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Allungando il braccio, la fragile mano di Raistlin si chiuse intorno al Bastone di Magius che giaceva al suo fianco. La luce del suo cristallo ardeva limpida e intensa nell’oscurità che si andava infittendo, diffondendo su tutti e tre il suo magico bagliore. Raistlin sollevò il Bastone e lo porse al suo gemello.

Caramon esitò, inarcò le sopracciglia.

«Prendilo!» gli intimò Raistlin, brusco, sentendo che le forze gli venivano meno. Tossì.

«Prendilo!» ripetè, ansimando per respirare. «Prendilo e varca il Portale insieme a Crysania. Usa il Bastone per chiuderlo alle tue spalle.»

Caramon lo fissò senza comprendere, poi i suoi occhi diventarono due fessure sottili.

«No, non sto mentendo,» ringhiò Raistlin. «Ti ho mentito altre volte, ma non adesso. Prova. Vedi tu stesso. Guarda, ti libero dall’incantesimo. Non posso lanciare un altro incantesimo. Se scoprirai che sto mentendo potrai uccidermi. Non sarò in grado di fermarti.»

Il braccio con cui Caramon impugnava la spada venne liberato. Potè muoverlo. Sempre impugnando la spada, gli occhi fissi sul suo gemello, tese l’altra mano, esitante. Le sue dita toccarono il Bastone: fissò intimorito la luce nel cristallo, aspettandosi che si spegnesse, lasciandoli tutti nell’oscurità gelida che si stava addensando intorno a loro.

Ma la luce non ebbe alcun fremito. La mano di Caramon si chiuse intorno al Bastone, sopra la mano di suo fratello. La luce sfolgorava, diffondendo la sua radiosità sulle vesti nere lacere e insanguinate, sull’armatura resa opaca da uno strato di fango.

Raistlin liberò lentamente il Bastone, quasi cadde ma si risollevò barcollando, mettendosi dritto senza nessun aiuto, da solo. Il Bastone in mano a Caramon continuò a sfolgorare.

«Spicciati,» lo sollecitò Raistlin con freddezza. «Impedirò alla Regina di seguirvi. Ma le mie forze non dureranno a lungo.»

Caramon lo fissò per un momento, poi guardò il Bastone, la sua luce che continuava a brillare. Alla fine, con un sospiro affannoso, rinfoderò la spada.

«Cosa sarà... di te?» chiese con voce aspra, inginocchiandosi per prendere Crysania tra le braccia.

Verrai torturato nella mente e nel corpo. Alla fine di ogni giorno morirai per il dolore. All’inizio di ogni notte ti riporterò alla vita. Non sarai in grado di dormire ma giacerai sveglio in tremante attesa del giorno a venire. Al mattino la mia faccia sarà la prima cosa che vedrai.

Queste parole si avvolsero intorno al cervello di Raistlin come un serpente. Dietro di sé, poteva sentire una soffocante risata di scherno.

«Vattene, Caramon,» disse, «lei sta arrivando.»

La testa di Crysania era appoggiata contro l’ampio petto di Caramon. I capelli scuri le ricadevano sul volto pallido. La sua mano stringeva ancora il medaglione di Paladine. Mentre la guardava, Raistlin vide svanire le devastazioni del fuoco, lasciando il suo volto privo di cicatrici, raddolcito in un’espressione di tranquillo riposo.

Raistlin sollevò lo sguardo sul volto di suo fratello, e vide quell’eterna espressione stupida, quell’espressione di sconcerto, di perplessità ferita.

«Sciocco rincretinito! Cosa t’importa di ciò che mi accadrà? Vattene fuori da qui!»

L’espressione di Caramon cambiò, o forse non cambiò. Forse era stata sempre così. Le forze gli stavano venendo meno molto rapidamente, e la sua vista era offuscata. Ma gli parve di cogliere la comprensione negli occhi di Caramon...

«Addio... fratello mio,» disse Caramon. Stringendo Crysania fra le braccia, con il Bastone di Magius in una mano, Caramon si voltò e si allontanò. La luce del Bastone creava un cerchio intorno a lui, un cerchio d’argento che risplendeva nell’oscurità come i raggi di Solinari, quando la luna creava scintillanti riflessi sulle calme acque del lago Crystalmir. I raggi argentei colpirono le teste di drago, immobilizzandole, tramutandole anch’esse in argento, azzittendo le loro urla.

Caramon varcò il Portale. Raistlin, osservandolo con la sua anima, intravide una confusione di colori e di vita e sentì un breve alito di calore toccargli la guancia infossata.

Dietro di sé udì la risata di scherno gorgogliare, trasformandosi in un respiro aspro e sibilante. Potè udire il viscido rumore d’una gigantesca coda scagliosa, il crepitare dei tendini delle ali. Là dietro, cinque teste bisbigliavano parole di tormento e di terrore.

Raistlin rimase là, risoluto, con lo sguardo fisso sul Portale. Vide Tanis che accorreva ad aiutare Caramon, lo vide prendere Crysania fra le braccia. Le lacrime offuscarono la vista di Raistlin.

Voleva seguirli! Voleva che Tanis gli toccasse la mano! Voleva stringere Crysania tra le sue braccia... Fece un passo avanti.

Vide Caramon che si voltava verso di lui, con il Bastone in mano.

Caramon guardò l’interno del Portale, guardò il suo gemello, guardò al di là del suo gemello.

Raistlin vide gli occhi di suo fratello spalancarsi per la paura.

Raistlin non ebbe bisogno di voltarsi per sapere quello che suo fratello aveva visto. Takhisis rannicchiata dietro di lui. Poteva sentire il gelo del suo ripugnante corpo da rettile scorrergli intorno, facendogli svolazzare le vesti. La sentì alle proprie spalle, eppure la Regina delle Tenebre non pensava a lui, vedeva spalancata la via che conduceva al mondo.

«Chiudila!» urlò Raistlin.

Una vampa bruciò la pelle di Raistlin. Un artiglio gli trafisse la schiena. Incespicò, cadde in ginocchio. Ma non tolse mai gli occhi dal Portale e vide Caramon, il volto del suo gemello in preda all’angoscia, fare un passo verso di lui.

«Chiudila, pazzo!» stridette Raistlin, stringendo i pugni. «Lasciami solo! Non ho più bisogno di te!

Non ho bisogno di te!»

E poi la luce scomparve. Il Portale si chiuse di colpo e l’oscurità gli piombò addosso con furore inarrestabile, travolgente. Gli artigli gli lacerarono la pelle, i denti gli penetrarono nei muscoli e gli schiacciarono le ossa. Il sangue gli colò dal petto, ma senza portarsi via la sua vita.

Urlò, e avrebbe urlato, e avrebbe continuato a urlare, all’infinito.

Qualcosa lo toccò... una mano... L’afferrò, stringendola, mentre la mano lo scuoteva delicatamente.

Una voce chiamò: «Raist! Svegliati! E stato soltanto un sogno. Non aver timore. Non permetterò che ti facciano del male! Ecco, guarda... ti faccio ridere!»

Le spire del drago si strinsero, mozzandogli il respiro. Luccicanti zanne nere gli divorarono gli organi vitali, gli mangiarono il cuore. Lacerandogli il corpo, cercarono la sua anima.

Un braccio robusto lo cinse, tenendolo stretto a sé. Una mano si levò, rilucente d’argento, formando immagini infantili nella notte, e la voce, appena udibile, bisbigliò: «Guarda, Raist, i coniglietti... »

Lui sorrise. Non aveva più paura. Caramon era là.

Il dolore si alleviò. Il sogno venne ricacciato indietro. Sentì, molto lontano, un gemito di amaro disappunto e di collera. Non aveva importanza. Niente aveva più importanza. Adesso si sentiva soltanto stanco, così stanco... molto stanco...

Appoggiando la testa sul braccio di suo fratello, Raistlin chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da un sonno buio, interminabile, senza sogni.

Capitolo undicesimo.

Le gocce dell’orologio ad acqua colavano costanti, incessanti, echeggiando nel laboratorio silenzioso. Guardando dentro il Portale con gli occhi che gli bruciavano per lo sforzo, Tanis quasi si convinse che le gocce stessero cadendo, ad una ad una, sui suoi nervi spasmodicamente tesi.

Sfregandosi gli occhi, voltò le spalle al Portale con un ringhio amareggiato, e si mosse per dare un’occhiata fuori dalla finestra. Dopo tutto quello che aveva vissuto, sarebbe rimasto assai poco sorpreso se avesse scoperto che la primavera era giunta e trascorsa, che l’estate era sbocciata e morta, e l’autunno stava iniziando.

Il fumo denso non passava più turbinando davanti alla finestra. Gli incendi, avendo divorato tutto ciò di cui potevano nutrirsi, si stavano spegnendo. Alzò lo sguardo al cielo. I draghi erano scomparsi alla vista sia i buoni sia i cattivi. Tese l’orecchio. Nessun suono proveniva dalla città sotto di lui. La foschia nebbiosa, la tempesta e il fumo gravavano ancora su di essa, incupiti ancora di più dall’oscurità del Bosco di Shoikan.