«Tutto il gruppo di Okzat-Ozkat?»
«No. Tu, maz Odiedin Manma, Long e Ieyu, avremmo pensato. Un piccolo gruppo, con un mìnule. Dovreste riuscire a viaggiare veloci e scendere nelle colline prima della stagione autunnale.»
«Benissimo, maz» disse Sutty. «Mi dispiace moltissimo andarmene con tanti libri ancora da leggere.»
«Forse puoi tornare. Forse puoi salvare i libri per i nostri bambini.»
Quella speranza ardente e struggente che avevano tutti, la speranza riposta in lei e nell’Ekumene: ogni volta che ne avvertiva l’intensità, Sutty si spaventava.
«Cercherò di farlo, maz» disse. Poi… «Ma… e Yara?»
«Dovranno trasportarlo. I guaritori dicono che non sarà in grado di percorrere lunghe distanze prima che la stagione cambi. I vostri due giovani saranno nel suo gruppo, e Tobadan Siez, e due delle nostre guide, e tre minule con uno stalliere. Un gruppo numeroso, ma non si può fare diversamente. Partiranno domattina, intanto che il bel tempo regge. Purtroppo non sapevamo che Yara non sarebbe stato in grado di camminare. Altrimenti li avremmo fatti partire prima. Ma prenderanno il Sentiero di Reban, il più agevole.»
«Che ne sarà di lui, una volta arrivati in Amareza?»
Ikak allargò le mani. «Cosa possiamo fare? Tenerlo prigioniero! Dobbiamo farlo! Potrebbe indicare alla polizia la posizione esatta delle caverne. Manderebbero qui della gente il più in fretta possibile, a piazzare cariche esplosive, a distruggere tutto. Come hanno distrutto la Grande Biblioteca di Marang, e tutte le altre biblioteche. La politica dell’Azienda non è cambiata. A meno che tu non riesca a convincerli a cambiarla, yoz Sutty. A lasciare stare i libri, a lasciare che l’Ekumene venga a studiarli e a salvarli. Se questo accadesse, noi lo libereremmo, naturalmente. Ma se lo libereremo, la sua gente lo arresterà e lo imprigionerà per azioni non autorizzate. Poveretto, non ha un futuro molto roseo.»
«Può darsi che lui non dica nulla alla polizia.»
Ikak, sorpresa, le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Lo so che per lui era diventata una missione personale, trovare la Biblioteca e distruggerla. Una ossessione, anzi. Ma lui… È stato allevato da una coppia di maz. E…»
Sutty esitò. Non poteva rivelare a Ikak il segreto di Yara, come non poteva rivelarle il proprio.
«È stato costretto a diventare quello che è diventato» proseguì infine. «Ma, a mio avviso, l’unica cosa che abbia davvero senso per lui è la Narrazione. Penso che sia tornato alla Narrazione. So che non prova alcuna ostilità nei confronti di Odiedin né di nessun altro qui. Forse potrebbe restare con qualcuno, là in Amareza, senza essere tenuto prigioniero. Stare semplicemente nascosto.»
«Forse» disse Ikak, comprensiva ma per nulla convinta. «Solo che è molto difficile nascondere una persona simile, yoz Sutty. Ha un chip d’identità inserito nel braccio. Ed era un funzionario di grado abbastanza elevato, incaricato della sorveglianza di un Osservatore dell’Ekumene. Lo cercheranno. Quando lo prenderanno, temo, qualsiasi cosa provi, possono costringerlo a dire tutto ciò che sa.»
«Potrebbe tenersi nascosto in un villaggio per tutto l’inverno, forse. Non scendere affatto in Amareza. Io avrò bisogno di tempo, maz Ikak Igneba… il rappresentante dell’Ekumene avrà bisogno di tempo… per parlare alle autorità dovzane. E se l’anno prossimo arriverà una nave, come previsto, allora potremo contattare via ansible gli Stabili dell’Ekumene e discutere di queste cose. Ma ci vorrà tempo.»
Ikak annuì. «Ne parlerò con gli altri. Faremo il possibile.»
Dopo cena, Sutty andò subito nella tenda di Yara.
Odiedin e Akidan erano già là; Akidan con gli indumenti caldi che sarebbero serviti a Yara per il viaggio, Odiedin per rassicurarlo e dirgli che era in grado di affrontarlo. Akidan era eccitato all’idea della partenza. Per Sutty fu commovente vedere con quanta gentilezza il ragazzo si rivolgeva a Yara, il bel viso giovane splendente di gioia. «Non preoccuparti, yoz» disse entusiasta Akidan. «È un percorso facile e abbiamo un gruppo molto forte. Saremo giù nelle colline in una settimana.»
«Grazie» fece Yara, inespressivo. La sua faccia si era chiusa.
«Tobadan Siez sarà con te» disse Odiedin.
Yara annuì. «Grazie» ripeté.
Kieri arrivò con un poncho termico che Akidan aveva dimenticato, e s’infilò nella tenda, chiacchierando. La tenda era troppo affollata. Sutty s’inginocchiò presso l’apertura dell’entrata e posò una mano su quella di Yara. Non l’aveva mai toccato, prima.
«Grazie di avermi raccontato quello che mi hai raccontato, Yara» disse, sentendosi frettolosa e imbarazzata. «E di avere ascoltato quello che ti ho raccontato io. Spero che tu… Spero che le cose vadano per il meglio. Addio.»
Alzando lo sguardo verso di lei, Yara la salutò col suo consueto breve cenno del capo, poi distolse lo sguardo.
Sutty tornò nella propria tenda, ansiosa ma anche sollevata.
La tenda era un vero caos: Kieri aveva sparso in giro tutto quello che possedeva, in attesa di fare i bagagli. Sutty non vedeva l’ora di dividere di nuovo una tenda con Odiedin, di avere un po’ di ordine, silenzio, castità.
Aveva lavorato tutto il giorno al catalogo… un lavoro faticoso e complesso con i programmi akani, programmi recalcitranti e difficili. Andò a letto con l’intenzione di alzarsi molto presto e salutare gli amici alla partenza. Si addormentò subito. Il ritorno di Kieri e il rumore che fece per riporre le sue cose non la disturbarono quasi. Sembrava che fossero trascorsi appena cinque minuti quando la lampada fu riaccesa e Kieri, già in piedi, vestita, uscì dalla tenda. Sutty si districò a fatica dal sacco a pelo e disse: «Ti raggiungo per la colazione».
Ma quando arrivò nella cucina, la gente del gruppo in partenza non stava consumando il pasto caldo necessario per affrontare il cammino. Non c’era nessuno, solo Long, che era di turno come cuoco.
«Dove sono gli altri, Long?» gli chiese, allarmata. «Non saranno già partiti, eh?»
«No» rispose Long.
«È successo qualcosa?»
«Credo di sì, yoz Sutty.» L’espressione angosciata, Long indicò con un cenno le caverne esterne. Sutty andò verso l’uscita. Incontrò Odiedin che stava rientrando.
«Cos’è successo?»
«Oh, Sutty» disse Odiedin, abbozzando un gesto di disperazione.
«Di che si tratta?»
«Yara.»
«Cosa?»
«Vieni con me.»
Sutty lo seguì nella Caverna dell’Albero. Odiedin passò accanto alla tenda di Yara. C’era molta gente lì attorno, ma Sutty non vide Yara. Odiedin proseguì svelto attraverso la piccola caverna col fondo accidentato, e imboccò il breve passaggio che conduceva all’esterno e terminava con l’apertura ad arco dove si insinuarono avanzando carponi.
Odiedin si drizzò, appena fuori dal cunicolo. Sutty sbucò accanto a lui. Mancava ancora parecchio al levar del sole, ma il pallore del cielo sembrava meravigliosamente fulgido e smisurato dopo l’oscurità angusta delle caverne.
«Guarda dov’è andato» disse Odiedin.
Sutty abbassò gli occhi nella direzione indicata dal maz. La neve arrivava alla caviglia sul fondo della conca. Dall’imboccatura del cunicolo dove si trovavano, delle impronte di scarponi andavano dritte fino all’orlo della conca e tornavano indietro, orme di tre o quattro persone, a quanto sembrava.
«Non le orme» disse Odiedin. «Quelle sono nostre. Lui era carponi. Non poteva camminare. Non so come abbia fatto a strisciare su quel ginocchio. È un tratto lungo.»
E Sutty vide i segni nella neve, segni profondi, solchi. Tutte le impronte di scarponi erano ben lontane, a sinistra.
«Nessuno l’ha sentito. Dev’essere uscito strisciando dopo mezzanotte.»
Abbassando lo sguardo, vicino all’imboccatura ad arco del cunicolo, dove la neve formava uno strato sottile sulla roccia nera, Sutty scorse l’impronta confusa di una mano.
«Là sull’orlo si è alzato in piedi» disse Odiedin. «Per riuscire a saltare.»