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Lei estrasse pane e carne dall’involto. Gli offrì la sua parte, ma Hugh non sporse la mano dal mantello per prenderli. Si aggobbì ancora di più, desolato. — Adesso no — disse.

— Su, avanti. Non hai mangiato per tutto… ieri, quando è stato.

— Non ho fame.

— Almeno bevi un po’.

Lui annuì, ma non si mosse per andare a bere al rivoletto. Dopo un poco disse: — Irena.

— Sì — disse lei, masticando la carne affumicata. Aveva una fame tremenda, e già adocchiava la razione che lui non aveva toccato.

— Il… Dove…

— Lassù — disse Irena, indicando il pendio alberato sopra la sorgente. Lui alzò lo sguardo, irrequieto.

— È…

— Era morto.

Hugh rabbrividì; Irena vide il fremito scuoterlo in tutto il corpo. Le faceva pena, ma in quel momento lei pensava soprattutto al cibo. — Mangia qualcosa — disse. — È buono. Fra non molto dovremo rimetterci in cammino. Se te la senti.

— In cammino — ripeté lui.

Irena addentò un pezzo di pane secco e duro. — Via. Fuori. Alla porta.

Lui non disse nulla. Prese una striscia di carne affumicata, la masticò svogliatamente, poi desistette. Andò al rivoletto, a bere. Si muoveva con impaccio, e impiegò un po’ di tempo per abbassarsi in modo da poter bere. Bevve a lungo, e finalmente si alzò, laboriosamente, stringendosi intorno alle spalle il mantello rosso. — Ho bisogno della mia camicia o di qualcosa — disse.

— Vedi se è asciutta. Ho dovuto lavarla. E anche la giubba.

Hugh si guardò i jeans, irrigiditi e anneriti dalle striature di sangue coagulato, e deglutì. — Giusto. Dov’è? — Vide la camicia che lei aveva steso ad asciugare su una grande felce, e si liberò del mantello per indossarla. Irena lo guardava, osservando la bellezza delle massicce braccia lucide e della gola. La pietà e l’ammirazione la pervasero. Disse: — Hai ucciso il drago, Hugh.

Lui finì di abbottonarsi la camicia, e dopo un minuto si girò verso di lei. Tra i macigni grigi e le felci arcuate, stava immobile, e lei stava immobile tra la roccia e le felci; e si guardarono.

— Tu mi hai preceduto — disse Hugh, lentamente, rivivendo il momento alla svolta del sentiero più in alto. — Sei scesa correndo… hai gridato: «Vieni fuori». Come… Perché l’hai fatto?

— Non so. Ero stanca di avere paura. Mi sono infuriata. Quando ho visto la grotta. Quando l’ho vista, ho saputo che lei era là dentro, e che tu saresti entrato per cercarla, saresti entrato e non saresti più uscito, e non ho potuto sopportarlo. Ho dovuto farla uscire.

Hugh infilò nei jeans le falde della camicia, rabbrividendo a ogni movimento.

— Hai detto «lei» — mormorò.

— Infatti. — Irena non voleva parlare delle mammelle e delle braccia esili.

Hugh scosse la testa, con aria nauseata e un pallore crescente. — No, era… La ragione per cui ho dovuto ucciderlo… — disse, e poi tese la mano brancolando per cercare un appoggio, e si alzò vacillando.

— Non importa. È morto.

Lui restò immobile, distogliendo il viso, guardando il ruscelletto.

— La spada è…

— La cintura e il fodero sono qui fra le felci, da qualche parte. La spada è… — Irena doveva avere la stessa aria nauseata, perché lui l’interruppe: — Non la voglio.

— Hugh, credo che dovremmo proseguire. Io voglio andare. Se ti senti abbastanza bene.

— Che cosa mi è successo?

— Ti è caduto addosso.

Hugh trasse un profondo respiro; il suo viso era sbigottito.

— Non ti senti qualcosa di rotto? Niente?

— Sono illeso. Non riesco a scaldarmi.

— Dovresti mangiare.

Lui scosse la testa.

— Allora forse possiamo andare. Qui è umido. Forse camminando ti scalderai.

— Giusto — disse lui, avvicinandosi al punto dove avevano dormito tra le felci. Irena si organizzò: legò il pacco dei viveri e la giacca di pelle ancora bagnata per poterli portare più facilmente, e diede a Hugh il mantello rosso. — Mettilo bene, vedi, si allaccia al collo. Io porterò la tua giubba, così, finché si asciugherà. — Lui si muoveva tanto goffamente che Irena gli chiese: — La spalla va bene?

— Sì. È il fianco, credo di essermi incrinato qualcosa.

— Ce la fai a camminare? — chiese lei bruscamente, allarmata.

— Passerà quando mi sarò scaldato. — Hugh aveva un tono di scusa.

— Non so dove siamo — disse lei.

Rimasero fermi sul sentiero, appena oltre il nastro sottile e il mormorio del rivoletto che l’attraversava e scendeva tra felci e muschio e radici d’alberi, giù per la montagna.

— L’unico modo per sapere con certezza dove andiamo sarebbe ritornare indietro, ripercorrere tutta la pista. — Irena indicò con un gesto la direzione della caverna, lassù. — Oltre l’antro, e ritornare al Gradino Alto, e ridiscendere fino alla città e alla strada del sud.

— No — disse Hugh.

— Bene — disse lei, con grande sollievo ma senza poterlo ammettere. — Neanch’io lo desidero. È stato un viaggio spaventosamente lungo. Ma non so dove sia la porta, rispetto a qui.

— Se scendiamo — disse lui, — forse ritroveremo il senso dell’asse, la direzione.

— Sta bene. Se quello sul quale ci troviamo è il lato sud della montagna, questo sentiero conduce a est. Se possiamo procedere verso est o sud-est, dovremmo attraversare il Terzo Fiume, più o meno ai piedi della montagna. E seguire il Terzo Fiume fino alla strada, e poi continuare fino alla porta. Dovrebbe essere molto più breve che fare di nuovo tutto il giro.

Hugh annuì; e lei si avviò, giù per il sentiero, sotto gli esili, fitti abeti. La rincuorava camminare, la rincuorava la decisione di non tornare indietro; aveva avuto paura che lui volesse tornare indietro. — Vai senza guardarti indietro…

Le figure bianche stavano silenziose sulla strada semibuia, ormai da molto tempo e per sempre immutabili.

Il sentiero era stretto e sassoso, e scendeva dolcemente. Era piacevole camminare, sciogliendo i crampi e gli indolenzimenti delle braccia e delle gambe, e respirare era agevole. Per tutto quel percorso interminabile dal Gradino Alto alla grotta, per tutto quel giorno o tutti quei giorni di paura e di marcia, lei non aveva potuto respirare normalmente: c’era stata una pressione sui polmoni, dal basso in alto. Adesso sentiva che respirare era un piacere profondo come quello di bere l’acqua fresca. Io respiro, io sono il respiro; sono così, sono così. Cammino, procedo sulla terra, sono la terra, il respiro; e alla base di tutto questo, la gioia.

Avevano percorso molta strada quando il sentiero giunse in fondo alla gola. Lì c’era un crepuscolo buio, e un ruscello silenzioso scorreva sotto gli arbusti inclinati e le felci, un guado indistinto e sdrucciolevole. Hugh attraversò lentamente. Lei vide che non camminava con scioltezza. Vide che da questa parte della gola il sentiero tornava indietro, puntando verso ovest.

Se era ovest.

Tutta la sicurezza l’abbandonò in quel luogo scuro e scivoloso. Se si erano spinti più lontano di quanto lei avesse immaginato, e se l’antro del drago era sul lato occidentale della montagna, allora tutto il suo orientamento era sbagliato. Erano in un territorio del quale non sapeva nulla. Anirotembre, la terra dietro la montagna: quel nome era tutto ciò che loro ne avevano detto. Se c’erano cittadine e villaggi, non ne avevano mai parlato. Cos’aveva detto una volta Hugh, dell’ovest? Qualcosa a proposito del mare. Non andava bene. Doveva decidere cosa fare. La pista che stavano percorrendo poteva essere un cerchio. Era la stessa pista che avevano seguito da quando avevano lasciato il Gradino Alto, era la strada del drago. Poteva continuare zigzagando tra i burroni e salire e scendere le pendici intorno alla montagna e ritornare finalmente al Gradino Alto. Giorni di cammino, forse, e già Hugh stava là a testa china, lieto di fermarsi. Era inutile camminare in cerchio. Dovevano abbandonare il sentiero del drago, e uscire.

— Credo che forse dovremmo lasciare la pista a questo punto — disse Irena, parlando a voce bassa, perché quel luogo profondo incuteva soggezione. — Dobbiamo cercare di continuare verso est.