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Sutty annaspò e balbettò, e alla fine disse: «Be’, come sai, era prevedibile… Lo Stato Azienda è una cultura molto omogenea, molto potente e decisamente affermata. Quindi qui è tutto… sì, è tutto come lì in città, tutto molto simile. Ma forse dovrei fermarmi e finire i… finire i nastri prima di portarteli, eh? Non sono molto interessanti».

«Come sai, qua» disse Tong «i nostri ospiti ci mettono a disposizione informazioni di ogni tipo. E noi mettiamo a disposizione le nostre. Qui tutti ricevono un sacco di materiale nuovo, molto istruttivo e stimolante. Quindi quello che stai facendo lì non è poi così importante. Non preoccuparti. Naturalmente, io non sto affatto in pensiero per te. Non è il caso che stia in pensiero. Vero?»

«No, sì, certo che no» fece Sutty. «Davvero.»

Lasciò il posto telefonico mostrando il codice d’identità alla porta, e tornò in fretta alla locanda, a casa. Credeva di avere afferrato il discorso contorto di Tong, ma adesso lo ricordava già in modo molto confuso. Le pareva che Tong avesse cercato di dirle di rimanere lì, di non provare a portargli il materiale che aveva raccolto, perché avrebbe dovuto mostrarlo ai funzionari in città, e gliel’avrebbero confiscato, però non era sicura che avesse voluto dire proprio quello. Forse Tong intendeva dire davvero che il materiale non era poi così importante. O forse voleva informarla che non poteva assolutamente aiutarla.

Aiutando Iziezi a preparare la cena, Sutty ebbe la certezza di essersi fatta prendere dal panico, di avere commesso una sciocchezza chiamando Tong, attirando così l’attenzione su di sé, e sui suoi amici e informatori. Decise che doveva essere cauta, prudente, perciò non disse nulla del negozio profanato.

Iziezi conosceva maz Sotyu Ang da anni, ma neppure lei fece alcun accenno al Fecondatore. Si comportò come se non fosse accaduto nulla. Mostrò a Sutty come tagliare il numien fresco… sottile e in diagonale, perché se ne sprigionasse tutta la fragranza.

Era una delle sere in cui Elyed insegnava. Dopo che ebbe mangiato con Akidan e Iziezi, Sutty si accomiatò e percorse River Street, raggiungendo la parte povera della cittadina, il quartiere delle iurte, dove l’Azienda non aveva portato l’illuminazione elettrica e c’erano solo i bagliori fiochi delle lampade a olio nelle baracche e nelle tende. C’era freddo, però non era il freddo secco e tagliente dell’inverno. Era un freddo umido che sapeva di primavera, pieno di vita. Il cuore di Sutty era colmo di terrore, mentre si avvicinava al negozio di Elyed: temeva di trovarlo tutto imbiancato, sventrato, distrutto…

Il bisnipotino urlava a squarciagola perché qualcuno gli stava togliendo di mano un cacciavite, e i nipoti sorrisero a Sutty quando attraversò il negozio e andò nella stanza sul retro. Era in anticipo per l’ora d’insegnamento. Non c’era nessuno nella stanzetta, a parte la vecchia e un pronipote tranquillo che sistemava le sedie.

«Maz Elyed Oni, conosci maz Sotyu Ang… l’erborista… il suo negozio…» Sutty non riuscì a impedire che le parole le uscissero di bocca.

«Sì» fece la vecchia. «Sta con sua figlia.»

«Il negozio, l’erbario…»

«Quello non c’è più.»

«Ma…»

Le doleva la gola. Sutty si sforzò di tenere a freno lacrime di rabbia e di sdegno che volevano sgorgare, lì con quella vecchia che avrebbe potuto essere sua nonna, che era sua nonna.

«È stata colpa mia.»

«No» disse Elyed. «Tu non hai fatto nulla di male. Sotyu Ang non ha fatto nulla di male. Non c’è nessuna colpa. Le cose vanno male. Non è sempre possibile agire bene quando la situazione è difficile.»

Sutty rimase in silenzio. Si guardò intorno. Guardò la stanzetta alta, il tappeto rosso quasi nascosto da sedie e cuscini; tutto povero, pulito; un mazzo di fiori di carta infilato in un brutto vaso sul tavolo basso; il pronipote che disponeva con delicatezza i cuscini sul pavimento; la vecchia maz che si accomodava pian piano, a fatica, su un guanciale sottile vicino al tavolo. Sul tavolo, un libro. Vecchio, consunto, letto molte volte.

«Credo che forse sia successo il contrario, yoz Sutty. L’estate scorsa, Sotyu ci ha detto che pensava che un suo vicino avesse informato la polizia a proposito del suo erbario. Poi sei arrivata tu, e non è successo nulla.»

Sutty si sforzò di comprendere quanto aveva detto Elyed. «Io sarei stata una protezione per lui?»

«Credo di sì.»

«Perché non vogliono che io veda… quello che fanno? Ma allora perché adesso…?»

Elyed alzò le spalle fragili. «Quella gente non coltiva la pazienza» spiegò.

«Dunque, dovrei rimanere qui» disse lentamente Sutty, cercando di capire. «Pensavo fosse meglio per voi che io me ne andassi.»

«Penso che potresti andare sul Silong.»

La sua mente si annebbiò. «Sul Silong?»

«L’ultimo umyazu è là.»

Sutty non disse nulla, e dopo un po’ Elyed aggiunse scrupolosa: «L’ultimo, a quanto ne so. Forse ne è rimasto qualcun altro in Oriente, nelle Isole. Ma qui in Occidente, dicono che il Grembo del Silong sia l’ultimo. Moltissimi libri sono stati mandati là. Da parecchi anni. Dev’essere una grande biblioteca. Non come la Montagna d’Oro, non come l’Umyazu Rosso, non come Atangen. Ma quello che è stato salvato, perlopiù si trova là».

Guardò Sutty, la testa un po’ inclinata di lato, un vecchio uccellino dalla vista acuta. Aveva finito di accomodarsi pian piano sul cuscino, e adesso sistemò la pettorina di lana nera, e pareva un uccello che si lisciasse le piume. «Vuoi imparare la Narrazione, lo so. Dovresti andare là» disse. «Qui… c’è ben poco, qui. Pezzetti, frammenti. Quello che ho io, quello che ha qualche maz. Non molto. Sempre meno. Va’ sul Silong, figlia Sutty. Forse potrai trovare un compagno. Essere un maz. Eh?» La sua faccia s’increspò di colpo in un sorriso straordinario, sdentato, raggiante. Elyed sussultò leggermente, ridendo. «Va’ sul Silong…»

Stavano entrando altre persone. Elyed mise le mani in grembo e cominciò a salmodiare sommessa: «Il due dall’uno, l’uno dal due…».

Sei

Sutty andò a parlare con Odiedin Manma. Nonostante i suoi insegnamenti enigmatici, nonostante l’evento straordinario accaduto durante quella lezione (e adesso era sicurissima di averlo soltanto immaginato), riteneva che, tra tutti i maz che conosceva, Odiedin fosse il più informato e perspicace per quanto riguardava la politica e le cose del mondo, e lei aveva un disperato bisogno di consigli pratici. Attese che la lezione fosse terminata, poi gli chiese un parere.

«Maz Elyed vuole che vada in quel luogo, in quell’umyazu, perché pensa che se io andrò là, la mia presenza proteggerà l’umyazu? Maz Elyed potrebbe sbagliarsi, secondo me. Credo che le divise blu-marroni mi sorveglino di continuo. Quello è un posto segreto, un posto nascosto, no? Se andassi là, loro potrebbero seguirmi facilmente. Può darsi che abbiano congegni di rilevamento di ogni tipo.»

Odiedin alzò la mano, l’aria gentile ma seria. «Non credo che ti seguiranno, yoz. Hanno ricevuto ordini da Dovza di lasciarti in pace. Di non seguirti e di non sorvegliarti.»

«Lo sai per certo?»

Lui annuì.

Sutty gli credette. Ricordava la rete invisibile che aveva percepito poco dopo il suo arrivo. Odiedin era uno di quelli che la tessevano.

«Comunque, la via del Silong non è una pista facile da seguire. E tu potresti partire senza farti notare.» Il maz si mordicchiò un labbro. Una traccia di calore, un’espressione gradevole, era apparsa sul suo volto scuro e severo. «Se maz Elyed ti ha consigliato di andare là, e se tu vuoi andare, io potrei indicarti il cammino» disse.

«Davvero?»

«Sono stato al Grembo del Silong, una volta. Avevo dodici anni. I miei genitori erano maz. Era un brutto periodo, allora. Quando bruciavano i libri. Molta polizia. Molte perdite, distruzione. Arresti. Paura. Così abbiamo lasciato Okzat-Ozkat, siamo andati sulle colline, nelle cittadine di collina. Poi, in estate, ci siamo spinti oltre lo Zubuam, fino al grembo della Madre. Mi piacerebbe moltissimo fare di nuovo quel viaggio prima di morire, yoz.»