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— Non ce la faccio ad andare avanti, adesso — disse lei.

— Anch’io. Ma dovremmo nasconderci. — Era uno sforzo persino parlare.

Strisciarono e sdrucciolarono carponi per qualche metro, più in giù lungo il pendio sempre più ripido. Una grande macchia di rododendri aveva formato una nicchia per le sue radici. Sotto gli alti, vecchi cespugli, la muffa delle foglie era profonda, e aveva un lieve sentore amaro. Irena si insinuò in quella nicchia, e seduta lì, aggobbita come una bambina, cominciò a svolgere il fardello di lana che aveva tenuto stretto sotto il braccio sinistro fino a quel momento. Hugh si infilò un po’ più addentro negli arbusti fino a quando poté sdraiarsi bocconi. Avrebbe voluto slacciarsi la cintura per liberarsi della spada, ma era troppo stanco. Appoggiò la testa sul braccio.

Lei era seduta con le gambe allungate, sotto i rami più esterni dei rododendri. Si voltò, quando lo sentì muovere. Hugh si calò accanto a lei, e incurvò le spalle per liberarle dalla stanchezza. Aveva dormito così pesantemente che il suo corpo era ancora molle, e quasi non riusciva a chiudere la mano. Le scalfitture sul volto di Irena adesso erano nere, graffi d’inchiostro: ma non era più il volto-teschio del terrore e dello sfinimento; era rotondo, morbido, triste.

— Tutto bene?

Lei annuì.

— Chissà se c’è un ruscello, laggiù — disse dopo un po’.

Anche lui aveva sete. Nessuno dei due aveva voglia di mangiare i viveri secchi del fardello di Irena, fino a quando non avrebbero potuto bere. Ma nessuno dei due si mosse per andare a cercare l’acqua. Quella nicchia, recinta e riparata dai vecchi cespugli scuri, sembrava protetta, protettrice. Lì avevano trovato rifugio. Era difficile abbandonarla.

— Non so che fare — disse Hugh.

Parlavano tutti e due sommessamente, senza bisbigliare, ma sottovoce. La foresta montana era quieta, ma non del tutto silenziosa: un lieve movimento del vento spezzava il silenzio.

— Lo so — disse Irena, per spiegare che neppure lei lo sapeva.

Dopo un po’, lui chiese: — Vuoi tornare indietro?

— Indietro?

— Alla città.

— No.

— Neanch’io. Ma non posso… Che altro si può fare?

Lei non disse nulla.

— Devo riportare a loro quella maledetta spada. E dirglielo.

— Dire cosa?

— Che non posso farlo. — Hugh si strofinò le mani sulla faccia, sentì la barba ispida e dolente sul mento e sul labbro. — Che quando l’ho visto mi sono buttato a terra e ho pianto — disse.

— Su, avanti — disse lei, di scatto, balbettando. — Cosa potevi fare? Nessuno poteva far niente. Che cosa si aspettavano?

— Il coraggio.

— Ma è stupido! Tu l’hai visto!

— Sì. — Hugh la guardò. Avrebbe voluto chiederle che cosa aveva visto, perché non poteva né dimenticare né credere all’immagine nei propri occhi. Ma non era capace di parlare direttamente di quella cosa.

— Sarebbe stupido cercare di affrontarlo — disse lei. — Non sarebbe coraggio, solo stupidità. — La sua voce era esile. — Mi dà la nausea solo pensarci.

Dopo una pausa, con la voce che gli si incrinava nella gola, lui disse: — È… ha gli occhi?

— Gli occhi? — Irena rifletté. — Non ho visto.

— Se fosse cieco… Si comportava come se fosse cieco. Il modo in cui correva.

— Può darsi.

— Allora potresti prepararti. Se è cieco.

— Prepararti! — esclamò lei, sarcastica.

— È quel suono. Quel maledetto suono — disse lui, disperato.

— È la paura — disse lei. — Voglio dire, è come quello che succede quando hai paura… senti quella voce. Io l’ho sentita, una volta, mentre dormivo. È come se ti spegnesse la mente. È che… non posso far nulla, Hugh. Non posso esserti d’aiuto. Se tornerà, fuggirò ancora. O forse non riuscirò neppure a fuggire.

Neppure a fuggire: quelle parole gli si impressero nella mente. Vide la pietra piatta in mezzo all’erba. Gli anelli di ferro piantati nella pietra. Il nodo di pelle non conciata attraverso l’anello. Gli si mozzò il respiro, e la saliva fredda gli sgorgò nella bocca inaridita.

— Che cosa avevano detto di fare? — chiese. — Avevano detto molte cose che tu non hai tradotto. Mi hanno dato la spada, ci hanno mandati quassù, in quel prato…

— Il Nobile Horn non aveva detto niente. Sark aveva detto di andare alla pietra piatta. Immagino che alludesse a quel mucchio di rocce accanto alle quali ci siamo seduti.

— No — disse Hugh, ma non spiegò.

— Immagino sapessero che se andavamo là saremmo… quello sarebbe venuto… — Irena rimase per un po’ in silenzio poi disse, con un filo di voce. — L’esca.

Lui non disse nulla.

— Li ho amati — disse lei. — Per tanto tempo. Credevo…

— Hanno fatto quel che dovevano fare. E noi… noi non siamo venuti qui per caso.

— Siamo venuti qui fuggendo.

— Sì. Ma siamo venuti qui. Siamo arrivati qui.

Questa volta lei non rispose.

Dopo un po’ Hugh disse: — Sento che dovevo essere qui. Persino ora. Ma tu hai fatto quel che avevi promesso. Ora dovresti proseguire, scendere e tornare alla porta.

— Sola?

— Non potrei difenderti se fossi con te.

— Non si tratta di questo!

— È pericoloso per te, star qui. Non ho bisogno di te, adesso. Se fossi solo, potrei… potrei agire liberamente.

— Ti ho già detto che non sei responsabile per me.

— Non posso farne a meno. Due persone, in un certo senso, sono sempre responsabili l’una per l’altra.

Lei restò seduta in silenzio, stringendosi le ginocchia con le braccia. Quando parlò, lo fece senza toni di sfida. — Hugh. Che cosa potresti far meglio, solo? Se non farti uccidere?

— Non so — disse lui.

Dopo un po’ lei disse: — Dovremmo mangiare qualcosa — e s’insinuò di nuovo sotto i rododendri per prendere il suo fardello. Estrasse i pacchetti dei viveri e li fissò.

— Il mio zaino è rimasto vicino a quelle rocce — disse lui.

— Non voglio tornare là!

— No. Questo basterà.

— Beh, potrebbe bastare per un paio di giorni. Se staremo attenti.

— Basterà. — Non aveva importanza. Nulla aveva importanza. Hugh si sentiva sconfitto. Era fuggito e si era nascosto, ancora una volta, ed era in salvo, e sarebbe stato sempre in salvo, mai libero. — Andiamo — disse. — Non ho fame.

— Andar dove?

— Giù, alla porta. E andarcene di qui.

Lei levò gli occhi per guardarlo, mentre lui si alzava. Aveva un’espressione triste, indecisa. Hugh affibbiò di nuovo la cintura, si assestò la giubba di pelle sulle spalle. Aveva i muscoli indolenziti, si sentiva oppresso dal malessere e dalla pesantezza. — Andiamo — ripeté.

lrena arrotolò il suo fardello rosso e lo legò, ma tenne da parte una striscia di carne affumicata, che si mise fra i denti mentre infilava le braccia nelle cinghie. Hugh si avviò, risalendo il ripido pendio fittamente alberato che avevano disceso, fino a quando raggiunse il sentiero che entrava nella foresta dal Gradino Alto. E svoltò sulla sinistra.

Raggiungendolo tra un considerevole fruscio di foglie e lo scricchiolio dei ramoscelli, lrena disse: — Dove stai andando?

— Alla porta. — Lui indicò, con sicurezza, un po’ a sinistra rispetto alla direzione del sentiero. — È laggiù.

— Sì, ma questo sentiero…