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«Con la tecnologia akana, anni» rispose Sutty. «Con i mezzi di cui dispone l’Ekumene, un’estate, forse.»

Guardando la faccia di Goiri, aggiunse lentamente: «Se fossimo autorizzati a farlo. Dall’Azienda di Aka. E dagli Stabili dell’Ekumene.»

«Capisco.»

Erano nella "cucina", la caverna dove preparavano i pasti e mangiavano. Si trattava di un ambiente chiuso, nel senso che era in grado di conservare un discreto tepore, ed era il luogo di ritrovo, a qualsiasi ora, per discutere e chiacchierare. Avevano fatto colazione, e adesso stavano sorseggiando una tazza di tè bezit lungo. "Avvia il flusso e riunisce" le sussurrò nella mente Iziezi.

«Proporresti all’inviato dell’Ekumene di richiedere questa autorizzazione, yoz?»

«Sì, certo» rispose Sutty. E dopo una pausa: «O meglio, glielo proporrei se secondo lui fosse una cosa fattibile, o saggia. Se la richiesta indicasse al vostro governo l’esistenza di questo posto, avremmo smascherato le vostre attività, maz».

Goiri sorrise sentendo l’espressione usata da Sutty. Naturalmente, stavano parlando in dovzano. «Forse, però, visto che tu sai della sua esistenza, visto che all’Ekumene interessa, la Biblioteca sarebbe protetta» disse. «La polizia non potrebbe venire a distruggerla.»

«Forse.»

«I Dirigenti dell’Azienda hanno un grande rispetto per l’Ekumene.»

«Sì. Ma isolano anche completamente i suoi rappresentanti su Aka, gli consentono solo contatti con ministri e burocrati. L’Azienda ha ricevuto un sacco di informazioni utili. In cambio, l’Ekumene ha ricevuto un sacco di propaganda inutile.»

Goiri rifletté, infine chiese: «Se lo sapete, perché permettete che accada?».

«Be’, maz Goiri, l’Ekumene è molto lungimirante. Guarda così lontano che spesso un comune mortale stenta a raccapezzarsi. Il principio in base al quale operiamo è che nascondere la conoscenza è sempre un errore… a lungo andare. Quindi, se ci chiedono di dire quello che sappiamo, noi lo diciamo. In questo, siamo come voi, maz.»

«Non più» fece Goiri, amara. «Tutto quello che sappiamo, lo nascondiamo.»

«Non avete scelta. I vostri burocrati sono gente pericolosa. Sono credenti.» Sutty sorseggiò il tè. Aveva la gola secca. «Nel mio mondo, quando stavo crescendo, c’era un gruppo potente di credenti. Erano convinti che le loro idee dovessero avere il predominio assoluto, che non dovesse esistere nessun altro modo di pensare. Hanno sabotato le reti di memorizzazione delle informazioni, e distrutto biblioteche e scuole in tutto il mondo. Non hanno distrutto ogni cosa, naturalmente. Si può ricostruire, mettendo insieme i pezzi. Ma… il danno l’hanno causato. Un danno che è un po’ come un colpo apoplettico. Ci si riprende, quasi. Ma sono cose che sai.»

S’interruppe. Stava parlando troppo. Le tremava la voce. Si stava avvicinando troppo. Troppo. Sbagliato.

Anche Goiri sembrava scossa. «Tutto quello che so del tuo mondo, yoz…»

«È che viaggiamo nello spazio con le nostre astronavi portando l’illuminazione a mondi inferiori, arretrati» fece Sutty. Poi batté una mano sul tavolo e con l’altra si coprì la bocca.

Goiri la fissò, perplessa.

«I rangma fanno così per ricordare a se stessi di tacere» spiegò Sutty. Sorrise, ma adesso le tremavano le mani.

Rimasero entrambe in silenzio per un po’.

«Pensavo che voi… che tutti quelli dell’Ekumene, fossero molto saggi, infallibili. Che idea puerile» disse Goiri. «Che idea ingiusta.»

Altro silenzio.

«Farò il possibile, maz» disse Sutty. «Se e quando tornerò a Dovza City. Potrebbe essere rischioso provare a contattare il Mobile telefonicamente da Amareza. Potrei raccontare, per gli intercettatori, che ci siamo smarriti cercando di raggiungere il Silong e abbiamo trovato un sentiero a est che scendeva dalle montagne. Ma se capiterò in un posto senza essere autorizzata a trovarmi là, mi faranno delle domande. Posso tenere la bocca chiusa, ma non credo di poter mentire. Almeno, non in modo convincente… E c’è il problema del Controllore.»

«Sì. Vorrei che tu gli parlassi, yoz Sutty.»

Et tu Brute? disse zio Hurree, le sopracciglia aggrottate in un’espressione di sarcasmo.

«Perché, maz Goiri?»

«Be’, lui è… come lo chiami tu?… un credente. E, come dici tu, è pericoloso. Digli quel che hai detto a me della Terra. Digli anche altre cose. Digli che la fede è la ferita sanata dalla conoscenza.»

Sutty finì di bere il tè. Il sapore era amaro, delicato. «Non ricordo dove ho sentito questo. Non era in un libro. L’ho sentito dire da qualcuno.»

«Lo disse Teran a Penan. Quando fu ferito combattendo contro i selvaggi.»

Adesso Sutty ricordava: il cerchio di persone in lutto nella valle verde sotto i grandi pendii di pietra e di neve, il corpo del giovane coperto da un panno sottile bianco ghiaccio, la voce del maz che narrava la storia.

Goiri spiegò: «Teran stava morendo. Disse: "Fratello mio, marito mio, amor mio, me stesso, tu e io credevamo di sconfiggere il nemico e portare la pace nella nostra terra. Ma la fede è la ferita sanata dalla conoscenza, e la morte inizia la Narrazione della nostra vita". Poi morì tra le braccia di Penan».

La tomba, yoz. Dove è l’inizio.

«Posso riferire il messaggio» disse infine Sutty. «Ma i fanatici sono duri d’orecchio.»

Otto

La sua tenda era illuminata solo dal tenue bagliore della stufetta. Quando Sutty entrò, il Controllore cominciò a girare la piccola manovella che azionava la lampada. L’apparecchio impiegò parecchio tempo ad accendersi, ed emise poi una fioca luminosità.

Sutty si sedette a gambe incrociate nella metà vuota della tenda. A quanto poteva vedere, la faccia del prigioniero non era più gonfia, ma non aveva ripreso colore. Lo schienale del giaciglio era sollevato per consentirgli di sedere col busto quasi in posizione eretta.

«Stai qua al buio, notte e giorno» esordì Sutty. «Dev’essere insolito. Deprivazione sensoriale. Come passi il tempo?» Udì l’asprezza gelida della propria voce.

«Dormo» rispose lui. «Penso.»

«Dunque esisti… Reciti slogan? Avanti, in alto, sempre più in alto? Il pensiero reazionario è il nemico sconfitto?»

Lui non disse nulla.

Vicino al materassino, c’era un libro. Sutty lo prese. Era un libro scolastico, una raccolta di poesie, storie, vite esemplari e via dicendo, per bambini di dieci anni, o giù di lì. Le ci volle qualche istante per rendersi conto che era scritto in ideogrammi, non nel nuovo alfabeto. Si era quasi dimenticata che nel mondo del Controllore, nel mondo moderno di Aka, esisteva solo l’alfabeto, gli ideogrammi erano banditi, illegali, in disuso, dimenticati.

«Sai leggerlo?» domandò, sorpresa e piuttosto spaventata.

«Me l’ha dato Odiedin Manma.»

«Sai leggerlo?»

«Lentamente.»

«Quand’è che hai imparato a leggere la putrida scrittura primitiva antiscientifica, Controllore?»

«Quand’ero bambino.»

«Chi ti ha insegnato?»

«Le persone con cui vivevo.»

«Chi erano?»

«I genitori di mia madre.»

Le sue risposte giungevano sempre dopo una pausa, e a voce bassa, quasi biascicate, parevano le risposte di uno scolaro umiliato da un esaminatore incalzante. Sutty fu sopraffatta da una vergogna improvvisa. Si sentì le gote in fiamme, la testa che le girava.

Ancora sbagliato. Peggio che sbagliato.

Dopo un lungo silenzio, disse: «Ti chiedo scusa per come ti ho parlato. Non mi è piaciuto il tuo comportamento nei miei confronti, sul battello e a Okzat-Ozkat. Sono arrivata a odiarti quando ti ho ritenuto responsabile della distruzione dell’erbario di maz Sotyu Ang, il lavoro di una vita, la sua vita. E di avere braccato i miei amici. E braccato me. Odio il fanatismo in cui credi. Ma cercherò di non odiarti».