«Cos’è successo ai tuoi nonni?»
«Furono arrestati poco tempo dopo il mio trasferimento a casa di mio padre. Rimasero un anno in prigione, a Tambe…» Una lunga pausa. «Un gran numero di capi reazionari recalcitranti vennero portati a Dovza City per un giusto processo pubblico. A quelli che abiurarono fu concesso il lavoro riabilitativo nelle aree agricole dell’Azienda.» La sua voce era spenta. «Quelli che non abiurarono furono giustiziati dai produttori-consumatori di Aka.»
«Fucilati?»
«Furono condotti nella Grande Piazza della Giustizia…» Yara s’interruppe di colpo.
Sutty ricordava il posto, un grande spiazzo lastricato, circondato dai quattro imponenti edifici che ospitavano il Tribunale Centrale. Di solito era intasato da veicoli in coda e pedoni frettolosi.
Yara riprese a parlare, continuando a guardare di fronte a sé, a guardare la scena che stava raccontando.
«Erano tutti in mezzo alla piazza, dentro un perimetro di corda, sorvegliati dalla polizia. La gente era arrivata da ogni parte per vedere applicata la pena. C’erano migliaia di persone nella piazza. Tutte attorno ai criminali. E in tutte le strade che conducevano nella piazza. Mio padre mi portò ad assistere. Eravamo a una finestra del palazzo della Corte Suprema. Mi mise davanti a lui, perché vedessi. C’erano mucchi di pietre, pietre di umyazu demoliti, grossi mucchi di pietre agli angoli della piazza. Non sapevo a cosa servissero. Poi la polizia diede un ordine, e tutti avanzarono verso il centro della piazza, dove si trovavano i criminali. Cominciarono a percuoterli con le pietre. Alzavano e abbassavano le braccia e… Avrebbero dovuto scagliarle, le pietre, lapidare i criminali, ma c’era troppa gente. La piazza era troppo affollata. Centinaia di poliziotti, e tutta quella gente. Così li picchiarono a morte. Fu una cosa lunga.»
«Hai dovuto guardare?»
«Mio padre voleva che vedessi che avevano sbagliato.»
Yara parlava con voce abbastanza ferma, ma la sua mano, la bocca, lo tradivano. Non aveva mai lasciato quella finestra affacciata sulla piazza. Aveva dodici anni ed era là, a guardare per il resto della vita.
Così aveva visto che i suoi nonni avevano sbagliato. Cos’altro poteva aver visto?
Ancora un lungo silenzio. Di entrambi.
Seppellire il dolore in profondità, così in profondità da non doverlo mai più provare. Seppellirlo sotto qualsiasi cosa, ogni cosa. Essere un bravo figliolo. Una brava ragazza. Camminare sulle tombe e non abbassare mai lo sguardo. Tieni lontano il cane che è amico della gente… Ma non c’erano tombe. Facce spappolate, crani sfondati, capelli grigi sporchi di sangue raggrumato… ammucchiati in mezzo a una piazza.
Frammenti ossei, otturazioni, schizzi finissimi di carne esplosa, una zaffata di gas. L’odore dell’incendio tra le rovine di un edificio sotto la pioggia.
«Così, poi sei vissuto a Dovza City. E sei entrato nell’Azienda. Nel Dipartimento Socioculturale.»
«Mio padre assunse degli insegnanti privati per me. Per correggere la mia istruzione. Superai gli esami brillantemente.»
«Sei sposato, Yara?»
«Lo sono stato. Per due anni.»
«Niente figli?»
Lui scosse la testa.
Continuò a fissare il vuoto. Era seduto rigido, immobile. Il sacco a pelo era tenuto sollevato sopra un ginocchio da una specie di intelaiatura costruita da Tobadan per immobilizzare l’arto e alleviare il dolore. Il piccolo libro era vicino alla sua mano: FRUTTI GEMME DELL’ALBERO DEL SAPERE.
Sutty si piegò in avanti per sciogliere i muscoli delle spalle, si drizzò di nuovo.
«Goiri mi ha chiesto di parlarti del mio mondo. Forse posso farlo, perché la mia vita non è stata tanto diversa dalla tua, sotto certi aspetti… Ti ho parlato degli Unisti. Una volta assunto il governo della nostra parte del paese, cominciarono a effettuare nei villaggi quelle che chiamavano operazioni di purificazione. La situazione era sempre più critica, per noi. La gente ci diceva di nascondere i nostri libri, o di gettarli nel fiume. Zio Hurree stava morendo, allora. Aveva il cuore stanco, diceva. Disse a Zietta di sbarazzarsi dei libri, ma lei non lo fece. E lui morì circondato dai suoi libri.
«Dopo la morte dello zio, i miei genitori riuscirono a fare andar via dall’India Zietta e me. Ci mandarono dall’altra parte del mondo, in un altro continente, a nord, in una città dove il governo non era religioso. C’erano alcune città del genere, perlopiù dove l’Ekumene aveva fondato scuole che insegnavano il sapere hainiano. Gli Unisti odiavano l’Ekumene e volevano tenere lontano dalla Terra tutti gli extraterrestri, ma avevano paura di provare a farlo direttamente. Così incoraggiavano il terrorismo contro le Riserve e le installazioni ansible e tutte le altre cose di cui erano responsabili i demoni extraplanetari.»
Usò la parola inglese "demoni", perché non ne esisteva una analoga in dovzano. S’interruppe un attimo, trasse volutamente un respiro profondo. Yara sedeva in assoluto silenzio, ansioso di ascoltare.
«Così andai al liceo e all’università in quella città, e iniziai l’addestramento per lavorare per l’Ekumene. In quel periodo, più o meno, l’Ekumene mandò sulla Terra un nuovo rappresentante, un uomo di nome Dalzul, che era cresciuto sulla Terra. Dalzul riuscì a esercitare un’influenza considerevole tra i Padri unisti. In poco tempo, lasciarono che fosse lui ad assumere il controllo in misura sempre maggiore, a dare gli ordini. Dicevano che era un angelo… sarebbe un messaggero di dio. Alcuni di loro cominciarono a dire che avrebbe salvato tutta l’umanità e che li avrebbe avvicinati a dio, e così…» Non esisteva nessuna parola akana che significasse "adorazione". «Si stendevano a terra davanti a lui e lo lodavano e lo supplicavano di essere buono con loro. E facevano qualsiasi cosa Dalzul dicesse loro di fare, perché quella era la loro idea di comportarsi bene… obbedire agli ordini di dio. E pensavano che Dalzul parlasse a nome di dio. O che fosse dio. Così, nel giro di un anno, Dalzul li costrinse a smantellare il regime teocratico. Nel nome di dio.
«La maggior parte delle vecchie regioni e dei vecchi stati stavano ripristinando governi democratici, sceglievano i loro capi attraverso le elezioni, e ricostituivano l’Unione Terrestre, e accoglievano volentieri la gente degli altri mondi dell’Ekumene. Fu un periodo eccitante. Era meraviglioso vedere l’Unismo che crollava, si sgretolava. Un numero sempre più grande di credenti era convinto che Dalzul fosse dio, ma per un numero altrettanto grande di credenti Dalzul era invece il… il contrario di dio, assolutamente malvagio. Alcuni di questi, chiamati Penitenti, andavano in processione cospargendosi la testa di cenere, e si frustavano a vicenda per espiare la colpa di avere frainteso il volere di dio. E si crearono molti gruppi autonomi, che sceglievano come loro Salvatore un Padre unista o qualche capo terrorista e prendevano ordini da lui. Erano tutti pericolosi, erano tutti violenti. I Dalzuliti dovevano proteggere Dalzul dagli anti-Dalzuliti, che volevano ucciderlo. Tutti piazzavano bombe in continuazione, tentavano attacchi suicidi. Tutti. Avevano sempre usato la violenza, perché il loro credo la giustificava. Secondo il loro credo, dio ricompensava coloro che distruggevano i miscredenti e la miscredenza. Ma perlopiù si distruggevano a vicenda, facendosi a pezzi. Le chiamavano Guerre Sante. Un periodo spaventoso, ma non sembrava che ci fossero problemi seri per il resto di noi… L’Unismo si stava semplicemente autodistruggendo.
«Be’, prima che si arrivasse a quel punto, quando la Liberazione era appena iniziata, la mia città fu liberata. E ballammo nelle strade. E io vidi una donna che ballava. E m’innamorai di lei…»
Sutty s’interruppe.
Era stato tutto abbastanza facile, fino a quel punto. Un punto oltre il quale non era mai andata. La storia che aveva raccontato solo a se stessa, solo in silenzio, prima di dormire, terminava lì. Sentì la gola serrarsi.