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“Bene, adesso sanno che siamo qui,” disse Tas.

La mano di Caramon si chiuse un’altra volta sull’elsa della spada, ma non sguainò la lama. Gli echi si spensero. Il silenzio tornò a chiudersi su di loro. Non successe nulla. Non venne nessuno.

Nessuna voce parlò.

Tas si voltò per aiutare Caramon, zoppicante, a proseguire. “Per lo meno non dovremo più ascoltare quell’orrendo suono,” disse scavalcando il cancello rotto. “Adesso non m’importa di dirlo, ma quell’urlio cominciava a darmi sui nervi. Certamente aveva un suono assai poco da cancello, se capisci quello che voglio dire. Assomigliava a... assomigliava a...”

“A questo,” bisbigliò Caramon.

L’urlo tagliò l’aria, solcando l’oscurità illuminata dal chiarore lunare, soltanto che questa volta era diverso. C’erano parole in quell’urlo, parole che potevano essere percepite, anche se non definite.

Girando involontariamente la testa, anche se sapeva quello che avrebbe visto, Caramon fissò il cancello dietro di sé. Giaceva sulle pietre, morto, senza vita.

“Caramon,” disse Tas, deglutendo. “Questo prò... proviene dalla... Torre...”

“Smettila!” urlò Par-Salian. “Metti fine a questo tormento! Non costringermi a sopportarlo ancora.”

Quanto mi hai costretto a sopportare, o Grande Mago dalle Vesti Bianche? giunse la voce sommessa e deridente, nella mente di Par-Salian. Lo stregone si contorceva in preda all’agonia, ma la voce persisteva, spietata, scorticando la sua anima come un flagello. Mi hai portato qui e mi hai consegnato a lui, Fistandantilus! Sei rimasto seduto a guardare mentre mi strappava la forza vitale, prosciugandola, così da poter vivere su questo piano.

“Sei stato tu a concludere l’accordo,” gridò Par-Salian, la sua voce antica risuonò lungo i vuoti corridoi della Torre. “Avresti potuto rifiutarglielo...”

E cosa? Morire onorevolmente? La voce rise. Che razza di scelta è mai questa? Io volevo vivere!

Crescere nella mia Arte! E sono vissuto. E tu, nella tua acredine, mi hai dato questi occhi a clessidra, questi occhi che non vedevano nient’altro, intorno a sé, che morte e putrefazione. Adesso tocca a te guardare, Par-Salian! Cosa vedi intorno a te? Nient’altro che morte... Morte e putrefazione... Così siamo pari.

Par-Salian gemette. La voce continuò, spietata, impietosa.

Pari, sì. E adesso ti ridurrò in polvere, poiché nei tuoi ultimi, torturati momenti, Par-Salian, sarai testimone del mio trionfo. Già la mia costellazione risplende nel cielo. E quella della Regina rimpicciolisce. Ben presto si affievolirà e scomparirà per sempre. Adesso il mio ultimo nemico, Paladine, mi aspetta. Lo vedo avvicinarsi. Ma non è certo una sfida: un vecchio, curvo, la faccia accorata e piena di quel dolore che si rivelerà la sua disfatta. È debole... debole e ferito al di là di qualunque guarigione, come lo era Crysania, il suo povero chierico, morta nell’Abisso. Mi vedrai mentre lo distruggerò, Par-Salian, e quando anche questa battaglia sarà conclusa, quando la costellazione del Drago di Platino precipiterà dal cielo, quando il bagliore di Solinari si sarà estinto, quando avrai visto e riconosciuto il potere della Luna Nera e avrai reso omaggio al nuovo e unico Dio, a me, allora verrai liberato, Par-Salian, per trovare qualunque sollazzo ti sia possibile nella morte!

Astinus di Palanthas registrò le parole, così come aveva registrato l’urlo di Par-Salian, scrivendo il tutto con le sue lettere nitide, chiare, ornate, con il suo stile lento, per nulla affrettato. Sedeva davanti al Grande Portale della Torre della Grande Stregoneria, fissando le profondità in ombra del Portale, vedendo in quella profondità una figura più nera perfino dell’oscurità intorno ad essa. Erano visibili soltanto due occhi dorati, le loro pupille avevano la forma di clessidra, che lo fissavano a loro volta, allo stesso modo in cui fissavano lo stregone vestito di bianco intrappolato lì accanto.

Poiché Par-Salian era prigioniero nella sua stessa Torre. Dalla vita in su era un uomo vivo, i bianchi capelli gli ricadevano lungo le spalle, le vesti bianche coprivano un corpo sottile ed emaciato, gli occhi scuri erano fissi sul Portale. Lo spettacolo che aveva visto era stato orrendo e aveva, molto tempo addietro, quasi distrutto il suo equilibrio mentale. Ma non poteva distogliere lo sguardo.

Dalla vita in su, Par-Salian era un uomo vivo. Dalla vita in giù, era un pilastro di marmo. Maledetto da Raistlin, Par-Salian era costretto a restare immobile nella stanza più alta della Torre e a osservare, in amara agonia, la fine del mondo.

Accanto a lui sedeva Astinus, Storico del Mondo, Cronista, intento a scrivere quell’ultimo capitolo della breve e vivida storia di Krynn. Palanthas la Bella, dove Astinus era vissuto e dove si ergeva la Grande Biblioteca, adesso non era altro che un mucchio di cenere e di corpi carbonizzati. Astinus era venuto nell’ultimo luogo ancora in piedi su Krynn, per testimoniare e registrare le ultime, terrificanti ore del mondo. Quando tutto fosse finito, avrebbe preso il libro chiuso e l’avrebbe deposto sull’altare di Gilean, il Dio della Neutralità. E quella sarebbe stata la conclusione irrevocabile.

Percependo che la figura abbigliata di nero dentro il Portale stava girando lo sguardo su di lui, quando arrivò alla fine della frase Astinus sollevò lo sguardo per incontrare gli occhi dorati.

Così come sei stato il primo, Astinus, disse la figura, così tu sarai l’ultimo. Quando avrai registrato la mia ultima vittoria, il libro verrà chiuso. Io regnerò incontrastato.

“È vero, regnerai incontrastato. Regnerai su un mondo morto. Un mondo che la tua magia ha distrutto. Regnerai da solo. E sarai solo, solo nel vuoto informe ed eterno,” rispose gelidamente Astinus, continuando a scrivere mentre parlava. Accanto a lui, Par-Salian gemeva e si strappava i bianchi capelli.

Vedendo, come vedeva ogni cosa, senza dar l’impressione di vedere,

Astinus osservò le mani della figura abbigliata di nero che si serravano. Questa è una menzogna, vecchio amico! Io creerò! Saranno miei nuovi mondi. Nuovi popoli che creerò, nuove razze che mi faranno oggetto di venerazione!

“Il male non può creare,” osservò Astinus. “Può soltanto distruggere. Aggredisce se stesso, corrodendosi. Già senti che ti stai corrodendo. Già puoi sentire la tua anima che si rattrappisce.

Guarda il volto di Paladine, Raistlin. Guardalo, come l’hai guardato una volta, là sulle Pianure di Dergoth, quando giacevi morente, ferito dalla spada del nano, e Dama Crysania posò su di te le sue mani guaritrici. Vedesti il patimento e il dolore del dio, allora, come lo vedi adesso, Raistlin. E allora sapevi, come anche adesso sai, pur rifiutandoti di ammetterlo, che Paladine soffre non per se stesso, ma per te.

“Sarà facile per noi scivolare di nuovo nel nostro sonno senza sogni. Per te, Raistlin, non ci sarà nessun sonno. Soltanto una veglia interminabile... Tenderai interminabilmente l’orecchio per udire suoni che non verranno mai, fisserai interminabilmente un vuoto che non contiene né luce né tenebra, interminabilmente urlerai parole che nessuno udrà e alle quali nessuno risponderà.

Congiurerai e complotterai interminabilmente senza nessun frutto, girandoti e rigirandoti su te stesso. Alla fine, nella tua follia e disperazione, afferrerai la coda della tua esistenza e, come un serpente affamato, divorerai te stesso per intero nello sforzo di trovare cibo per la tua anima.

“Ma non troverai altro che il vuoto. E continuerai a esistere per sempre dentro questo vuoto, un minuscolo punto di niente, che succhierà ogni cosa intorno a sé per nutrire la tua fame interminabile...”