Hugh sapeva che lei pensava, e non voleva dirlo, che era il sentiero percorso, creato dalla bianca cosa urlante.
— Va nella direzione giusta. Quando smetterà di andare nella direzione giusta, taglieremo attraverso la campagna, verso l’asse del sentiero, la strada del sud.
Lei non ribatté. Sembrava ancora preoccupata, ma era inutile preoccuparsi, non contava affatto come procedessero o dove andassero. Proseguì, e lei gli andò dietro.
La pista era vaga ma chiara, senza piste laterali o attraversamenti che la confondessero. Procedeva piuttosto pianeggiante, e la direzione era sud, sebbene si snodasse a destra e a sinistra in curve a u e a v, seguendo gli avvallamenti e la muscolatura del fianco della montagna. Gli alberi erano esili, vicini e alti. Spesso c’erano formazioni rocciose, sporgenze di granito pallido, e di tanto in tanto un nudo declivio di pietra, più in alto del sentiero. Dove il suolo era molle, sotto gli alberi, gli aghi degli abeti in certi punti erano stati spazzati via dal sentiero e il terriccio era sconvolto e segnato. Quando lo notò, Hugh pensò alle pesanti gambe pallide e grinzose, al corpo che si trascinava. Correva ritto, come un uomo. Ma era molto più grosso di un uomo e correva pesantemente ma molto svelto, trascinandosi e gridando come se soffrisse. Da quando la lasciò entrare nella sua mente, quell’immagine non l’abbandonò più. Gli sembrava che nell’aria, lungo il sentiero, ci fosse un odore vagamente familiare, no, intimamente familiare, ma non sapeva dargli un nome. C’erano i fiori bianchi di un arbusto, in estate, che avevano quell’odore, come il seme, ecco, l’odore dolce e spento. Lui continuava e continuava a camminare, e non aveva nella mente null’altro che l’interminabile momento in cui aveva intravvisto la cosa bianca che correva, più in alto di lui, su quel sentiero.
Un ruscelletto attraversava il percorso; nasceva da sorgente più in alto, sulla montagna. Hugh si fermò a bere, perché aveva molta sete. La ragazza lo raggiunse. Per lungo tempo, aveva dimenticato che era là, dietro di lui, e lo seguiva. Lo scintillio dell’acqua e la forma del viso di lei si frapposero tra lui e l’immagine della cosa bianca. Dopo aver bevuto, Irena si lavò la faccia, ripulendola dal terriccio, dal sale, dal sangue, facendosi scorrere l’acqua sulle braccia e sulla parte posteriore del collo. Hugh la imitò, e il contatto dell’acqua lo svegliò un poco, sebbene la sua mente lavorasse con lentezza e tutto gli sembrasse opaco e indistinto, senza significato e senza differenze.
Lei stava dicendo qualcosa.
— Non so — rispose lui, a caso.
Per un momento vide gli occhi della ragazza, scuri e luminosi nel crepuscolo informe sotto gli alberi.
— Se siamo ancora sul fianco orientale della montagna, allora il sud è là — disse lei, tendendo il braccio. Hugh annuì. — La porta. Ma il sentiero è così tortuoso. Mi confonde. Se dobbiamo abbandonarlo, forse è meglio che lo facciamo subito, finché ho ancora il senso di… dell’ubicazione della porta. — Lo guardò di nuovo.
— Dobbiamo restare sul sentiero — disse lui.
— Sei sicuro? — chiese lei in tono di sollievo.
Hugh annuì e si alzò. Attraversò il ruscelletto, e proseguirono. Era buio sotto gli alberi fitti e scuri. Non c’erano distanze, non c’era scelta, non c’era il tempo. Continuarono a camminare. La pista, adesso, scendeva gradualmente. Tutte le curve deviavano sempre più sulla destra che sulla sinistra, mentre li conducevano intorno alla massa possente della montagna, verso ovest. Diventerà più buio, se continueremo verso ovest, pensò Hugh.
Irena lo tirò per il braccio: voleva che si fermasse. Lui si fermò. Lei voleva che sedesse e dividesse i viveri. Lui non aveva fame e non poteva restare lì a lungo, ma era piacevole riposare un poco. Si alzò, e proseguirono. Ruscelli scoscesi attraversavano il sentiero, di tanto in tanto, nelle pieghe scure dei canaloni, e Hugh s’inginocchiava per bere a ognuno di essi, perché aveva sempre sete, e l’acqua lo scuoteva per un minuto. Alzava lo sguardo e vedeva il cielo fra i rami neri e sfrangiati, e poi lo girava sul quieto, dolce, severo volto della ragazza inginocchiata accanto a lui sul bordo del ruscello; sentiva il fruscio del vento, sopra e sotto di loro, sul fianco della montagna. Si accorgeva di queste cose, e magari delle piccole felci e delle piante acquatiche vicine alle sue mani. Poi si alzava e riprendeva a camminare.
C’era un posto dove l’aria era più leggera, un filare di alberi dal tronco pallido e dalle foglie rotonde. Lì la pista si biforcava. Un ramo svoltava a sinistra, scendendo il declivio; un altro proseguiva diritto.
— Quello potrebbe scendere alla strada del sud — disse Irena, ma quando lei pronunciò la parola «quello», lui comprese che non era veramente quello giusto.
— Dovremmo continuare su questo.
— Va diritto. Ormai dobbiamo andare verso ovest. Forse gira intorno alla montagna ed esce di nuovo al Gradino Alto. Continua all’infinito.
— È quello giusto — disse lui.
— Sono stanca, Hugh.
Era passato meno di un attimo, era passato molto tempo da quando s’erano fermati per riposare o per mangiare. Lui voleva proseguire, ma sedette e attese, lì alla biforcazione del sentiero sotto gli alberi pallidi, mentre Irena mangiava. Proseguirono. Quando giunsero a un ruscello, bevvero, e proseguirono.
Adesso il sentiero risaliva. Quelle erano le sole direzioni: destra e sinistra, verso l’alto e verso il basso. Il senso dell’asse era ormai andato perduto da tempo, non aveva più significato. La porta non c’era. Il sentiero divenne molto erto, zigzagando fra i burroni che sfregiavano la mole della montagna, sempre verso l’alto.
— Hugh!
Il nome che lui odiava giungeva da una grande distanza, nel silenzio. Il vento aveva smesso di soffiare. Non c’era il minimo suono. Taci, pensò lui, con un cupo fremito d’ansia, ora devi tacere. Si fermò, controvoglia, e si voltò. Per un po’, non vide neppure la ragazza. Era molto più giù, sul sentiero dietro di lui, sul lungo, buio, ripido sentiero sotto gli alberi fitti, e il suo viso era una macchia bianca. Se lui avesse percorso solo qualche altro passo, si sarebbero perduti di vista. Così sarebbe stato meglio. Ma si fermò e attese. Lei lo raggiunse molto lentamente, salendo faticosamente l’erta, e quella era una parola presa dai libri, faticosamente, era faticoso percorrere quella strada. Lei era stanca. Lui non sentiva la stanchezza; solo quando si fermava e doveva restare immobile, come ora, era faticoso. Se avesse potuto continuare, sarebbe riuscito a camminare per sempre.
— Non puoi continuare così — disse lei in un aspro mormorio ansimante quando finalmente lo raggiunse.
Per lui, parlare fu un grande sforzo. — Non è molto lontano.
— Che cosa?
Non parlare, avrebbe voluto dirle. Riuscì a sussurrarlo: — Non parlare. — Si voltò per procedere.
— Hugh, aspetta!
C’era l’angoscia della paura, in quel grido bisbigliato. Hugh si voltò verso di lei. Non sapeva che cosa dirle. — Tutto a posto — disse. — Aspetta qui per un po’.
— No — disse lei, fissandolo. — No, se tu continui. — Gli passò davanti, sullo stretto sentiero, di slancio, camminando con un’andatura sussultante, ossessiva. Lui le andò dietro. Il sentiero svoltava e saliva e svoltava, sotto gli abeti scuri, sotto le pareti di roccia. Girarono intorno a un angolo che sporgeva sopra le immense, scure foreste digradanti, e videro tutta la terra del crepuscolo, sotto di loro, scurirsi verso il lontano occidente. Non si fermarono, ma proseguirono, entrando tra gli alberi, fronde e rami, nella montagna, sotto la roccia. A destra, le pareti della vetta erano aggettate. Gli alberi, tra i picchi sfregiati e i macigni, crescevano bassi e stenti. Adesso il suolo era roccioso, e il sentiero era pianeggiante.
Il passo pesante e sussultante di Irena si spezzò. Lei si fermò. Avanzò ancora un poco e si fermò di nuovo. — Là.