Allora, in passato, non c’erano altri crimini che non fossero stupro, omicidio e usura?
Forse non c’era stato bisogno di ulteriori sanzioni. Forse il sistema era così universale che nessuno poteva immaginare di vivere fuori di esso, e solo la follia autodistruttiva poteva sovvertirlo. Era il modo di vivere, allora. Era il mondo.
Quell’ubiquità del sistema, la sua grande antichità, la tremenda forza dell’abitudine acquisita attraverso il suo modellamento minuzioso della vita quotidiana, dell’alimentazione, degli orari e degli scopi del lavoro e della ricreazione… tutto ciò, disse Sutty al noter, avrebbe potuto spiegare l’Aka moderno. Almeno, avrebbe potuto spiegare come l’Azienda di Dovza avesse conquistato l’egemonia tanto facilmente, come fosse riuscita a esercitare un controllo costante e minuzioso sul modo di vivere della gente, su cosa mangiava, beveva, leggeva, sentiva, pensava, faceva. Il sistema c’era già. Esisteva dall’antichità, solidissimo, su tutto il Continente e le Isole di Aka. A Dovza era bastato impossessarsi del sistema e cambiarne gli obiettivi. Quel grande modello sociale consensuale in cui ogni individuo cercava l’appagamento fisico e spirituale, era stato trasformato in una grande gerarchia in cui ogni individuo serviva la crescita indeterminata della ricchezza materiale e della complessità sociale. Da un equilibrio omeostatico attivo, si era passati a uno squilibrio attivo proiettato in avanti.
La differenza, disse Sutty al noter, era tra qualcuno seduto a riflettere dopo un buon pasto e qualcuno che correva a precipizio per prendere l’autobus.
Un’immagine che trovò soddisfacente.
Ripensò ai suoi primi mesi su Aka con incredulità e con un senso di commiserazione per se stessa e i produttori-consumatori di Dovza City. «Che sacrifici ha fatto questa gente!» disse al noter. «Hanno accettato di rinnegare tutta la loro cultura e di impoverire le loro vite per la "Marcia verso le Stelle", una meta artificiale e teorica, un’imitazione delle società che ritenevano superiori semplicemente perché in possesso della tecnologia del volo spaziale. Perché? Manca un fattore. È successo qualcosa che ha causato o catalizzato questo enorme cambiamento. È stato solo l’arrivo dei Primi Osservatori dell’Ekumene? Certo, quello fu un evento straordinario per un popolo che non aveva mai conosciuto estranei…»
E anche un fardello di responsabilità enorme per gli estranei, rifletté Sutty.
«Non tradirci!» aveva detto il Controllore. Ma la gente di Sutty, i navigatori stellari dell’Ekumene, gli Osservatori così attenti a non intervenire, a non interferire, a non assumere il controllo, avevano portato con sé il tradimento. Arriva un pugno di spagnoli, e i grandi imperi degli inca, degli aztechi, tradiscono se stessi, crollano, lasciano che i loro dei e la loro lingua vengano cancellati… Così gli akani erano stati i conquistatori di se stessi. Disorientati da concetti estranei, dall’idea stessa di estraneità, avevano lasciato che gli ideologi di Dovza li dominassero e li impoverissero. Come gli ideologi del socialcapitalismo nel ventesimo secolo, e i fanatici dell’Unismo nel secolo di Sutty, avevano dominato e impoverito la Terra.
Se davvero quel processo era iniziato con il primo contatto, forse era a titolo di riparazione che Tong Ov voleva scoprire il più possibile sul passato di Aka antecedente l’arrivo dei Primi Osservatori. Aveva qualche speranza di restituire infine agli akani quello che loro avevano gettato via? Lo Stato Azienda non l’avrebbe mai consentito. "Cercala nella spazzatura, la moneta d’oro", era un detto che Sutty aveva appreso da maz Ottiar Uming. Secondo lei, il Controllore non sarebbe stato d’accordo. Per il Controllore, la moneta d’oro era un cadavere putrefatto.
Sutty conversò mentalmente col Controllore parecchie volte, durante quel lungo inverno di apprendimento e ascolto, di lettura ed esercizio, di riflessione e ripensamento. Il Controllore diventò il suo sacco di segatura da prendere a pugni, per sfogarsi. Lui non poteva rispondere, doveva ascoltarla e basta. C’erano cose che Sutty non voleva registrare nel noter, cose che pensava nell’intimità della propria testa, opinioni che non poteva evitare di avere ma che cercava di tenere separate dall’osservazione. Per esempio, l’opinione che se la Narrazione era una religione, era diversissima dalle religioni terrestri, dato che era del tutto priva di dogmatismo, di impeto emotivo, del rinvio della ricompensa a una vita futura, e condannava il fanatismo. Tutti quegli elementi, di cui gli akani avevano fatto tranquillamente a meno, secondo Sutty erano stati introdotti da Dovza. Era lo Stato Azienda a costituire una religione. Così a lei piaceva evocare l’uniforme blu e marrone, la schiena rigida e il volto gelido del Controllore, e dirgli che era un fanatico, e uno sciocco, come tutti gli altri burocrati-ideologi, che cercavano di arraffare cose di nessun valore da altre genti e gettavano nella spazzatura il loro tesoro.
Il vero Controllore in carne e ossa doveva aver lasciato Okzat-Ozkat; Sutty non lo vedeva da settimane. Era un sollievo. Lo preferiva di gran lunga come figura immaginaria da bistrattare.
Aveva smesso di chiedere cosa facevano i maz. Anche un bambino di pochi anni avrebbe saputo rispondere a quella domanda. I maz raccontavano. Narravano, leggevano, recitavano, discutevano, spiegavano e inventavano. La materia infinita delle loro narrazioni non era fissa e non si poteva definire. E continuava a crescere, perfino adesso; perché non tutti i testi erano appresi da altri, non tutte le storie risalivano all’antichità, non tutte le idee e i pensieri erano stati tramandati nel corso degli anni.
La prima volta che incontrò Odiedin Manma fu in occasione di una narrazione, quando il maz raccontò la storia di un giovane, l’abitante di un villaggio delle colline pedemontane del Silong, che sognava di volare. Il giovane sognava di volare così spesso e in modo così vivido che a un certo punto cominciò a scambiare i sogni per la realtà. Descriveva le sensazioni del volo e le cose che vedeva dall’aria. Disegnava mappe di bellissime terre sconosciute dall’altra parte del mondo, nuove terre scoperte durante i suoi voli. La gente andava a sentire i suoi racconti e a vedere le mappe meravigliose. Ma un giorno, scendendo in un burrone mentre inseguiva un eberdin fuggito dal gregge, mise un piede in fallo, precipitò, e rimase ucciso.
La storia terminava così. Odiedin Manma non fece commenti, e nessuno gli rivolse domande. La narrazione si svolgeva a casa dei maz Ottiar e Uming. Più tardi, Sutty chiese delucidazioni a maz Ottiar Uming, perché quella storia l’aveva lasciata perplessa.
La vecchia disse: «Il compagno di Odiedin, Manma, è rimasto ucciso in una caduta quando aveva ventisette anni. Erano maz da un anno appena».
«E Manma sognava di volare?»
Ottiar Uming scosse il capo. «No» rispose. «Quella è la storia. La storia di Odiedin Manma, yoz. Lui racconta quella. Il resto della sua narrazione è nel corpo.» Si riferiva agli esercizi fisici, alle attività ginniche, di cui Odiedin era un insegnante molto stimato.
«Capisco» annuì Sutty, e se ne andò, riflettendo.
Sapeva una cosa, aveva imparato di sicuro una cosa, lì a Okzat-Ozkat: aveva imparato ad ascoltare. Ascoltare, sentire, continuare ad ascoltare ciò che aveva sentito. Portare con sé le parole e ascoltarle. Se il compito dei maz era narrare, il compito degli yoz era ascoltare. Come facevano notare tutti, i maz non servivano a nulla senza gli yoz, e viceversa.
Cinque
L’inverno arrivò con poca neve ma freddissimo, con venti che soffiavano sferzanti dall’immensa distesa desolata di montagne a ovest e a nord. Iziezi portò Sutty in un negozio di abbigliamento usato, a comprare un cappotto di pelle, consunto ma robusto, foderato di morbido vello. La fodera del cappuccio era la soffice pelliccia di un animale di montagna, a proposito del quale Iziezi commentò: «Tutti scomparsi, adesso. Troppi cacciatori». Disse che la pelle dell’indumento non era di eberdin, come aveva pensato Sutty, ma di minule, una specie d’alta montagna. Il cappotto le scendeva sotto il ginocchio, fino agli stivali leggeri foderati di lana. Questi erano nuovi, fatti di materiali sintetici, adatti agli sport e alle escursioni in montagna. La gente legata alle usanze passate accettava le nuove tecnologie e i nuovi prodotti, purché funzionassero meglio dei vecchi e non comportassero alcun cambiamento significativo del loro modo di vivere. A Sutty quello sembrava un conservatorismo profondo ma ragionevole. Per un’economia basata sullo sviluppo continuo, tuttavia, era una maledizione.