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Irene si fermò sotto gli ultimi alberi, tra l’erba alta, riprendendo respiro dopo la salita. Hugh stava accanto a lei: vedeva il suo petto sollevarsi e abbassarsi in profondi respiri regolari mentre guardava il grande prato e i pendii che si ergevano ripidi, al di sopra.

— È questo, il posto? — le chiese.

Erano le prime parole che pronunciava da quando avevano attraversato il ponte.

— No. Siamo circa a metà strada, credo. Il Gradino Alto è avanti, lassù. — Lei additò le pareti grige e le balze che incombevano sul Prato Lungo, lontano, sulla destra del punto dove stavano. — Con le pecore, ci volevano sempre due giorni per arrivare fin là; si accampavano qui, nel Prato Lungo.

— Mi domandavo perché mi avevano dato tutti questi viveri.

— San Giorgio e i panini — disse Irene; e un convulso d’ilarità pazza la investì e l’abbandonò con la stessa rapidità con cui era sopraggiunto. Guardò Hugh. S’era liberato dello zaino e della giubba di pelle, e si stava riassestando la cintura con una smorfia. — Questa maledetta spada continua a farmi inciampare. — Alzò la testa e incontrò lo sguardo di lei. — È tutto fasullo — disse, e arrossi. — Una commedia.

— Lo so.

Ma il silenzio aleggiava intorno alle loro voci, ed entrambi lo udivano.

— Non senti la… — Lui esitò, con goffa delicatezza. — …la paura?

— Non esattamente. Mi sento nervosa, ma non… ho l’impressione che abbia voltato le spalle.

Hugh sistemò la spada come voleva, si passò la mano tra i capelli, e sospirò, rumorosamente, ouf!

— Non l’hai mai sentita? — chiese Irene, incuriosita.

— Non credo.

— Molto bene.

— L’ultima volta, quando sono passato oltre la porta, ero spaventato. Lo sai. Spaventato davvero, in preda al panico. Ma perché temevo di perdermi. Non è così, vero?

Lei scrollò la testa. — No, affatto. È piuttosto la sensazione che troverai qualcosa che non vuoi trovare. Hugh fece una smorfia.

— È spaventoso — disse Irene. — Ma qui non ho mai avuto paura di perdermi. So sempre dov’è la porta. E la piccola città. E la Città del Re, credo.

Lui annuì. — Sono tutte sulla stessa linea, lo stesso asse. Ma quando sono passato oltre la porta, l’ho perduto. Sembrava tutto eguale. Non riconoscevo neppure il ruscello della soglia, quando l’ho attraversato. Se non ti avessi incontrata…

— Ma eri sul sentiero… o quasi. Direi che ti eri lasciato prendere dal panico e non riflettevi.

— Quando hanno detto che dovevo salire la montagna, abbandonando l’asse, stavo per lasciarmi prendere di nuovo dal panico. Quando tu hai detto che saresti venuta, mi è sembrato… Lo sai. Come se avessi una possibilità.

Stava cercando di ringraziarla, ma lei non sapeva come accettare un ringraziamento.

— Perché hai parlato di commedia?

— Non so. — Hugh continuò a guardare il prato. Miglia d’erba alta, senza fiori, verde e argentea nella luce immutabile, lievemente piegata dal vento. Il cielo era vuoto. Né un uccello, né una nuvoletta. — La spada, credo.

— Pensi che non ne avrai bisogno?

— Averne bisogno? — Lui la guardò, piuttosto stupidamente.

— A che serve? Contro cosa dovresti combattere, con quella?

— Non so.

— E se non dovessi neppure combattere… se non servisse? Se c’è qualcosa, quassù, una specie di essere potentissimo o qualcosa di simile, perché non ci hanno detto che cos’è? E se fosse inutile tentare di combattere?

— Perché ci avrebbero ingannati? — chiese Hugh.

— Perché non possono fare altro. Non voglio dire che il Nobile Horn sia malvagio. Non so cosa sia. Non puoi dire che quello che fanno sia bene o male. Come hai detto tu, fanno ciò che devono fare. Il Padrone parlava di fare un patto, di pagare. Intendeva… non so cosa intendeva. Non capisco, ecco, non so cosa stiamo cercando di fare, qui.

Hugh si passò di nuovo la mano tra i folti capelli sudati. — Ma non dovevi venire quassù — disse con quel suo modo di fare gentile e ostinato.

— Sì, dovevo venire. Non so. Dovevo. Era tempo di andare.

— Ma perché da questa parte? Avresti potuto andare semplicemente a casa.

— A casa! — disse lei.

Lui non rispose, per un po’. Poi annuì. — Immagino — disse. E dopo un momento: — Proseguiamo. Continuo a pensare che presto verrà buio.

7.

L’erba era alta, folta, aggrovigliata, e non mostrava alcun sentiero. La ragazza si avviò a passo sicuro, tagliando di sbieco verso le balze lontane, attraverso la grande terrazza d’erba. Non c’era bisogno di procedere uno dietro l’altra, lì, come sugli stretti viottoli della foresta. Hugh le camminava al fianco, ma a un paio di metri di distanza, perché lei aveva fatto capire chiaramente che non lo voleva vicino. L’erba fitta gli si aggrovigliava intorno alle caviglie, e lui stava imparando a posare direttamente il piede a ogni passo, come per camminare sulla neve. La spada ingombrante gli batteva contro la coscia, ma era piacevole poter andare a un passo ritmico e allungato, invece di brancolare e di inerpicarsi. Ed era piacevole e raro, in quella terra di foreste, avere in vista la destinazione, vedere le vette che lentamente torreggiavano più alte.

Dopo un lungo tempo, Hugh parlò. — Ora continuo a pensare che sia mattina.

La ragazza annuì. — Perché quassù è più chiaro, credo. Non ci sono alberi.

— Ed è aperto verso est.

Continuarono a camminare, in silenzio. In quell’immensa prateria vuota, sembrava naturale che non vi fosse altro suono che il lieve fruscio sferzante dell’erba contro le loro gambe e talvolta il mormorio del vento negli orecchi. Una blanda esultanza pervase il corpo e la mente di Hugh, un ritmo euforico intonato al suo passo. Stava facendo ciò che era venuto per fare, andava dove doveva andare. Aveva guadagnato il diritto di stare lì, il diritto di amare Allia.

Non aveva importanza che lei non conoscesse la lingua in cui le aveva detto «Ti amo». Non aveva importanza se non si fossero incontrati mai più. Era il suo amore che contava, che lo portava avanti, senza angoscia e senza paura. Non poteva aver paura. La morte è la sorella dell’amore, la sorella dal volto velato.

Mentre procedevano e, lentamente, la parete di roccia torreggiava più alta, e le pieghe e le cicatrici e i piani inclinati della sua superficie si rivelavano, e l’erba selvatica frusciava sferzante al ritmo del suo passo, e le profondità del cielo si stendevano come acque sopra di lui, Hugh sentì ancora una volta che sarebbe stato felice di continuare a camminare per sempre in silenzio attraverso quell’altopiano. Ora non c’era stanchezza in lui. Non si sarebbe stancato mai. Avrebbe potuto continuare così per sempre, volgendo le spalle a tutto.

La ragazza stava dicendo il suo nome. Lo aveva pronunciato più di una volta. Lui non voleva fermarsi. Non c’era nulla per cui valesse la pena di fermarsi. Ma la voce di lei risuonava esile, come il richiamo lamentoso di un uccello marino, e Hugh si fermò e si voltò indietro.

Un po’ prima erano arrivati direttamente sotto le pareti a strapiombo, e da quel momento avevano camminato verso nord, sull’erba più bassa, a fianco di enormi frane e cascate di roccia frantumata, invase per metà da erbe e saggina. La ragazza era parecchio più indietro di lui, alla piega esterna di una fenditura nella base delle pareti, e quando Hugh tornò indietro vide che era l’accesso di un sentiero. Appariva stretto e buio.