Irene rimase immobile a guardarlo.
L’uomo passò tra il pino e gli allori e proseguì. Era strano; lei non aveva mai guardato attraverso la porta, da questa parte? Il sentiero che saliva così erto e scuro verso la luce del giorno sembrava pianeggiante e scoperto, visto da lì, oltre l’acqua; non sembrava diverso dai sentieri della terra crepuscolare. Poteva scorgerlo per un lungo tratto, nella penombra sotto gli alberi, e poteva vedere l’uomo che lo percorreva, allontanandosi nella grigia luce immutabile.
3.
Spezzò il cartello, calpestò i pezzi schiacciandoli nel fango, e rimase lì, con la camicia e i jeans infradiciati dal momento in cui aveva inciampato nel ruscello, con le scarpe piene d’acqua. — Bastardi — disse, ed erano le prime parole che avesse mai pronunciato a voce alta nel luogo del crepuscolo. — Subdoli bastardi!
Gli alti cespugli scricchiolarono e si agitarono. Qualcuno uscì da quel nascondiglio, un ragazzo dai capelli neri che lo fissava. — Vattene — disse il ragazzo. — Sgombra. Questa è proprietà privata.
— D’accordo. Dov’è la mia roba? — Hugh avanzò d’un passo. — Mi è costata una settimana di stipendio. Che cosa ne hai fatto?
— È su nel bosco. Non riportarla qui. Non tornare. Vattene!
Il ragazzo si fece avanti, sdegnato, irridente, pieno d’odio. Hugh non riuscì a reprimere un tremito. — D’accordo — disse, — non è necessario che… — Era inutile. Si voltò, ridiscese la riva e attraversò il ruscello, scivolando e recuperando l’equilibrio. Si diresse verso la porta. Doveva andarsene. Se ne sarebbe andato, e non sarebbe più ritornato: era finita. La sua roba era su, nel bosco, e lui avrebbe varcato la porta e avrebbe ripreso la sua roba e non sarebbe ritornato mai più.
Ma aveva già varcato la porta.
Quando si voltò indietro, vide dietro di lui il crepuscolo, e il turbinare dell’acqua e le rocce che l’infrangevano, e davanti a lui scorse il crepuscolo e il sentiero che proseguiva tra gli alberi.
Aveva perduto la strada. La strada non c’era.
Continuò per qualche passo, poi si fermò; restò immobile; poi tornò indietro, passando fra gli alti cespugli e il pino dalla corteccia rossa, nel luogo dell’inizio.
L’altro, lo sconosciuto, era ancora fermo sull’altra sponda. Non era un ragazzo ma una donna, con i jeans e la camicetta bianca, una macchia indistinta di capelli neri, un viso bianco e intento a fissarlo.
— Non posso uscire — disse Hugh. — La strada non c’è.
Le voci sonore e dolci dell’acqua scorrevano tra loro. Hugh era profondamente spaventato. Disse: — Se conosci questo posto, se vivi qui, dimmi come posso uscire!
La donna si fece avanti bruscamente, attraversò il ruscello, passando agile e leggera da una pietra all’altra. Si fermò accanto alla sporgenza di roccia e indicò la porta. — Là.
Lui scosse il capo.
— Quella è la porta.
— Lo so.
— Vai!
— È cambiata — disse lui. Si voltò e attraversò la radura, passò fra i cespugli e il pino e proseguì. La via non diventava più buia ed erta sotto gli arbusti e i rovi, e più avanti non c’era la luce del sole. Gli alberi erano fitti e indistinti nel crepuscolo senza vento, e non c’era altro suono che la musica del ruscello, dietro di lui. Alla fine si voltò e vide la donna ferma accanto all’acqua, intenta a fissarlo.
Tornò indietro. Lei gli andò incontro, sull’erba.
— Il sentiero prosegue — disse la donna, in un sussurro. — Non ho mai visto una cosa simile. Non è mai stata chiusa da questa parte… Vieni! — Passò oltre Hugh, svelta e irosa, avviandosi verso la porta. Lui l’accompagnò. Il ruvido tronco rossiccio del pino gli sfiorò la spalla. Sul sentiero buio, un ramo di rovo gli si impigliò ai capelli. Scorgeva appena la donna che lo precedeva. Un uccellino cinguettò in toni secchi, dall’alto. L’aria aveva un odore di fumo, di gomma, di benzina, d’aghi di pino riscaldati dal sole. Il terreno era arido, sotto i suoi passi. — Ecco là la tua roba — disse la donna. Lo zaino e il sacco a pelo giacevano nell’erba ispida accanto ai cespugli.
Hugh li guardò, come per controllare che ci fosse tutto. Non osò voltarsi indietro. Temeva che, se avesse guardato dietro di sé, il crepuscolo si sarebbe levato per accompagnarlo. La donna, una ragazza della sua età, era ferma sul sentiero: capelli neri, occhi neri, viso bianco.
— Che luogo è questo? — le chiese. — Lo sai?
Lei non rispose subito, e Hugh pensò che non intendesse farlo. — Se fosse il tuo posto, lo sapresti — disse invece la ragazza con quella sua voce esile e aspra.
— Io devo… — Hugh non riuscì a pronunciare le parole. Perché restava lì immobile, a lasciare che lei lo svergognasse? Si sentiva il viso accaldato e irrigidito: aveva pianto? Si strofinò la mano sulla mascella, nascondendo la bocca, per nascondere la vergogna.
— Non è un campeggio per giovani esploratori — disse lei. — Non è fatto perché tu ci porti la tua robaccia e ti ci accampi e… Non è un parco statale. Tu non ne sai niente. Non conosci le regole. Non parli la lingua, non conosci le loro… Non è il tuo posto. Non è fatto per te. Non è sicuro.
La collera non affiorava per liberarlo dalla vergogna. Doveva restare lì e ascoltare quello che lei diceva, e poi ripetere l’unica cosa che aveva da dire: — Io devo tornare. — La sua voce era un mormorio. — Non lascerò niente là.
La ragazza tremò di rabbia come un frammento di giornale squassato dal vento, un pezzo di carta in fiamme.
— Ti avverto!
Ciò che gli aveva detto prima stava incominciando a imprimersi nella mente di Hugh. — C’è… c’è gente che vive qui?
Dopo una lunga pausa, lei disse: — Sì.
Gli occhi della ragazza lampeggiarono stranamente nella luce irrequieta.
— Ti stanno aspettando — disse poi, con quella voce soffocata e irridente, e all’improvviso avanzò e passò oltre Hugh, non tornò indietro, come lui si aspettava, scendendo il sentiero verso quella terra crepuscolare, ma lo superò, brusca, svelta, concreta, e continuò a procedere nel mattino. Dopo poco più di un metro la massa dei cespugli la nascose, e dopo un altro momento anche il suono lieve dei suoi passi svanì.
Hugh rimase sbalordito e svuotato nell’aria tepida e leggermente polverosa del bosco, continuamente scossa dalla vibrazione di macchine lontane. Una chiazza di luce solare filtrava tra le foglie e danzava sull’involucro marrone del suo sacco a pelo, in un movimento incessante.
E adesso dove andrò? Non ho nessun posto dove andare.
Era stanco, esausto dalle emozioni… collera, paura, angoscia. Si sedette sul bordo del sentiero, con una mano sullo zaino, per proteggerlo, o forse per cercare sicurezza. La spaventosa sofferenza della privazione non l’abbandonava, non diminuiva.
Forse lo sente anche lei, pensò. È come se io glielo avessi tolto.
Ma non posso farne a meno. Devo ritornare. Non ho nessun altro posto dove andare. Lei non ha il diritto… Quella non era la parola più appropriata, ma Hugh non sapeva come esprimersi altrimenti.
Tornerò. Non lascerò qui la mia roba. Almeno, non nella radura della porta. Potrei andare oltre… risalire il ruscello per un tratto. Lei non può andare dovunque. Non c’è ragione perché dobbiamo incontrarci mai più.
A meno che io non possa più uscire.
Quel pensiero passò lieve attraverso la sua mente. Il terrore panico che l’aveva dominato quando la porta aveva condotto soltanto nel proseguimento del crepuscolo era già sprofondato dentro di lui, troppo per riemergere facilmente. Se è ancora così, posso aspettare, si disse, e passare con lei, quando verrà.
Lei è come me; viene da qui. Ma ha detto che qui c’è gente che ci vive.