La sfida dei gemelli
Margaret Weis e Tracy Hickman
A mio fratello, Gerry Hickman, che mi ha insegnato quello che dovrebbe essere un fratello.
A Tracy, con un grazie di cuore per avermi invitato nel vostro mondo.
Ringraziamenti:
Vorremmo ringraziare i membri originari della compagine che ha concepito la storia delle DRAGONLANCE: Tracy Hickman, Harold Johnson, Jeff Grubb, Michael Williams, Gali Sanchez, Gary Spiegle e Cari Smith.
Vogliamo ringraziare coloro che sono venuti a raggiungerci a Krynn: Doug Niles, Laura Hickman, Michael Dobson, Bruce Nesmith, Bruce Heard, Michael Breault e Roger E. Moore.
Vorremmo ringraziare il nostro curatore, Jean Blashfield Black, che ci e stato accanto durante tutte le nostre vicissitudini e i nostri trionfi.
E infine vogliamo esprimere i nostri ringraziamenti a tutti coloro che ci hanno offerto incoraggiamento e sostegno: David “Zeb” Cook, Larry Elmore, Keith Parkinson, Clyde Caldwell, Jeff Easley, Ruth Hoyer, Carolyn Vanderbilt, Patrick L. Price, Bill Larson, Steve Sullivan, Denis Beauvais, Valerie Valusek, Dezra e Terry Phillips, Janet e Gary Pack, le nostre famiglie e, per ultimi ma non meno importanti, tutti voi che ci avete scritto.
Libro primo.
Il Martello degli Dei.
Come acciaio tagliente, lo squillo di una tromba ruppe l’aria dell’autunno, quando gli eserciti dei nani di Thorbardin discesero, in sella ai loro destrieri, nelle Pianure di Dergoth per incontrare il loro nemico: i loro consanguinei. Secoli di odio e di malintesi fra i nani delle colline e i loro cugini delle montagne tinsero di rosso, quel giorno, le pianure. La vittoria divenne priva di senso, un obbiettivo che nessuno cercava. Vendicare i torti commessi da bisavoli morti da lungo tempo era lo scopo di entrambe le fazioni. Uccidere e uccidere e uccidere ancora, era questa la guerra di Dwarfgate, della Porta dei Nani. Fedele alla sua parola Kharas, l’eroe dei nani, combatté per il suo Re sotto la Montagna. Rasato, la barba sacrificata per la vergogna di dover combattere i suoi consanguinei, Kharas si trovava fra le avanguardie dell’esercito, piangendo mentre uccideva. Ma mentre combatteva, arrivò d’un tratto a capire che la parola vittoria era stata distorta fino ad acquistare il significato di annientamento. Vide cadere gli stendardi di entrambi gli eserciti, li vide giacere calpestati e dimenticati sulla pianura insanguinata mentre la follia della vendetta inghiottiva tutte e due le armate in una spaventosa onda rossa. E quando vide che non aveva importanza la vittoria di questo o di quello, poiché non vi sarebbe stato in realtà nessun vincitore, Kharas scagliò a terra il suo Martello, il martello forgiato con l’aiuto di Reorx, il dio dei nani, e lasciò il campo.
Molte furono le voci che urlarono “Codardo!”. Se Kharas le sentì, non vi prestò nessuna attenzione.
Conosceva nel suo cuore il proprio valore, lo conosceva meglio di chiunque altro. Asciugandosi le lacrime amare dagli occhi, lavandosi le mani dal sangue dei suoi consanguinei, Kharas cercò in mezzo ai morti fino a quando non trovò i corpi dei due amati figli di Re Duncan. Sollevò i corpi mutilati e storpiati dei due giovani nani e li gettò sul dorso di un cavallo; poi Kharas lasciò le Pianure di Dergoth e si avviò verso Thorbardin con il suo fardello.
Kharas, in sella al suo destriero, andò molto lontano, ma non abbastanza da sfuggire al frastuono delle voci rauche che gridavano vendetta, del cozzare dell’acciaio, delle urla dei morenti. Non si voltò a guardare. Sentì che avrebbe continuato a udire quelle voci fino alla fine dei suoi giorni.
L’eroe dei nani era giunto, cavalcando, alle prime pendici dei Monti Kharolis, quando udì l’inizio d’un rimbombo arcano. Il suo cavallo si adombrò. Il nano lo trattenne e si fermò a tranquillizzare l’animale. Mentre lo faceva, si guardò intorno inquieto. Cos’era mai? Non era un fragore di guerra e neppure un suono della natura.
Kharas si voltò. Il suono proveniva da dietro di lui, dalle terre che aveva appena lasciato, terre dove i suoi consanguinei si stavano ancora massacrando nel nome della giustizia. Il suono crebbe d’intensità, diventando un rombo sordo e profondo che si avvicinava sempre più. L’eroe dei nani rabbrividì e abbassò la testa, quando l’orrendo rimbombo fu su di lui, tuonando attraverso le pianure.
È Reorx, pensò con dolore e orrore. È la voce del dio infuriato. Siamo condannati.
Il suono colpì Kharas, insieme all’onda d’urto: una raffica di calore e un vento bruciante, fetido, che quasi lo spazzò via dalla sella. Raffiche di sabbia e di polvere e di ceneri lo avvolsero, trasformando il giorno in un’orribile notte. Gli alberi intorno a lui si piegarono e si contorsero, i cavalli urlarono per il terrore e quasi s’imbizzarrirono.
Accecato dalla nube di polvere pungente, soffocando e tossendo, Kharas si coprì la bocca e cercò meglio che poteva, in quella strana oscurità, di coprire anche gli occhi dei cavalli. Perse il conto del tempo, in quella nuvola di sabbia e cenere e di venti roventi. Ma con la stessa repentinità con cui era venuta, la tempesta cessò.
La sabbia e la polvere si depositarono. Gli alberi si raddrizzarono. I cavalli si calmarono. La nuvola si allontanò, sospinta dai venti più dolci dell’autunno, lasciandosi alle spalle un silenzio più spaventoso del frastuono rimbombante.
Carico di orrendi presentimenti, Kharas pungolò i suoi cavalli affaticati perché proseguissero quanto più rapidamente possibile e s’inoltrò in mezzo alle montagne, cercando disperatamente un punto da cui la visuale potesse spaziare. Alla fine trovò una sporgenza rocciosa. Impastoiati a un albero gli animali con il loro triste fardello, Kharas si spinse con il suo cavallo sulla roccia e guardò sopra le Pianure di Dergoth. Sbigottito, fissò ciò che gli si parava davanti agli occhi.
Nessun essere vivente si muoveva laggiù. In realtà, là sotto non c’era niente del tutto; niente, salvo una distesa di roccia e di sabbia annerita e devastata.
Entrambi gli eserciti erano stati completamente spazzati via. L’esplosione era stata talmente devastante che neppure i cadaveri erano rimasti sulle pianure coperte di cenere. Perfino l’immagine del territorio era cambiata. Lo sguardo inorridito di Kharas andò al luogo dove un tempo si ergeva la magica fortezza di Zhaman, con le sue guglie che dominavano la Pianura. Anch’essa era stata distrutta, ma non totalmente. La fortezza era crollata su se stessa e adesso, cosa ancora più orribile, le sue rovine assomigliavano ad un cranio umano conficcato, ghignante, sulla spoglia Pianura della Morte.
“Reorx, Padre, Forgiatore, perdonaci,” mormorò Kharas, con le lacrime che gli offuscavano la vista.
Poi, la testa china per il dolore, l’eroe dei nani lasciò quel luogo per far ritorno a Thorbardin.
I nani avrebbero creduto, poiché così Kharas avrebbe riferito, che la distruzione di entrambi gli eserciti sulle Pianure di Dergoth era stata causata da Reorx. Che il dio aveva, nella sua collera, scagliato il proprio martello contro il paese, colpendo i propri figli.
Ma le Cronache di Astinus registrano in modo veritiero ciò che accadde quel giorno sulle Pianure di Dergoth:
Adesso, all’apice dei suoi poteri, l’arcimago Raistlin, conosciuto come Fistandantilus, e il chierico dalle Vesti Bianche di Paladine, Crysania, cercarono di entrare nel Portale che conduce all’Abisso, per sfidare la Regina delle Tenebre.
L’arcimago aveva commesso crimini tenebrosi per raggiungere quel punto, il vertice della sua ambizione. Le Vesti Nere che indossava erano macchiate di sangue: in parte il suo stesso sangue.
Eppure quell’uomo conosceva l’animo umano. Sapeva come distorcerlo e piegarlo, inducendo ad ammirarlo coloro che invece avrebbero dovuto vituperarlo e respingerlo. Una di questi era Dama Crysania della Casa di Tarinius, una Reverenda Figlia della Chiesa. Crysania soffriva d’una breccia fatale nel candido marmo della sua anima. E tale breccia Raistlin aveva scoperto e allargato in modo che la crepa si estendesse a tutto il suo essere, per arrivare infine al suo cuore...Crysania lo aveva seguito fino al temuto Portale. Qui lei aveva invocato il suo dio, e Paladine aveva risposto, poiché era lei la sua eletta. Raistlin aveva fatto appello alla propria magia e aveva avuto successo, perché fino a quel giorno non era mai vissuto uno stregone potente quanto quel giovane.