Lui giaceva con gli occhi chiusi e la testa girata, nudo per tre quarti, con i jeans abbassati. Lei toccò la lunga linea splendida dal fianco alla gola, guardò i peli serici e biondi, stranamente innocenti, nel cavo dell’ascella. — Sei freddo — disse, e riuscì a tirare il mantello rosso su tutti e due. — Sei bella — disse lui, mentre le sue mani cercavano di descrivere quella bellezza in carezze, ma senza fretta, con tenerezza sonnolenta. Giaceva con la faccia contro la spalla di lei. Semiaddormentata, lei vide le fronde immobili degli abeti contro il cielo quieto. Il conforto che si davano l’un l’altro era grande, ma era l’unico che potevano avere. Il terreno era duro. Lo sentiva rabbrividire nel sonno. Si scostò da lui. Lui protestò, mormorando il suo nome, ripiombando per un minuto nel sonno.
Irena si rivestì, rabbrividendo un poco a sua volta, e quando lui si svegliò, gli fece mettere la giubba di pelle, che finalmente era abbastanza asciutta, e sopra il mantello. — È lo shock che ti fa sentir freddo — disse lei.
— Lo shock di che cosa? — chiese Hugh, con un sorriso placido.
— Taci. Ti fa sentir freddo… lo shock da lesioni.
— Credo che abbiamo scoperto come scaldarci.
— Sì, d’accordo, ma non possiamo arrivare alla porta standocene qui a fare l’amore, Hugh.
— Non so se potremo arrivarci camminando — disse lui. — Almeno potremo goderci le soste — aggiunse, e poi la guardò per assicurarsi di non averla offesa, di non aver turbato il suo pudore. Il pudore di lui, la sua vulnerabilità, le sembravano del tutto ammirevoli. Lei era molto più cruda, pensò, e se la giudicava doveva disapprovarla; ma lui non la giudicava. Non veniva a lei con giudizi, o con una collocazione, o un nome, o un uso per lei. Veniva a lei senza altro che la forza e il bisogno.
La stava guardando. Le disse: — Irena, sai, è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata. Lei annuì, incapace di rispondere.
— Credo che dovremmo proseguire — disse lui. Si tastò il fianco sinistro con un’espressione pensierosa e disgustata. — Vorrei che passasse.
— Ci vorrà un po’. È un livido tremendo.
Lui la stava guardando di nuovo, incerto; poi, risolutamente, si avvicinò, le toccò i capelli e la guancia e la baciò… in modo non esperto e non molto appassionato; ma era il loro primo bacio. Più del bacio, a lei piaceva il tocco della grossa mano. Voleva dirgli che era bello e che le piaceva, ma dire certe cose non le riusciva mai bene.
— Stai abbastanza calda? — chiese lui. — Tutti gli abiti li ho io.
— Mi scaldo sempre camminando.
Lui attese che lei si avviasse, senza fingere di sapere dove dovevano andare. Lei s’incamminò, con un nuovo slancio di sicurezza, lungo la cresta, continuando il percorso a fianco del fiumicello, nella direzione che era decisa a chiamare est.
Camminarono a passo regolare, senza parlare, per un lungo tratto. La cresta, un lungo, esile sperone della montagna, s’incurvava un po’ verso sinistra; il dosso saliva e si abbassava, ma l’inclinazione complessiva era sempre in discesa. I boschi, sulla cresta, erano radi, e rendevano agevole il cammino, e c’erano lunghi tratti scoperti dove era piacevole camminare sulla corta erba secca e bruniccia, lontano dal cupo baldacchino dei rami. Finalmente, lo sperone cominciò a scendere più ripido, e poi a precipizio. Poiché non riuscirono a trovare un percorso più facile, dovettero scendere aggrappandosi alle radici, a volte lasciandosi scivolare. Si rialzarono sul fondo, nel letto del fiume, un burrone scosceso, ammantato di fitta vegetazione. Subito scesero al ruscello, per bere.
Irena risalì la sponda fangosa, verso un tratto sgombro formato dalla caduta di un grosso albero, e restò lì a riflettere. Il ruscello aveva circa la stessa ampiezza del Terzo Fiume. Se era il Terzo Fiume, bastava che lo seguissero, per incrociare la strada del sud… Ma quello non era il Terzo Fiume. Era lo stesso ruscello che avevano seguito dalla sorgente, la fonte tra le felci, sotto l’antro del drago. Scorreva verso est o sud-est, giù dalla montagna, in quella gola. Il Terzo Fiume scorreva verso ovest, aldilà della montagna. Quello doveva essere un affluente; avrebbe incontrato il Terzo Fiume, in qualche punto. Scorreva verso sinistra, e il Terzo Fiume doveva scorrere verso destra, da quella parte, se lei in quel momento era rivolta verso sud…
Irena cercò di calcolare: se i fiumi scorrevano in direzioni opposte, verso che punto cardinale era rivolta? Sentì un nome alla gola. I nomi della bussola, nord, ovest, sud, est, erano parole prive di significato. Qualunque direzione lei guardasse poteva essere il sud. O poteva essere il nord.
Hugh la raggiunse. — Pronta per una pausa? — le chiese. Le posò una mano sulla spalla. Lei si ritrasse istintivamente da quel contatto.
Subito lui si allontanò, attraversando la piccola radura. Sedette, con la schiena contro il tronco massiccio dell’albero caduto, e chiuse gli occhi.
Quando Irena andò a sedersi accanto a lui, le disse: — Forse dovremmo mangiare qualcosa.
Lei aprì l’involto e tirò fuori i viveri rimasti. Erano più di quanto avesse pensato: certamente sarebbero bastati ancora per un giorno. Questo le diede il coraggio per dire: — Non so dove siamo.
— Non l’abbiamo mai saputo, vero? — disse lui, impassibile. Poi, con uno sforzo visibile, si mosse, aprì gli occhi, fece domande e diede suggerimenti. Discussero l’opportunità di seguire ancora quel ruscello, poiché prima o poi doveva gettarsi in uno dei fiumi più grandi.
— Oppure, se andiamo nella direzione sbagliata, arriveremo al mare — disse lui, scherzando; ma la sua voce si spense, all’ultima parola.
— L’altra possibilità sarebbe svoltare a sinistra, qui — disse Irena, masticando una seconda striscia di carne affumicata e sentendosi rianimata da quel nutrimento. — Perché continuo a pensare che non stiamo andando abbastanza verso est. E finché restiamo sulla montagna non siamo perduti completamente… almeno sappiamo dov’è la montagna.
— Ma non ci avviciniamo alla porta.
— Lo so. Ma la montagna è l’unico vero punto di riferimento che abbiamo. Dato che abbiamo perso il senso della collocazione della porta.
— Lo so. È tutto eguale. Come quando avevo superato la porta. Credo… credo di aver paura che sia accaduto di nuovo. La porta non c’è più. Non possiamo trovare nulla.
— A me non è mai accaduto — disse lei, in tono di sfida. — E non mi accadrà. Non resterò qui.
Lui stava sospingendo gli aghi d’abete per formare disegni sul suolo, accanto all’albero caduto.
— Questa è tua — disse lei, sforzandosi di distogliere gli occhi dall’altra razione di carne.
— Non ho fame.
Dopo un po’, lei chiese: — Non lo fai per lasciarlo a me, o qualcosa del genere, vero?
— No — disse lui, candidamente, stupito; sorrise, alzando la testa verso di lei. — Non ho voglia di mangiare, ecco tutto. Se l’avessi, per te non resterebbe niente.
— Non puoi digiunare e continuare a camminare così.
— E invece sì. Vivo del mio grasso, come un cammello.
Lei si accigliò. Avrebbe voluto avvicinarsi di più e toccarlo, i capelli ruvidi e le stanche guance irsute, la mano grande, potente e tuttavia infantile; ma glielo impedì il ricordo di essersi sottratta di scatto al suo tocco pochi minuti prima. Avrebbe voluto confutare l’autodenigrazione di lui, ma non sapeva cosa dire.
Gli occhi di Hugh erano chiusi o si stavano chiudendo: s’era appoggiato all’indietro, contro l’albero caduto. Lei non disse nulla, chiusa in un senso di timidezza e di profonda depressione. Quando gli lanciò un’altra occhiata, era addormentato, con la faccia molle, la mano abbandonata sulla coscia.
Avrebbero dovuto proseguire. Dovevano proseguire. Non potevano mettersi a sedere o a dormire, altrimenti non sarebbero mai giunti alla porta. — Hugh — disse Irena. Lui non la sentì. Poi la sua ansia si dissolse nella pura, appassionata tenerezza dalla quale era sorta. Si accostò a lui, lo spinse gentilmente per farlo sdraiare. Lui si svegliò. — Dormi — sussurrò lei. Hugh obbedì. Sedette accanto a lui, per un po’. E mentre stava seduta, ascoltò il suono del ruscello vicino, al quale prima non aveva prestato attenzione. Li scorreva tranquillo, fluendo dolcemente sulla sabbia o sul fango, in un mormorio lievissimo. Irena cominciò a rendersi conto della propria stanchezza. Prese il mantello rosso, che lui non aveva più indossato da quando aveva cominciato a scaldarsi nella giubba di pelle, e lo stese su entrambi come una coperta, poi si adagiò contro Hugh, e si addormentò.