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— La spada è…

— La cintura e il fodero sono qui fra le felci, da qualche parte. La spada è… — Irena doveva avere la stessa aria nauseata, perché lui l’interruppe: — Non la voglio.

— Hugh, credo che dovremmo proseguire. Io voglio andare. Se ti senti abbastanza bene.

— Che cosa mi è successo?

— Ti è caduto addosso.

Hugh trasse un profondo respiro; il suo viso era sbigottito.

— Non ti senti qualcosa di rotto? Niente?

— Sono illeso. Non riesco a scaldarmi.

— Dovresti mangiare.

Lui scosse la testa.

— Allora forse possiamo andare. Qui è umido. Forse camminando ti scalderai.

— Giusto — disse lui, avvicinandosi al punto dove avevano dormito tra le felci. Irena si organizzò: legò il pacco dei viveri e la giacca di pelle ancora bagnata per poterli portare più facilmente, e diede a Hugh il mantello rosso. — Mettilo bene, vedi, si allaccia al collo. Io porterò la tua giubba, così, finché si asciugherà. — Lui si muoveva tanto goffamente che Irena gli chiese: — La spalla va bene?

— Sì. È il fianco, credo di essermi incrinato qualcosa.

— Ce la fai a camminare? — chiese lei bruscamente, allarmata.

— Passerà quando mi sarò scaldato. — Hugh aveva un tono di scusa.

— Non so dove siamo — disse lei.

Rimasero fermi sul sentiero, appena oltre il nastro sottile e il mormorio del rivoletto che l’attraversava e scendeva tra felci e muschio e radici d’alberi, giù per la montagna.

— L’unico modo per sapere con certezza dove andiamo sarebbe ritornare indietro, ripercorrere tutta la pista. — Irena indicò con un gesto la direzione della caverna, lassù. — Oltre l’antro, e ritornare al Gradino Alto, e ridiscendere fino alla città e alla strada del sud.

— No — disse Hugh.

— Bene — disse lei, con grande sollievo ma senza poterlo ammettere. — Neanch’io lo desidero. È stato un viaggio spaventosamente lungo. Ma non so dove sia la porta, rispetto a qui.

— Se scendiamo — disse lui, — forse ritroveremo il senso dell’asse, la direzione.

— Sta bene. Se quello sul quale ci troviamo è il lato sud della montagna, questo sentiero conduce a est. Se possiamo procedere verso est o sud-est, dovremmo attraversare il Terzo Fiume, più o meno ai piedi della montagna. E seguire il Terzo Fiume fino alla strada, e poi continuare fino alla porta. Dovrebbe essere molto più breve che fare di nuovo tutto il giro.

Hugh annuì; e lei si avviò, giù per il sentiero, sotto gli esili, fitti abeti. La rincuorava camminare, la rincuorava la decisione di non tornare indietro; aveva avuto paura che lui volesse tornare indietro. — Vai senza guardarti indietro…

Le figure bianche stavano silenziose sulla strada semibuia, ormai da molto tempo e per sempre immutabili.

Il sentiero era stretto e sassoso, e scendeva dolcemente. Era piacevole camminare, sciogliendo i crampi e gli indolenzimenti delle braccia e delle gambe, e respirare era agevole. Per tutto quel percorso interminabile dal Gradino Alto alla grotta, per tutto quel giorno o tutti quei giorni di paura e di marcia, lei non aveva potuto respirare normalmente: c’era stata una pressione sui polmoni, dal basso in alto. Adesso sentiva che respirare era un piacere profondo come quello di bere l’acqua fresca. Io respiro, io sono il respiro; sono così, sono così. Cammino, procedo sulla terra, sono la terra, il respiro; e alla base di tutto questo, la gioia.

Avevano percorso molta strada quando il sentiero giunse in fondo alla gola. Lì c’era un crepuscolo buio, e un ruscello silenzioso scorreva sotto gli arbusti inclinati e le felci, un guado indistinto e sdrucciolevole. Hugh attraversò lentamente. Lei vide che non camminava con scioltezza. Vide che da questa parte della gola il sentiero tornava indietro, puntando verso ovest.

Se era ovest.

Tutta la sicurezza l’abbandonò in quel luogo scuro e scivoloso. Se si erano spinti più lontano di quanto lei avesse immaginato, e se l’antro del drago era sul lato occidentale della montagna, allora tutto il suo orientamento era sbagliato. Erano in un territorio del quale non sapeva nulla. Anirotembre, la terra dietro la montagna: quel nome era tutto ciò che loro ne avevano detto. Se c’erano cittadine e villaggi, non ne avevano mai parlato. Cos’aveva detto una volta Hugh, dell’ovest? Qualcosa a proposito del mare. Non andava bene. Doveva decidere cosa fare. La pista che stavano percorrendo poteva essere un cerchio. Era la stessa pista che avevano seguito da quando avevano lasciato il Gradino Alto, era la strada del drago. Poteva continuare zigzagando tra i burroni e salire e scendere le pendici intorno alla montagna e ritornare finalmente al Gradino Alto. Giorni di cammino, forse, e già Hugh stava là a testa china, lieto di fermarsi. Era inutile camminare in cerchio. Dovevano abbandonare il sentiero del drago, e uscire.

— Credo che forse dovremmo lasciare la pista a questo punto — disse Irena, parlando a voce bassa, perché quel luogo profondo incuteva soggezione. — Dobbiamo cercare di continuare verso est.

Lui alzò gli occhi verso i pendii bui. — Sarà difficile mantenere una direzione qualunque, se lasciamo la pista.

— Il fiume scorre verso est. Credo. Possiamo seguirlo.

— D’accordo.

— È solo una mia impressione che sia l’est — disse lei, seccamente. — Non lo so.

— È impossibile saperlo. — Lui la giustificò, senza discutere. — Non arriverei mai da nessuna parte — disse, guardandola attraverso l’aria scura. — Non da solo.

— Allora avanti — disse lei. — Può darsi. Purché questo fiume scorra nella direzione giusta.

— Non è un fiume, è un ruscello — disse lui, amabilmente.

— Io li chiamo tutti fiumi. Vuoi riposare un po’?

— No. Il terreno è troppo umido. Andiamo avanti.

Era snervante lasciare di proposito il sentiero per scegliere l’assenza di ogni sentiero, come se conoscessero il percorso. Almeno, all’inizio non fu difficile procedere. Gli alberi, da questa parte della gola, erano quasi tutti vecchi, grossi abeti, senza molto sottobosco in mezzo, quando lasciarono il letto del ruscello. I pendii erano erti. Ben presto, Irena si augurò di poter sollevare un po’ la gamba destra. Ma avanzavano abbastanza svelti, e lì c’era più luce.

Il ruscello cominciò a scendere più ripido. Irena non cercò di tenersi vicino all’acqua, ma salì fino al dosso, dove era più facile camminare e la direzione era la stessa della corrente. Aveva sperato di poter vedere più avanti per un tratto, dall’alto del dosso, ma come sempre gli alberi erano troppo fitti. Era stata una sciocchezza, abbandonare il sentiero? Forse, ma non sarebbe tornata indietro. Potevano soltanto rischiare. Lei aveva fame. Sembrava troppo presto per fermarsi, fino a quando ripensò al luogo sotto la grotta, dove avevano dormito… ore prima, molto più indietro, sulla montagna. Si voltò e disse: — Vorrei fare una sosta — a Hugh che la seguiva pesantemente. Lui si fermò subito. Si guardò intorno e additò un tratto pianeggiante di terreno fra le radici di due grandi alberi fronzuti: e si avviarono da quella parte. Lui portava il mantello rosso, che di spalle gli dava l’aria di una vecchia, ma di fronte lo faceva apparire maestoso. Trovarono radici comode per sedersi, e Irena slegò e aprì l’involto dei viveri. — Penso che dovremmo tenerci leggeri, questa volta, e la prossima volta che ci fermeremo, mangeremo di più. Hai molta fame?

— Non ho fame.

— Mangia qualcosa, comunque.

Irena preparò porzioni che le sembravano vergognosamente scarse, ripose il resto e cominciò a mangiare. Credeva di masticare lentamente per far durare di più il cibo, ma finì subito, finì prima che Hugh fosse arrivato a metà. Lui non toccò neppure il pane. Irena lo guardò, a disagio. Era pallido, ma l’aria sciupata era dovuta soprattutto alla barba lunga. Non aveva un’espressione stravolta. Anzi, sembrava tranquillo e contento, mentre guardava fra gli alberi. Poi, sentendo evidentemente lo sguardo di lei, si voltò. — Tu lavori, o studi, o che altro? — le chiese.