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Sull’orlo dell’acqua si soffermò per togliersi l’orologio. La lancetta dei secondi non si muoveva, l’orologio era bloccato sulle sei meno due minuti. Lo scosse, poi l’infilò nella tasca dei jeans, rimboccò sopra i gomiti le maniche della camicia, e si piegò su entrambe le ginocchia. Con voluta lentezza si chinò in avanti, abbassando la testa, affondando le mani nella sabbia fangosa del bordo e bevve l’acqua corrente.

Un paio di metri più a monte, un macigno piatto si sporgeva sul ruscello. Andò a sedersi, e poco dopo si sporse per immergere le mani nell’acqua. Si passò più volte le mani bagnate sul volto e sui capelli. Aveva la pelle chiara, e l’acqua era fredda; notò con piacere che i polsi e le mani, nell’acqua, assumevano il color rosso del salmone in scatola. L’acqua era scura ma limpida, come un cristallo affumicato. Nelle piccole lanche sabbiose, al riparo del macigno, c’erano sciami di ciottoli, e i loro colori e le loro screziature erano intensificati dall’acqua. Hugh li guardò, guardò i riccioli trasparenti della corrente che li coprivano, poi si raddrizzò a sedere sulla roccia sporgente e levò gli occhi verso il cielo incolore. Non vi era nulla che si muovesse, lassù. Accanto alla nera punta aguzza di un pino, sul dosso oltre il ruscello, gli sembrava di scorgere una stella con la coda dell’occhio, ma quando la cercava direttamente con lo sguardo non era visibile. Restò immobile a lungo, con le braccia strette intorno alle ginocchia, nel fruscio e nella musica dell’acqua.

Il freddo della brezza che spirava sopra il ruscello penetrò in lui mentre stava così immoto. Finalmente si alzò, massaggiandosi le costole, e si avviò a passo vivace verso valle, tenendosi sulla riva appena un poco più sopra del bordo sabbioso del ruscello. Guardava ogni cosa con pigra, tranquilla attenzione, appena sfumata di prudenza, studiando il suolo, le pietre, gli arbusti e gli alberi, il bosco più scuro al di là dell’acqua. Il terreno era meno umido e coperto di detriti di foglie, nella parte della radura più verso valle, dove l’erba ispida cresceva fitta fra i cespugli alti poco più di un metro. Gli arbusti erano piuttosto spaziati, e i tratti erbosi, nel mezzo, erano come giardinetti o stanze scoperchiate. Ci si poteva accampare, in uno di quelli, pensò Hugh. Se avevi una tenda… ma che bisogno c’era d’una tenda, in estate? Un sacco a pelo sarebbe bastato. E qualcosa per cucinare. E qualche fiammifero. Il focolare poteva essere lì, sulla sabbia, sulla spiaggia, sotto lo scosceso argine roccioso. Chissà se si poteva accendere un fuoco? Non era veramente necessario, a meno che volessi cucinare: ma avrebbe offerto una sorta di centro, un calore… e poi potevi dormire, trascorrere tutta la notte sotto il cielo, accanto al suono dell’acqua… Hugh continuò a camminare, girando intorno alla radura, soffermandosi spesso a guardare e a riflettere. Lì i movimenti del suo corpo erano ampi, lenti e liberi, e c’era sempre quel lieve, piacevole elemento di prudenza, perché quella era una zona sconosciuta, selvaggia. Quando finalmente ritornò alla roccia sporgente s’inginocchiò di nuovo a bere, e poi si alzò, si avviò risolutamente verso il varco tra gli alti cespugli e il pino, si voltò indietro a guardare, una volta soltanto, e lasciò quel luogo.

Il sentiero era ripido, indistinto, difficile da seguire. I rami gli sferzavano il volto; doveva girare la testa, chiudere gli occhi. Arrivato in alto, sbagliò a svoltare, e attraversò un tratto di bosco che non aveva visto, una depressione piena d’erbacce, dove gli alberi esili crescevano a gruppi. Uscì al limitare dei campi, passando per una parte più profonda del fosso invaso di rifiuti e di steli morti, e si trovò di fronte al fulgore del sole a oriente, alle lance splendenti della luce del giorno. Si strofinò la fronte che bruciava un po’ per la puntura d’un ramo di rovo, e si frugò nella tasca per prendere l’orologio. Aveva ripreso a funzionare, e segnava le 6 e 8 minuti. Naturalmente era più tardi, perché non aveva funzionato per tutto il tempo che lui era rimasto in riva al ruscello; ma probabilmente sarebbe riuscito egualmente ad arrivare a casa prima delle otto. Si avviò, non al ritmo del jogging, perché non se la sentiva di sforzarsi e di ansimare, ma a un passo svelto e regolare. La sua mente era ancora nella quiete del luogo in riva al ruscello, svuotata dalle ansie e dalle spiegazioni. Soddisfatto e vigile, attraverso i campi abbandonati, salì il pendio, tra le fattorie malconce, sulla strada di ghiaia, oltre il vivaio, fino all’angolo di Chelsea Gardens Place e poi, di via in via, fino al 14067 1/2-C di Oak Valley Road. Entrò, e trovò sua madre avvolta nella vestaglia di chinz che lo fissò; si era appena alzata. L’orologio della cucina segnava le sette meno cinque. Il suo orologio segnava le sette meno quattro.

Hugh sedette a tavola, con una grossa ciotola di fiocchi di cereali e due nectarines, e mangiò, perché aveva fame; mentre percorreva gli ultimi venti isolati aveva pensato soprattutto alla colazione. Ma mentre mangiava, non pensava alla colazione. Come aveva potuto impiegare un’ora per raggiungere il ruscello, e poi un’ora là, e un’ora per ritornare, fra le cinque e le sette? Ed era…

La sua mente s’impuntò. Hugh aggobbì le spalle, abbassò la testa, sentì il petto contrarsi, ma si fece forza e affrontò quelle parole: Era sera, là, in riva al ruscello. Sera inoltrata, crepuscolo. Le stelle spuntavano. Era arrivato là alle sei del mattino, nel sole, e ne era uscito alle sei del mattino, nel sole, e durante la sua sosta là era stata sera inoltrata. La sera di quale giorno?

— Vuoi una tazza di caffè? — chiese sua madre. La voce strideva per il sonno, ma non era brusca.

— Sicuro — disse Hugh, continuando a riflettere.

Riempì ancora la ciotola di fiocchi di cereali, perché non voleva cucinare finché sua madre era lì, anzi non voleva affatto prendersi la briga di cucinare. Restò lì seduto, con il cucchiaio in mano, rimuginando.

Sua madre gli mise davanti una tazza di caffè, con un gesto un po’ caricato. — Ecco, vostra maestà!

— ’Azie — disse lui, nel linguaggio della colazione per «grazie», e continuò a mangiare, con gli occhi fissi e sgranati.

— Quando sei uscito? — Sua madre sedette dall’altra parte del tavolo di formica, con la sua tazza di caffè.

— Verso le cinque.

— E hai fatto il jogging per due ore?

— Non lo so. Mi sono fermato per sedermi un po’.

— Non devi esagerare, all’inizio. Comincia adagio, e poi aumenta la durata. Due ore, per cominciare, sono troppe. Potrebbe farti male al cuore. Come quando la gente spala la neve, d’inverno, alla prima nevicata, e ogni volta ne muoiono centinaia, sul vialetto. Devi cominciare con calma.

— Tutti sullo stesso vialetto? — mormorò Hugh, con l’aria di svegliarsi vagamente.

— E poi, dove sei andato a correre? Sempre in tondo? Dev’essere un po’ ridicolo.

— Oh, un po’ in giro. Ci sono tante strade deserte. — Hugh si alzò. — Vado a rifarmi il letto e a rimettere in ordine — disse. Sbadigliò spalancando la bocca. — Non sono abituato ad alzarmi così presto. — Guardò sua madre, dall’alto. Era così minuta ed esile, così tesa e nervosa, che lui avrebbe potuto batterle una mano sulla spalla o darle un bacio sui capelli, ma lei detestava essere toccata, e del resto lui sbagliava, qualunque cosa facesse.

— Non hai toccato il tuo caffè.

Hugh abbassò gli occhi sulla tazza piena; la vuotò, obbediente, in un paio di lunghe sorsate, e si avviò di soppiatto verso la sua stanza. — Ti auguro buona giornata — disse.

Non sarebbe ritornato, se non fosse stato per il sapore dell’acqua. Quella era l’acqua che doveva bere; nessun’altra placava la sua sete. Altrimenti, si diceva, sarebbe rimasto lontano, perché là succedeva qualcosa di pazzesco. Là il suo orologio non funzionava. O era ammattito lui, oppure stava succedendo qualcosa d’inspiegabile, una strana manomissione del tempo, il genere di cose che interessavano a sua madre e all’amica occultista, e che a lui non interessavano per nulla: non sapeva che farsene. Già le cose normali erano abbastanza strane senza bisogno che venissero pasticciate ancora di più, e la vita non aveva necessità di altre complicazioni. Ma la verità era che l’unico luogo dove la sua vita non sembrava complicata era il luogo in riva al ruscello, e lui doveva ritornare là per stare tranquillo e pensare e rimanere solo; per bere quell’acqua, per nuotare in quell’acqua.