E malgrado si potesse udire il rombare del tuono, questo pareva soltanto un’eco lontana di se stesso.
Inoltre, Caramon poteva udire dietro di loro il continuo martellare della pioggia e il crepitare della grandine. Ma lì, nella Foresta, era tutto asciutto. Soltanto gli alberi che si trovavano al limitare erano toccati dalla pioggia.
“Oh, insomma, questo sì che è un sollievo!” esclamò Tas, con voce allegra. “Se soltanto potessimo avere un po’ di luce, io...”
Le sue parole vennero interrotte da un gorgoglio soffocato. Caramon sentì un tonfo e il crepitare del legno, e il sordo frusciare di qualcosa che veniva trascinato sul terreno.
“Tas?” gridò.
“Caramon!” gridò Tas in affannata risposta. “È un albero! Un albero mi ha preso! Aiuto, Caramon, Aiuto!”
“Stai scherzando, Tas?” replicò Caramon in tono severo. “Perché non è divertente...”
“No!” urlò Tas. “Mi ha preso e mi sta trascinando da qualche parte!”
“Cosa... dove?” urlò di rimando Caramon. “Non riesco a veder niente in questa maledetta oscurità! Tas?”
“Qui, qui!” gridò ancora Tas, fuori di sé. “Mi ha agguantato un piede e sta cercando di squartarmi!”
“Continua a gridare, Tas!” urlò Caramon, incespicando in mezzo a quella frusciante oscurità.
“Credo di essere vicino...”
Il gigantesco ramo di un invisibile albero colpì Caramon in pieno petto, sbattendolo al suolo e facendogli mancare il fiato per la violenza dell’impatto. L’omone giacque là, cercando d’inspirare l’aria, quando sentì uno scricchiolio alla sua destra. Sferrò alla cieca un fendente con la sua spada, rotolando via, e qualcosa di pesante si abbatté proprio là dove era giaciuto fino a un attimo prima.
Caramon si alzò in piedi barcollando, ma un altro ramo lo colpì in fondo alla schiena, facendolo cadere lungo disteso a faccia in giù sul suolo brullo della Foresta.
Il colpo alla schiena l’aveva anche raggiunto ai reni, facendolo rantolare per il dolore. Caramon si sforzò di rialzarsi, ma il ginocchio gli pulsava di dolore e la testa gli girava. Non riusciva più a sentire la voce di Tas. Non riusciva a sentire niente tranne il crepitio e il frusciare degli alberi che si stavano rinserrando intorno a lui. Qualcosa gli raschiò il braccio. Caramon sussultò e strisciò fuori dalla sua portata, ma soltanto per sentire qualcos’altro che lo afferrava per un piede. Disperato, lo colpì con il taglio della spada. Le schegge del legno schizzarono via pungendolo alla gamba, ma parve che il suo assalitore non subisse alcuna conseguenza.
Nei rami massicci dell’albero c’era la forza dei secoli. La magia dava all’albero energia e determinazione. Caramon aveva violato la terra che l’albero sorvegliava, una terra proibita a coloro che non vi erano stati invitati. Sapeva che l’albero l’avrebbe ucciso.
Un altro ramo si avvinghiò alla grossa coscia di Caramon. Altri tralci lo afferrarono per le braccia, cercando una presa ancor più solida. Nel giro di pochi istanti sarebbe stato squartato... Sentì Tas urlare per il dolore...
Alzando la voce, Caramon urlò disperato: “Sono Caramon Majere, fratello di Raistlin Majere! Devo parlare a Par-Salian o a chiunque sia Padrone della Torre adesso!”
Vi fu un attimo di silenzio... un attimo di esitazione. Caramon sentì esitare la volontà degli alberi e i rami che allentavano impercettibilmente la loro presa.
“Par-Salian, sei là? Par-Salian, tu mi conosci! Io sono il suo gemello. Sono la tua sola speranza.”
“Caramon?” Una tremula domanda gli arrivò alle orecchie. “Zitto, Tas!” sibilò Caramon.
Il silenzio gravava pesante su di loro, come l’oscurità. E poi, lentamente, Caramon sentì che i rami allentavano la loro presa. Sentì di nuovo i fruscii e i crepitìi, soltanto che questa volta si allontanavano a poco a poco da lui. Ansimando di sollievo, indebolito dalla paura e dal dolore, e dal malessere che cresceva dentro di lui, Caramon appoggiò la testa sul braccio, cercando di riprendere fiato.
“Tas, stai bene?” riuscì a stento a chiocciare.
“Sì, Caramon,” risuonò accanto a lui la voce del kender. Allungando la mano, Caramon lo afferrò e lo tirò a sé.
Malgrado sentisse il rumore di qualcosa che si muoveva nel buio e sapesse che gli alberi si stavano ritirando, aveva anche la sensazione che gli stessi alberi stessero osservando ogni sua singola mossa, ascoltando ogni sua parola. Lentamente e con cautela, rinfoderò la sua spada.
“Ti sono davvero grato per aver pensato di dire a Par-Salian chi sei, Caramon,” disse Tas, ansando per recuperare il fiato. “Stavo giusto cercando d’immaginare come avrei spiegato a Flint che ero stato assassinato da un albero. Non sono ancora certo che sia permesso di ridere nell’Oltretomba, ma scommetto che Flint si sarebbe messo a ridere a crepa...”
“Sst!” gli intimò Caramon, con un filo di voce.
Tas si azzittì. Poi bisbigliò: “Stai bene?”
“Sì. Lasciami solo il tempo di riprendere fiato. Ho perso la gruccia.”
“È qui. Ci sono caduto sopra.” Tas si allontanò strisciando e ritornò qualche istante più tardi, trascinandosi dietro il ramo imbottito. “Ecco.” Aiutò Caramon a risollevarsi in piedi, l’omone barcollava.
“Caramon,” chiese un attimo dopo, “quanto tempo pensi che impiegheremo ad arrivare alla Torre? Ho... ho una sete terribile, e, anche se le mie interiora stanno un po’ meglio di quando mi sono sentito male, poco fa, di tanto in tanto sento ancora delle strane contrazioni allo stomaco.”
“Non so, Tas,” Caramon sospirò. “Non riesco a vedere un bel niente in questa oscurità. Non so dove stiamo andando, o quale sia la strada giusta, o come faremo a camminare senza andare a sbattere dritti contro qualcosa...”
All’improvviso, i fruscii ricominciarono, come se un vento di tempesta stesse scuotendo i rami degli alberi. Caramon divenne teso e perfino Tas s’irrigidì allarmato, quando sentirono gli alberi che ricominciavano a rinserrarsi su di loro. Tas e Caramon erano impotenti nel buio, mentre gli alberi si avvicinavano sempre di più. I rami toccarono la loro pelle e le foglie morte sfiorarono i loro capelli, bisbigliando strane parole ai loro orecchi. La mano tremante di Caramon tornò a chiudersi sopra l’elsa della spada, anche se sapeva che sarebbe servito a ben poco. Ma poi, quando gli alberi li premevano ormai da ogni lato, i movimenti e i bisbigli cessarono. Gli alberi erano di nuovo immoti.
Allungando la mano, Caramon toccò i solidi tronchi alla sua destra e alla sua sinistra. Poteva sentirli ammassati alle sue spalle. Gli venne un’idea: tese un braccio nel buio e tastò intorno a sé. Il terreno era sgombro.
“Tienti vicino a me, Tas,” ordinò e per una volta nella sua vita il kender non discusse. Insieme, avanzarono inoltrandosi nell’apertura lasciata dagli alberi.
Dapprima si mossero con cautela, timorosi d’inciampare su una radice o su un ramo caduto, o di rimanere impigliati in un cespuglio o di ruzzolare dentro una buca. Ma a poco a poco si resero conto che il suolo della foresta era liscio e asciutto, sgombro da ogni ostacolo, libero da qualunque vegetazione. Non avevano nessuna idea di dove stavano andando. Camminavano nella più assoluta oscurità, sospinti lungo un sentiero irreversibile dagli alberi che si dischiudevano davanti a loro per poi rinchiudersi alle loro spalle. Qualunque deviazione dal sentiero stabilito li conduceva a ridosso di una muraglia di tronchi e di rami aggrovigliati, di foglie morte e sussurranti.
Il calore era opprimente. Non c’era vento, non cadeva pioggia. La sete, smarritasi nella loro paura, tornò a tormentarli. Asciugandosi il sudore sul viso, Caramon si meravigliò dello strano, soffocante calore, poiché era assai più intenso qui che all’esterno della Foresta. Pareva che il calore venisse generato dalla Foresta stessa. La Foresta era più viva di quanto avesse notato le ultime due volte che era stato lì. Certamente era più viva del mondo esterno: sentiva, o gli pareva di sentire, tra il frusciare degli alberi, i movimenti di animali o il frullio delle ali degli uccelli, e talvolta sorprese un luccichio nel buio. Ma il fatto di trovarsi di nuovo in mezzo a esseri viventi non fece provare nessuna sensazione di conforto a Caramon. Percepiva il loro odio e la loro rabbia ma, nel medesimo istante in cui li sentiva, si rese conto che non erano diretti contro di lui. Erano diretti contro se stessi.