento del disegno che, in un edificio, era la porta a due battenti. «I rami e il fogliame dell’albero, la chioma di foglie.» Indicò la "nuvola" a cinque lobi sopra il tronco. «Questo è anche il corpo, vedi, yoz…» Si toccò le anche e i fianchi, si batté leggermente la testa con un movimento come di foglie delle dita, e sorrise brevemente. «Il corpo è il corpo del mondo. Il corpo del mondo è il mio corpo. Così, dunque, l’uno fa due.» Le sue dita mostrarono il punto in cui il tronco si divideva. «E i due generano ognuno tre rami, che si ricongiungono, dando cinque.» Le dita si spostarono sui cinque lobi del fogliame. «E dai cinque nasce la miriade, le foglie e i fiori che muoiono e ritornano, ritornano e muoiono. Gli esseri, le creature, le stelle. L’essere che si può descrivere. Però non vediamo le radici. Non possiamo vederle, descriverle.»

«Le radici sono nella terra…?»

«La montagna è la radice.» Il Fecondatore fece un bellissimo gesto solenne, unendo in punta il dorso delle mani e formando così con le dita una vetta, poi toccandosi il petto sul cuore.

«La montagna è la radice» ripeté Sutty. «Questi sono misteri.»

Lui tacque.

«Non puoi dirmi altro? Parlami del due, e del tre, e del cinque, yoz.»

«Per parlare di queste cose è necessario molto tempo, yoz.»

«Ho tutto il tempo necessario per ascoltare, non devo fare altro. Però non voglio far perdere tempo a te, né disturbarti. Né chiederti di dirmi cose che non vuoi dirmi, cose che è meglio tenere segrete.»

«Tutto è tenuto segreto, adesso» commentò il Fecondatore con quella sua vocetta flebile. «Eppure è tutto in bella vista.» Si girò, e guardò le file di cassettini e le pareti sopra gli armadi interamente coperte di parole, incantesimi, poesie, formule. Adesso, agli occhi di Sutty, gli ideogrammi non si espandevano e non si contraevano, non respiravano, ma rimanevano immobili sui muri alti immersi nella penombra. «Ma per molti non sono parole, sono solo vecchi graffi, scarabocchi. Così la polizia li lascia stare… Al tempo di mia madre, tutti i bambini sapevano leggere. Potevano iniziare a leggere la storia. La narrazione non è mai cessata. Nelle foreste e sulle montagne, nei villaggi e nelle città, narravano la storia, la narravano a voce alta, la leggevano a voce alta. Eppure era tutto segreto anche allora. Il mistero dell’inizio, delle radici del mondo, le tenebre. La fine, yoz. Dove è il principio.»

Così iniziò l’istruzione di Sutty. Anche se in seguito lei concluse che in realtà era iniziata quando, seduta al tavolinetto nella propria stanza in casa di Iziezi, aveva sentito per la prima volta il sapore di quel cibo sulla lingua.

Uno degli storici di Darranda diceva: "Imparare una credenza senza credere è come cantare una canzone senza melodia".

Sottomettersi, obbedire, essere disposti ad accettare quelle note come le note giuste, quel modello come il modello vero, ecco il gesto essenziale per eseguire, tradurre, comprendere. Il gesto non doveva essere permanente, un atteggiamento mentale o spirituale duraturo; tuttavia non era falso. Era qualcosa di più della sospensione dell’incredulità necessaria per assistere a una commedia, ma era qualcosa di meno di una conversione. Era una posizione, una postura nella danza. Gli insegnanti di Sutty, provenienti da molti mondi e radunati nella città di Valparaíso, in Cile, le avevano insegnato questo, e lei non aveva motivo di mettere in discussione i loro insegnamenti.