Lei non rispose, ma sorrise. L’aveva sentito, oppure stava ascoltando un’altra voce?
Rivolto verso il Portale che scintillava in distanza come un gioiello multicolore, Caramon pensò di trovarsi vicino ad esso, e avanzò rapidamente.
D’un tratto l’aria intorno a lui si spaccò crepitando. I lampi si abbatterono dal cielo come tante stilettate, lampi quali Caramon non aveva mai visto prima. Migliaia di sfrigolanti biforcazioni purpuree colpirono il suolo, intrappolandolo per un istante in una spettacolare prigione le cui sbarre erano la morte. Paralizzato dallo shock, Caramon non riuscì più a muoversi. Perfino dopo che i lampi furono scomparsi attese, intimorito, l’esplosivo rimbombare del tuono che avrebbe dovuto assordarlo per sempre. Ma vi fu soltanto il silenzio, il silenzio e, in lontananza, un acuto urlo d’agonia.
Crysania aprì gli occhi. «Raistlin,» disse, stringendo ancora di più la mano intorno al medaglione.
«Sì,» rispose Caramon.
Le lacrime colarono lungo le guance di Crysania. Chiuse gli occhi e si tenne aggrappata a Caramon. Lui continuò a procedere in direzione del portale. Adesso camminava lentamente, un’idea inquietante, allarmante, gli si era affacciata alla mente. Dama Crysania stava morendo, certo. Il pulsare della vita nel suo collo era debole, palpitava sotto le sue dita come il cuore di un uccellino.
Ma non era morta, non ancora. Forse, se fosse riuscito a farle riattraversare il Portale, sarebbe riuscita a sopravvivere. Ma sarebbe riuscito a farglielo varcare, senza varcarlo lui stesso? Sempre stringendola fra le braccia, Caramon si avvicinò ancora di più al portale. O meglio, il Portale si avvicinò a lui, balzò verso di lui mentre si avvicinava, aumentando di dimensioni, gli occhi dei draghi lo fissavano scintillanti, le bocche aperte per ghermirlo e divorarlo. Poteva ancora vedere attraverso il Portale, poteva vedere Tanis e Dalamar, uno in piedi, l’altro seduto; nessuno dei due si muoveva, entrambi erano pietrificati nel tempo. Avrebbero potuto aiutarlo? sostenere Crysania?
«Tanis!» gridò. «Dalamar!»
Ma, anche se lo sentirono gridare, non reagirono alla sua voce. Delicatamente, appoggiò Dama Crysania sul terreno immutevole davanti al Portale. Allora Caramon seppe che non c’era nessuna speranza, l’aveva saputo da sempre. Avrebbe potuto riportarla indietro e lei sarebbe sopravvissuta.
Ma ciò avrebbe significato che Raistlin sarebbe vissuto e fuggito, attirando la Regina dietro di sé, condannando alla distruzione il mondo e le sue genti. Si lasciò cadere su quello strano terreno. Si sedette accanto a Crysania e le prese la mano. In un certo senso era lieto che lei fosse lì con lui. Non si sentiva più così solo. Il tocco della sua mano era confortante. Se soltanto avesse potuto salvarla...
«Cos’hai intenzione di fare a Raistlin, Caramon?» chiese Crysania, dopo qualche istante, con voce sommessa.
«Impedirgli di lasciare l’Abisso,» rispose Caramon. La sua voce risuonò monotona, senza inflessione.
Lei annuì, stringendogli saldamente la mano, fissandolo con gli occhi ciechi.
«Ti ucciderà, vero?»
«Sì,» rispose Caramon con fermezza. «Ma non prima di essere caduto anche lui.»
Uno spasimo di dolore contorse il volto di Crysania. La donna afferrò la mano di Caramon...
«Ti aspetterò!» disse, soffocando. La sua voce s’indebolì. «Ti aspetterò... Quando sarà finita, mi farai da guida poiché non posso più vedere. Mi porterai da Paladine. Mi condurrai fuori dalla tenebra.»
I suoi occhi si chiusero, la sua testa ricadde lentamente, come se fosse appoggiata su un cuscino.
Ma la sua mano stringeva ancora quella di Caramon. Il petto le si alzava e le si abbassava con il respiro. Caramon le appoggiò le dita sul collo, sentì la vita pulsare sotto di esse.
Era stato pronto a condannare se stesso a morte, era pronto a condannare suo fratello. Era stato tutto così semplice!
Ma... poteva condannare lei?
Forse aveva ancora tempo... Forse avrebbe potuto condurla attraverso il Portale e tornare...
Pieno di speranza, Caramon si alzò in piedi e prese tra le braccia il corpo di Crysania, per risollevarlo da terra. Poi, con la coda dell’occhio, intravide un movimento.
Si girò di scatto, e vide Raistlin.
Capitolo nono.
«Cavaliere della Rosa Nera,» ripetè Dalamar.
Occhi di fiamma fissarono Tanis, che aveva portato di scatto la mano all’elsa della spada. Nel medesimo istante delle dita sottili gli toccarono il braccio, facendolo sobbalzare.
«Non interferire, Tanis,» disse Dalamar con voce sommessa. «Non gl’importa niente di te. Viene per una cosa soltanto.»
Quel serpentino sguardo fiammeggiante guizzò oltre Tanis. La luce delle candele traeva riflessi dall’antica armatura, consunta e decorata sulla quale era ancora visibile, sotto i segni anneriti delle bruciature e del suo stesso sangue (da moltissimo tempo divenuto polvere) il tenue profilo della Rosa, il simbolo dei Cavalieri di Solamnia. Piedi che calzavano stivali ma che non producevano nessun suono attraversarono la stanza. Gli occhi arancione avevano trovato il loro oggetto in un angolo in ombra: la forma rannicchiata che giaceva sotto il mantello di Tanis.
Tienilo lontano! Tanis sentì la voce spasmodica di Kitiara. Ti ho sempre amato, mezzelfo!
Lord Soth si fermò e s’inginocchiò accanto al corpo. Ma parve incapace di toccarlo, come se fosse stato trattenuto da qualche forza invisibile. Alzandosi in piedi, si voltò, i suoi occhi arancione fiammeggiarono nella vuota oscurità sotto l’elmo che indossava.
«Lasciala libera per me, Tanis Mezzelfo,» disse quella voce cavernosa. «Il tuo amore la vincola a questo piano. Rinuncia a lei.»
Tanis, stringendo la spada, fece un passo avanti.
«Ti ucciderà, Tanis,» lo ammonì Dalamar. «Ti ucciderà senza nessuna esitazione. Lasciala libera per lui. Dopotutto, penso che forse è lui l’unico fra noi ad averla veramente capita.»
Gli occhi arancione lampeggiarono. «Capita? Ammirata! Come per me, il suo destino era quello di regnare, di conquistare! Ma lei era più forte di me. Poteva gettare via l’amore che minacciava d’incatenarla. Se non fosse stato per uno scherzo del fato, avrebbe dominato tutto Ansalon!»
La voce cavernosa risuonò per la stanza, sorprendendo Tanis per la sua passione, il suo odio.
«Ed era là!». Strinse il pugno racchiuso nel guanto di cotta. «Intrappolata a Sanction come una bestia in gabbia, intenta a far piani per una guerra che non poteva sperare di vincere. Il suo coraggio e la sua risolutezza cominciavano a indebolirsi. Si era perfino lasciata incatenare come una schiava a un elfo scuro suo amante! Sarebbe stato meglio che fosse morta combattendo, piuttosto che la sua vita si spegnesse come una candela sgocciolante.»
«No!» borbottò Tanis, stringendo la mano sulla spada. «No...»
Le dita di Dalamar si chiusero sul suo polso. «Non ti ha mai amato, Tanis,» gli disse, gelido. «Ti ha usato, come ha usato noi tutti, perfino lui.» L’elfo scuro lanciò un’occhiata a Lord Soth. Tanis parve sul punto di parlare, ma Dalamar l’interruppe. «Ti ha usato fino in fondo, Mezzelfo. Perfino adesso, si protende dall’aldilà, sperando che tu la salvi.»
Tanis esitò ancora. Nella sua mente ardeva l’immagine del suo volto pieno di orrore. L’immagine ardeva, le fiamme si levavano...
Le fiamme riempirono la vista di Tanis. Fissandole, vide un castello, un tempo orgoglioso e nobile, adesso nero e sgretolato, che crollava in mezzo alle fiamme. Vide una fanciulla elfa adorabile e delicata, con un bambino tra le braccia, che cadeva in mezzo alle fiamme. Vide guerrieri che correvano, morendo, precipitando in mezzo alle fiamme. E dalle fiamme sentì giungere la voce di Lord Soth.
«Tu hai la vita, Mezzelfo. E hai molto per cui vivere. E tra i vivi, c’è chi dipende da te. Lo so, poiché tutto ciò che possiedi un tempo era mio. L’ho gettato via, scegliendo di vivere nelle tenebre invece che nella luce. Vuoi seguirmi? Vuoi buttare via tutto ciò che possiedi per qualcuno che, tempo addietro, ha scelto di percorrere i sentieri della notte?»