Una volta, molto tempo addietro, Raistlin si era mostrato amico della nana dei fossi. Adesso, Bupu fissava il cielo con occhi vuoti e ciechi. Vestita d’indumenti sudici e sbrindellati, il suo piccolo corpo era pietosamente magro, il volto sudicio sciupato e scarno. Aveva intorno al collo una cinghia di cuoio. Legata all’estremità della cinghia c’era una lucertola stecchita. In una mano Bupu stringeva un topo morto, nell’altra una zampa di pollo secca. Con l’avvicinarsi della morte aveva chiamato a raccolta tutta la magia che possedeva, pensò Tas con tristezza, ma non era servito.
“Non è morta da molto,” disse Caramon. Si avvicinò zoppicando e s’inginocchiò dolorante accanto al piccolo corpo macilento. “Pare che sia morta di fame.” Tese la mano e delicatamente chiuse quegli occhi fissi sul vuoto. Poi scosse la testa. “Chissà come ha fatto a vivere così a lungo? I corpi che abbiamo visto a Solace devono esser morti ormai da mesi.”
“Forse Raistlin l’ha protetta,” sbottò Tas, senza pensare.
Caramon corrugò la fronte. “Bah! È soltanto una coincidenza, nient’altro,” replicò in tono aspro.
“Tu conosci i nani dei fossi, Tas. Possono vivere di qualsiasi cosa. Immagino che siano state le ultime creature a sopravvivere, qui. Bupu, essendo la più scaltra del gruppo, è riuscita a sopravvivere più a lungo degli altri. Ma... alla fine, perfino un nano dei fossi non poteva fare altro che perire in questa terra maledetta da dio.” Scrollò le spalle. “Ecco, aiutami ad alzarmi.”
“Cosa... cosa ne faremo di lei, Caramon?” chiese Tas, sconsolato. “La... la lasceremo qui e basta?”
“Che altro potremmo fare?” borbottò Caramon, burbero. La vista della nana dei fossi e la vicinanza della foresta gli riportavano alla memoria ricordi dolorosi e sgraditi. “Tu, vorresti venire seppellito in quel fango?”. Rabbrividì e lanciò un’occhiata intorno. Le nubi tempestose si stavano avvicinando a precipizio; si vedevano chiaramente i fulmini che guizzavano abbattendosi al suolo, e il tuono rimbombava ormai non tanto lontano. “Inoltre non abbiamo molto tempo, a giudicare dalla velocità con cui quelle nuvole stanno arrivando.”
Tas continuò a fissarlo, mesto.
“Comunque, non è rimasto niente in vita che possa darle fastidio, Tas,” esclamò Caramon, irritato.
Poi, vedendo l’espressione addolorata sulla faccia del kender, Caramon si sfilò il mantello e lo distese con cura sopra quel corpo emaciato. “Faremo meglio a muoverci,” disse.
“Addio, Bupu,” disse Tas con voce sommessa. Accarezzando la piccola mano irrigidita che stringeva ancora il topo morto, fece per tirare l’angolo del mantello su di essa, quando vide qualcosa luccicare al rosso bagliore di Lunitari. Tas trattenne il fiato, pensando di aver riconosciuto l’oggetto.
Con cautela aprì le dita irrigidite dalla morte. Il topo cadde al suolo e, insieme ad esso, uno smeraldo.
Tas afferrò il gioiello. Nella sua mente era tornato a... qual era stato il posto? Xak Tsaroth?
Si erano infilati in un condotto fognario per nascondersi alle truppe draconiche. Raistlin era stato colto da un accesso di tosse... Bupu lo fissò con ansia, poi affondò le piccole mani dentro la sua borsa, vi frugò per alcuni minuti, poi tirò fuori un oggetto che sollevò alla luce. Lo fissò socchiudendo gli occhi, poi sospirò e scosse la testa. “Non è questo che voglio,” borbottò.
Tasslehoff, avendo intravisto un lampeggiare vivido e colorato, strisciò più vicino. “Cos’è?” chiese, anche se già sapeva la risposta.
Anche Raistlin fissò l’oggetto con gli occhi lucidi e spalancati.
Bupu scrollò le spalle. “Graziosa roccia,” disse con scarso interesse, mettendosi nuovamente a frugare nella borsa.
“Uno smeraldo!” esclamò Raistlin, con voce ansimante.
Bupu sollevò lo sguardo dalla borsa. “ Ti piace?” chiese a Raistlin.
“Moltissimo,” rispose il mago, boccheggiante.
“Tu tieni.” Bupu mise il gioiello nella mano del mago. Poi con un grido di trionfo, tirò fuori quello che aveva cercato. Tas, sporgendosi da vicino per vedere la nuova meraviglia si ritrasse disgustato.
Era una lucertola morta, molto morta. C’era un pezzo di cuoio masticato legato intorno alla coda rigida della lucertola. Bupu la porse a Raistlin.
“Tu porta intorno al collo,” gli disse. “Cura tosse.”
“Così, Raistlin era qui,” mormorò Tas. “È stato lui a darglielo, deve averlo fatto! Ma perché? Un amuleto... un dono...?”
Il kender scosse la testa, sospirò e si alzò in piedi. “Caramon,” cominciò a dire. Poi vide l’omone che, immobile, fissava la Foresta di Wayreth. Vide il volto pallido di Caramon e indovinò quello che stava pensando.
Tasslehoff si infilò lo smeraldo in tasca.
La Foresta di Wayreth appariva morta e desolata come il resto del mondo intorno a loro. Ma, per Caramon, era viva di ricordi. Innervosito, si mise a fissare quegli strani alberi, i loro tronchi umidi e i rami in putrefazione sembravano luccicare al bagliore sanguigno di Lunitari.
“La prima volta che sono arrivato qui avevo paura,” disse Caramon a se stesso, con la mano sull’elsa della spada. “Non ci sarei mai entrato se non fosse stato per Raistlin. La seconda volta avevo ancora più paura, quando ho condotto qui Dama Crysania alla ricerca di aiuto. Allora non ci sarei mai entrato se non fosse stato per gli uccelli che mi hanno attirato con il loro dolce canto.” Sorrise cupamente. “Calma la foresta, calme le case completate. Dove cresciamo e non marciamo più” cantavano. Pensavo che promettessero aiuto. Pensavo che mi promettessero tutte le risposte. Ma adesso capisco il significato della canzone. La morte, quella è la sola dimora perfetta, la sola dimora in cui cresciamo e non andiamo più in putrefazione!”
Scrutando l’interno del bosco, Caramon rabbrividì, malgrado il calore opprimente dell’aria notturna.
“Questa volta ho più paura di quanta ne abbia mai avuta prima,” borbottò. “C’è qualcosa di sbagliato là dentro.” Un lampo accecante illuminò il cielo e il suolo, seguito da un sordo boato e dallo spiaccicarsi di una goccia di pioggia sulla sua guancia. “Ma per lo meno, è ancora in piedi,” commentò. “La sua magia dev’essere forte per riuscire a sopravvivere alla tempesta.” Il suo cuore si contrasse dolorosamente. Ricordandosi che aveva sete, si leccò le labbra asciutte e screpolate.
“‘Calma è la foresta’” citò ancora.
“Cos’hai detto?” gli chiese Tas, arrivando al suo fianco. “Ho detto che una morte vale l’altra,” rispose Caramon scrollando le spalle.
“Tu sai che sono morto tre volte,” disse Tas, solennemente. “La prima volta è stata a Tharsis, dove i draghi mi hanno fatto crollare addosso un edificio. La seconda volta è stato a Neraka, là sono stato avvelenato da una trappola e Raistlin mi ha salvato. E l’ultima volta è stata quando gli dei mi hanno fatto cadere addosso una montagna di fuoco. E, tutto considerato,” rifletté per un momento, “credo che sia un’affermazione giusta, la tua. Una morte ne vale press’a poco un’altra. Vedi, quel veleno mi ha fatto un sacco di male, ma è finito molto in fretta, mentre l’edificio, d’altro canto...”
“Suvvia,” Caramon sogghignò stancamente, “risparmia il fiato per dirlo a Flint.” Sfoderò la spada.
“Pronto?”
“Pronto,” rispose Tas in tono risoluto. “Lascia il meglio per ultimo”, aveva l’abitudine di dire mio padre. Anche se,” il kender fece una pausa, “penso che intendesse riferirsi alla cena, e non alla morte. Ma, con tutta probabilità, ha l’identico significato.”
Sguainando il suo pugnaletto, Tas seguì Caramon nell’incantata Foresta di Wayreth.
Capitolo quinto.
L’oscurità li inghiottì. Né la luce della luna, né quella delle stelle potevano penetrare la profonda notte della Foresta di Wayreth. Là dentro si smarriva perfino il fulgore dei micidiali, magici lampi.