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«Il mio dipartimento non è stato informato» esordì, poi s’interruppe, e ricominciò: «Credo che ci siano stati…» e infine, caparbio, riprese da capo, parlando il gergo burocratico della sua professione. «Da parecchi anni, si svolgono discussioni ad alto livello riguardanti la politica estera. Dato che una nave akana è in viaggio alla volta di Hain, ed essendo a conoscenza del fatto che è previsto l’arrivo di una nave ekumenica l’anno prossimo, alcuni elementi nell’ambito del Consiglio hanno propugnato una politica più distensiva. È stato detto che potrebbe essere vantaggioso aprire alcune porte per consentire un incremento del reciproco scambio di informazioni. Altri elementi, ai quali spetta prendere decisioni in tali questioni, erano dell’avviso che il controllo della dissidenza da parte dell’Azienda fosse ancora troppo incompleto e che un atteggiamento lassistico fosse poco opportuno. Un… una forma di compromesso è stata alla fine raggiunta tra le diverse correnti di opinione.»

Quando Yara ebbe esaurito le costruzioni passive, Sutty fece una sommaria traduzione mentale e disse: «Così, io ero il compromesso? Un esperimento, allora. E a te hanno assegnato l’incarico di sorvegliarmi e riferire».

«No» replicò Yara, di colpo brusco, schietto. «L’ho chiesto io. Mi hanno autorizzato. All’inizio. Pensavano che quando tu avessi visto la povertà e l’arretratezza della regione di Rangma, saresti tornata subito in città. Quando ti sei fermata a Okzat-Ozkat, l’Esecutivo Centrale non sapeva come esercitare il controllo senza apparire offensivo. Il mio dipartimento ha dovuto obbedire di nuovo a ordini dall’alto. Io ho consigliato che ti richiamassero nella capitale. Perfino i miei superiori, del mio dipartimento, hanno ignorato i miei rapporti. Mi hanno ordinato di tornare nella capitale. Non vogliono ascoltare. Non credono alla forza dei maz nelle cittadine e nella campagna. Pensano che la Narrazione sia finita!»

Parlò con una collera intensa e desolata, prigioniero della trappola della propria sofferenza, una sofferenza complessa e insolubile. Sutty non seppe cosa dirgli.

Il loro silenzio diventò a poco a poco più sereno, mentre ascoltavano il silenzio puro delle caverne, e vi si abbandonavano.

«Avevi ragione» disse infine Sutty.

Lui scosse il capo, sprezzante, impaziente. Ma quando lei se ne andò, dicendogli che sarebbe tornata l’indomani, le sussurrò: «Grazie, yoz Sutty». Appellativo servile, fraseologia rituale insignificante. Dal profondo del cuore.

Dopo quella volta, le loro conversazioni furono più rilassate. Yara voleva che lei gli parlasse della Terra, ma per lui era difficile capire, e spesso, anche se Sutty pensava che avesse capito, Yara negava. Protestò: «Mi parli solo di distruzione, di azioni crudeli, di come sono andate male le cose. Tu odi la tua Terra».

«No» replicò lei. Guardò la parete della tenda. Vide la curva della strada appena prima dell’inizio del villaggio, e la polvere ai margini della strada, dove lei e Moti giocavano. Polvere rossa. Moti le aveva insegnato a costruire piccoli villaggi di fango e di sassolini, piantando fiori tutt’intorno a essi. Lui aveva un anno intero più di Sutty. I fiori appassivano subito al sole rovente dell’estate interminabile. Si arricciavano e cadevano e tornavano nel fango rosso scuro che seccava e diventava polvere morbida.

«No, no» disse. «Il mio mondo è talmente bello che la sua bellezza non si può descrivere, e io lo amo, Yara. Quello che ti sto dicendo è propaganda. Sto cercando di spiegarti perché, prima di cominciare a imitare quello che facciamo, il tuo governo avrebbe fatto meglio a guardare bene chi siamo. E cosa abbiamo fatto a noi stessi.»

«Ma siete venuti qui. E avevate tante conoscenze che noi non avevamo.»

«Lo so, lo so. Gli hainiani hanno fatto la stessa cosa con noi. Abbiamo cercato di copiare gli hainiani, di raggiungere il livello degli hainiani, fin da quando ci hanno trovato. Forse l’Unismo rappresentava anche una protesta contro quello. Una rivendicazione del nostro sacrosanto diritto di essere sciocchi, irragionevoli e ipocriti a modo nostro, maledizione, non nel modo di qualcun altro.»

Yara rifletté. «Ma noi dobbiamo imparare. E tu hai detto che l’Ekumene ritiene che sia sbagliato nascondere qualsiasi conoscenza.»

«L’ho detto. Ma gli storici studiano il modo in cui la conoscenza dovrebbe essere insegnata, perché quello che la gente impara sia conoscenza autentica, non frammenti sparsi che non combaciano. C’è una parabola hainiana, la parabola dello specchio. Se il vetro è intero, riflette il mondo intero, ma rotto, mostra solo frammenti, e taglia le mani che lo tengono. Quello che la Terra ha dato ad Aka è una scheggia dello specchio.»

«Forse è per questo che i Dirigenti hanno mandato indietro gli Emissari.»

«Gli Emissari?»

«Gli uomini della seconda nave dalla Terra.»

«Seconda nave?» ripeté Sutty, allarmata e perplessa. «C’è stata solo una nave proveniente dalla Terra, prima di quella che ha portato me.»

Ma mentre parlava, ricordò l’ultima lunga conversazione con Tong Ov. Tong le aveva chiesto se pensava che i Padri unisti, agendo senza informare l’Ekumene, potessero aver mandato dei missionari su Aka.

«Parlamene, Yara! Non so nulla di quella nave.»

Sutty vide che Yara si ritraeva impercettibilmente, lottando contro la riluttanza istintiva a rispondere. "Questa è un’informazione riservata" pensò. "Nota solo alle alte sfere. Non fa parte della storia ufficiale dell’Azienda. Anche se, senza dubbio, loro davano per scontato che noi ne fossimo al corrente."

«È venuta una seconda nave, ed è stata rimandata sulla Terra?» chiese.

«Pare di sì.»

Sutty inviò un tacito messaggio disperato al profilo rigido di Yara: "Oh, non fare il burocrate con la bocca cucita!". Ma non disse nulla. Poco dopo, lui parlò ancora.

«C’erano registrazioni della visita. Io non le ho mai viste.»

«Cosa ti hanno detto delle navi dalla Terra… puoi raccontarmelo?»

Lui meditò un po’. «La prima arrivò nell’anno Redan Trenta. Settantadue anni fa. Atterrò vicino ad Abazu, sulla costa orientale. C’erano diciotto fra uomini e donne a bordo.» Le lanciò un’occhiata per verificare la precisione di quei dati, e Sutty annuì. «I governi provinciali che allora erano ancora al potere nell’Est decisero di lasciare che gli extraplanetari andassero dove volevano. Gli extraplanetari dissero che erano venuti per conoscerci, per invitarci a entrare a far parte dell’Ekumene. Ci spiegavano tutto quello che desideravamo sapere della Terra e degli altri mondi, ma precisarono che erano venuti non come narratori, bensì come ascoltatori. Come yoz, non maz. Rimasero qui cinque anni. Una nave venne a prenderli, e col sistema ansible della nave inviarono alla Terra una narrazione di quello che avevano appreso qui.» Guardò di nuovo Sutty, per avere la conferma che il resoconto era stato accurato.

«La maggior parte di quella narrazione è andata perduta» disse Sutty.

«Sono tornati sulla Terra?»

«Non lo so. Io ho lasciato la Terra sessant’anni fa, sessantuno adesso. Se sono tornati durante il dominio unista, o durante le Guerre Sante, può darsi che li abbiano ridotti al silenzio, o imprigionati, o fucilati… Ma c’è stata una seconda nave?»

«Sì.»

«L’Ekumene finanziò quella prima nave. Ma non finanziò un’altra spedizione dalla Terra, perché gli Unisti si erano impadroniti del potere. Ridussero al minimo i contatti con l’Ekumene. Continuavano a chiudere porti e centri d’insegnamento, minacciando di espellere gli extraplanetari, lasciando che i terroristi danneggiassero gli impianti. Se dalla Terra è partita una seconda nave, l’hanno mandata gli Unisti. Non ne ho mai sentito parlare, Yara. Sicuramente, questa notizia non è mai stata data alla gente comune.»