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«Dunque Takieki si issò il sacco in spalla e proseguì. E camminò e camminò, e sulla collina successiva vide avanzare verso di lui una ragazza lacera. S’incontrarono sulla strada, e la ragazza disse: "Porti un sacco pesante, giovanotto. Devi essere molto forte! Posso vedere cosa c’è dentro?". Così Takieki le mostrò la farina di fagioli, e lei disse: "Che bella farina! Se la dividerai con me, giovanotto, verrò con te, e farò l’amore con te ogni volta che vorrai, finché durerà la farina".»

Una donna diede un colpetto di gomito alla donna seduta accanto a lei, sorridendo.

«Takieki rispose: "Oh, no. Credi di imbrogliarmi, ma non sono così sciocco!". E si mise il sacco in spalla e proseguì. E camminò e camminò, e sulla collina successiva vide avanzare verso di lui un uomo e una donna.»

Ah, ah, molto sommessamente.

«L’uomo era scuro come il crepuscolo e la donna chiara come l’alba, e indossavano indumenti dai colori vivaci e gioielli scintillanti, rossi e blu. S’incontrarono sulla strada, e lui/lei/loro dissero: "Che sacco pesante porti, giovanotto. Vuoi mostrarci cosa contiene?". E Takieki lo fece. Allora i maz dissero: "Che bella farina di fagioli! Ma non ti basterà per tutto l’inverno". Takieki non sapeva cosa dire. I maz dissero: "Caro Takieki, se ci darai il sacco di farina che ti ha dato tua madre, potrai avere la fattoria che è su quella collina, con cinque granai pieni di grano, e cinque magazzini pieni di farina, e cinque stalle piene di eberdin. Nella fattoria ci sono cinque grandi stanze, e il tetto è fatto di monete d’oro. E la padrona di casa è nella casa, e aspetta di diventare tua moglie". Takieki disse: "Oh, oh. Credete di imbrogliarmi, ma non sono così sciocco!". E continuò a camminare e a camminare, e raggiunse la collina, e passò accanto alla fattoria con cinque granai e cinque magazzini e cinque stalle e il tetto d’oro, e continuò a camminare, il caro Takieki!»

Ah, ah, ah, dissero tutti gli ascoltatori, con grande contentezza. Poi, dopo avere ascoltato con tanta attenzione, si rilassarono e chiacchierarono un po’, e portarono a Siez una tazza e una teiera di tè caldo perché si ristorasse, e attesero rispettosi il proseguimento della narrazione.

Perché Takieki era "caro"?, si chiese Sutty. Perché era sciocco? (Piedi nudi che camminavano nell’aria.) Perché era saggio? Ma un uomo saggio avrebbe diffidato dei maz? Sicuramente era stato sciocco a rifiutare la fattoria e i cinque granai e una moglie. La storia significava che, per un sant’uomo, una fattoria e cinque granai e una moglie non valevano un sacco di farina di fagioli? O significava che un sant’uomo, un asceta, era uno sciocco? La gente con cui era vissuta negli ultimi mesi onorava l’autocontrollo, la moderazione, ma non ammirava la privazione. Non aveva una concezione rigorosa del digiuno, e non vedeva alcun pregio nel disagio, nella fame, nella povertà.

Se fosse stata una parabola terrestre, molto probabilmente Takieki avrebbe dovuto dare il sacco di farina al pezzente in cambio del bottone di ottone, o regalarglielo semplicemente, e una volta morto avrebbe ricevuto la ricompensa in paradiso. Ma su Aka, la ricompensa, spirituale o fiscale, era immediata. Svolgendo le sue funzioni di maz, Siez non stava accumulando un conto bancario di virtù o santità: in cambio della sua narrazione, otteneva lode, riparo, cibo, provviste per il viaggio, e la consapevolezza di avere svolto il proprio compito. Gli esercizi fisici non miravano al conseguimento di un ideale di salute o longevità, ma venivano fatti per il benessere immediato e per il piacere di farli. La meditazione aveva come scopo una trascendenza presente e temporanea, non un nirvana definitivo. Aka era un’economia basata sul contante, non sul credito.

Ecco perché odiavano l’usura. Loro volevano affari equi e pagamento in contanti.

Ma, allora, la ragazza che si era offerta a Takieki se lui avesse diviso con lei la sua farina? Non era un affare equo?

Sutty meditò sul problema durante tutta la narrazione successiva, un brano famoso della Guerra della valle che lei aveva sentito raccontare da Siez parecchie volte nei villaggi pedemontani. «Questa storia potrei raccontarla anche addormentato» diceva Siez. Sutty concluse che molto dipendeva dal grado di consapevolezza che Takieki aveva della propria ingenuità. Sapeva che la ragazza avrebbe potuto ingannarlo? Sapeva di non essere in grado di gestire una grande fattoria? Forse aveva fatto la cosa giusta, tenendosi stretto quello che gli aveva dato sua madre. Forse, no.

Non appena il sole calò dietro la parete della montagna a ovest, nelle tenebre incombenti l’aria scese subito di parecchi gradi sotto zero. Tutti si accalcarono nelle tende-capanne a mangiare, soffocando per il fumo e l’odore acre. I viaggiatori avrebbero dormito nelle loro tende, montate vicino a quelle più grandi degli abitanti del villaggio. Questi ultimi dormivano nudi, sudici, promiscuamente, sotto mucchi di pelli morbide, unte di grasso e piene di pulci. Nella tenda che divideva con Odiedin, Sutty pensò a quella gente prima di addormentarsi. Gente brutale, gente primitiva, aveva detto il Controllore, appoggiato al parapetto del battello, guardando il lungo rialzo del terreno che nascondeva la Montagna. Aveva ragione. Erano primitivi, sporchi, analfabeti, ignoranti, superstiziosi. Rifiutavano il progresso, si sottraevano a esso, non sapevano nulla della Marcia verso le Stelle. Si tenevano stretto il loro sacco di farina di fagioli.

Una decina di giorni dopo, mentre erano accampati sulla neve compatta in una valle lunga e poco profonda tra pallidi dirupi e ghiacciai, Sutty udì un motore, un aereo o un elicottero. Il suono era distorto dal vento e dall’eco. Avrebbe potuto essere vicinissimo, o provenire da molto lontano, riverberato da un versante all’altro. C’era qualche banco sparso di nebbia bassa, il cielo era coperto. Le loro tende, grigio spento, al riparo di un seracco, potevano essere indistinguibili nel vasto paesaggio o facilmente visibili dall’alto. Rimasero immobili finché udirono il rumore sordo tamburellante portato dal vento.

Era uno strano posto, quella lunga valle. L’aria gelida scendeva dai ghiacciai e ristagnava lì in basso. Fantasmi di bruma serpeggiavano sulla candida neve immota.

Le loro provviste scarseggiavano. Dovevano essere vicini alla meta, secondo Sutty.

Invece di uscire dalla valle salendo, come si aspettava, scesero procedendo su un lungo e ampio pendio disseminato di massi. Il vento soffiava senza posa, e con tale forza che la ghiaia continuava a battere contro i macigni più grandi. Ogni passo era difficoltoso, e anche ogni respiro. Alzando lo sguardo, adesso, si vedeva il Silong molto più vicino, la grande parete si stagliava imponente nel cielo. Ma la cresta impennacchiata era ancora lontana dietro la barriera. Quella notte, Sutty continuò a sognare una voce, che udiva ma non capiva, una gemma che aveva trovato ma non poteva toccare.

Il giorno dopo continuarono a scendere, a scendere sempre più in direzione sudovest. Nella mente annebbiata di Sutty, si formò un canto: "Se indietreggi per avanzare, non puoi riuscire. Se scendi per salire, non puoi riuscire". Non voleva andarsene dalla sua testa, continuava a risuonare martellante a ogni passo, a ogni sobbalzo… Se "scendi" per "salire", non puoi "riuscire"…

Giunsero a un sentiero che attraversava il pendio di massi, poi a una strada, a un muro di sassi, a una costruzione di pietra. Era la fine del viaggio? Era quello il Grembo della Madre? No, era solo un punto di sosta, un rifugio. Forse un tempo era stato un umyazu. Era silenzioso, adesso. Non racchiudeva nessuna storia. Rimasero due giorni e due notti nella casa tetra, a riposare, a dormire nei sacchi a pelo. Non c’era nulla da ardere per accendere un fuoco, avevano solo i loro fornelletti, e delle provviste non rimaneva che un po’ di pesce secco affumicato, che divisero in piccole porzioni e fecero bollire nella neve sciolta, preparando una zuppa.