Dei maz cortesi le diedero molti testi, tutti più o meno pertinenti. Sutty apprese che dall’interazione dei Due derivavano i tripli Rami che si univano e formavano i Fogliami, i quali comprendevano le Quattro Azioni e i Cinque Elementi, cui facevano di continuo riferimento la cosmologia e i sistemi medico ed etico, e che erano inseriti nell’architettura e costituivano la struttura del linguaggio, specialmente nella sua forma ideogrammatica… Sutty si rese conto che stava addentrandosi in un’altra giungla, una giungla antichissima e spaventosamente lussureggiante. Si fermò ai margini e guardò dentro, smaniosa ma cauta, con la coscienza che uggiolava dietro di lei come un cane. Bravo cagnolino, il cane del dharma. Sutty non penetrò in quella giungla.
Ricordò che intendeva scoprire cosa facessero effettivamente i maz.
I maz eseguivano, o recitavano, o facevano, la Narrazione. Raccontavano.
Alcune persone non avevano molto da dire. Possedevano un libro o una poesia o una mappa o un trattato che avevano ereditato o ricevuto in dono, e che, almeno una volta all’anno, in genere d’inverno, mostravano o leggevano a voce alta o recitavano a memoria a chiunque fosse interessato. Quelle persone erano chiamate educatamente "persone colte", ed erano rispettate perché possedevano e mettevano a disposizione degli altri quel particolare tesoro, però non erano maz.
I maz erano professionisti. Dedicavano gran parte della vita all’acquisizione e alla divulgazione delle loro conoscenze, e si guadagnavano da vivere in quel modo.
Alcuni di loro, specialisti in cerimonie, assomigliavano ai preti delle religioni terrestri convenzionali, officiavano in occasione di riti di passaggio, matrimoni, funerali, accoglievano i neonati nella comunità, celebravano il quindicesimo compleanno, che era considerato un momento importante e propizio (Uno più Due più Tre più Quattro più Cinque). Le narrazioni di quei maz erano perlopiù basate su formule: canti e rituali e racconti delle storie eroiche più familiari.
Alcuni maz erano medici, guaritori, erboristi o botanici. Al pari di chi dirigeva gli esercizi fisici e le arti ginniche, quei maz raccontavano il corpo, si rivolgevano al corpo e lo ascoltavano anche (il corpo che era l’Albero, che era la Montagna). Le loro narrazioni erano insegnamenti medici concreti, descrittivi.
Alcuni maz lavoravano soprattutto con i libri: insegnavano ai bambini e agli adulti a scrivere e leggere gli ideogrammi, insegnavano i testi e come capirli.
Ma il lavoro fondamentale dei maz, quello per cui erano così stimati dalla gente, era raccontare: leggere a voce alta, recitare, narrare storie, e parlare delle storie. Più cose raccontavano, più erano stimati, e meglio le raccontavano, meglio venivano pagati. Quello di cui parlavano dipendeva da quello che sapevano, dal loro grado di erudizione, da quello che inventavano essi stessi e, ovviamente, da quello di cui avevano voglia di parlare in un dato momento.
L’incoerenza di tutto ciò era sbalorditiva. Nelle settimane in cui aveva appreso laboriosamente la storia del Due e dell’Uno, dell’Albero e del Fogliame, Sutty era andata a sentire ogni sera maz Ottiar Uming che raccontava una lunga saga mitico-storica sull’esplorazione delle Isole Orientali avvenuta sei o settemila anni prima, e parecchie volte la settimana, di mattina, era andata anche a sentire maz Imyen Katyan, che narrava le origini e la storia del cosmo, diceva i nomi di stelle e costellazioni, e descriveva i movimenti degli altri quattro pianeti del sistema akano, mostrando antiche carte celesti, bellissime e precise. Che senso aveva tutto ciò? C’era qualche connessione tra quella massa di cose disparate?
Stanca delle astrazioni della filosofia, per cui non aveva nessuna predisposizione, Sutty si dedicò a quella che i maz chiamavano "narrazione del corpo". I maz guaritori sembravano sapere parecchie cose sul mantenimento della salute. Chiese a Sotyu Ang di insegnarle la medicina. Il Fecondatore cominciò a parlarle con pazienza delle proprietà curative di ogni pianta dell’immenso erbario che aveva ereditato dai genitori di Ang Sotyu e che occupava gran parte dei cassettini della bottega.
Era felice che lei registrasse nel noter tutto quello che le diceva. Finora Sutty non aveva incontrato nessun elemento di sapienza arcana nella Narrazione, nessun segreto sacro che si potesse rivelare solo agli esperti, nessuna conoscenza tenuta nascosta per rafforzare l’autorità dei dotti, ingigantire la loro santità, o accrescere le loro parcelle. «Annota quello che ti dico!» ripetevano tutti i maz. «Memorizzalo! Conservalo per dirlo ad altra gente!» Sotyu Ang aveva dedicato la vita allo studio delle proprietà delle erbe, e non avendo discepoli né apprendisti era grato in modo commovente a Sutty, che conservava quelle conoscenze. «È tutto quello che ho da offrire alla Narrazione» disse. Lui non era un guaritore, ma un farmacista e un erborista. Non era forte in teoria; le sue spiegazioni del perché una data erba fosse efficace erano spesso semplice magia associativa o mere conclusioni lapalissiane: questa corteccia scaccia la febbre perché è un febbrifugo… Ma il sistema terapeutico alla base di quella farmacologia era, per quanto poteva giudicare Sutty, pragmatico, preventivo ed efficace.
Farmacia e medicina erano uno dei rami del Grande Sistema. C’erano molti, molti rami. La narrazione interminabile dei maz riguardava molte, molte cose. Tutte le cose, tutte le foglie dell’immenso fogliame dell’Albero. Sutty era sempre convinta che dovesse esserci un motivo informatore, qualche interesse centrale. Il tronco dell’Albero. Era l’etica? La giusta condotta nella vita?
Essendo cresciuta sotto l’Unismo, Sutty non era così ingenua da pensare che ci fosse per forza un rapporto tra religione e moralità, o che questo rapporto, se esisteva, fosse probabilmente benefico.
Però aveva cominciato a cogliere e ad apprendere un’etica akana caratteristica, espressa in tutte le parabole e i racconti morali sentiti nelle narrazioni, e nel comportamento e nei discorsi delle persone che conosceva a Okzat-Ozkat. Come la medicina, l’etica era pragmatica e preventiva, e sembrava piuttosto efficace. Prescriveva in primo luogo il rispetto del proprio corpo e del corpo di chiunque altro, e proibiva soprattutto l’usura.
La frequenza con cui il lucro eccessivo veniva denunciato nelle storie e dall’opinione pubblica dimostrava che il senso del male aveva radici profonde, su Aka. A Okzat-Ozkat, i reati erano soprattutto furto, imbroglio, malversazione. C’era poca violenza personale. Le aggressioni, compiute da ladri o da vittime incollerite di furti o estorsioni che si vendicavano, erano assai rare e ogni caso del genere suscitava discussioni che duravano anche settimane. I delitti passionali erano ancora più rari. Non si vedevano in essi lati affascinanti e non venivano condonati. Nei racconti e nelle storie, non si diventava eroi ammazzando e massacrando. Gli eroi erano coloro che riparavano azioni violente, o che morivano valorosamente. La parola che indicava "assassino" era un vocabolo analogo al termine "pazzo". Iziezi non seppe dire a Sutty se gli assassini venissero chiusi in prigione o in manicomio, perché non le risultava che ci fossero assassini a Okzat-Ozkat. Aveva sentito dire che in passato gli stupratori venivano castrati, però non sapeva di preciso come fosse punito adesso lo stupro, perché non le risultava neppure che ci fossero stati casi di stupro, lì. Gli akani erano teneri coi loro bambini, e pareva che Iziezi trovasse quasi inconcepibile l’idea di maltrattarli; conosceva certe storie di genitori crudeli, di bambini rimasti orfani che morivano di fame perché nessuno li prendeva in casa, ma disse: «Queste sono storie di tanto tempo fa, quando la gente non era ancora istruita».
L’Azienda, naturalmente, aveva introdotto una nuova etica, con nuove virtù quali il senso civico e il patriottismo, e un nuovo e vasto settore per quanto riguardava il crimine: la partecipazione ad attività proibite. Ma Sutty non aveva ancora conosciuto nessuno a Okzat-Ozkat, eccetto i funzionari dell’Azienda e forse qualche studente del Magistero, che considerasse criminali i maz o le loro pratiche. Bandito, illecito, illegale, deviante: quelle nuove categorie ridefinivano il comportamento, ma erano senza alcun significato morale, tranne che per i loro artefici.