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Cyriaca fece una pausa, muovendo le mani per delineare la collina e la roccaforte nell’aria, ed io ebbi la sensazione che avesse già narrato molte volte quella storia, forse ai suoi bambini. Questo pensiero mi fece comprendere che Cyriaca era abbastanza avanti negli anni da poter avere figli, a loro volta abbastanza grandi da essere in grado di ascoltare ripetutamente sia questo che altri racconti. Gli anni non avevano lasciato traccia sulla sua pelle liscia e sensuale, ma la luce della candela della giovinezza, che ardeva ancora così forte e limpida in Dorcas, che aveva riversato il suo chiarore irreale perfino su Jolenta, che era trasparsa dura e lucente nella forza di Thecla ed aveva illuminato i sentieri velati di nebbia della necropoli quando sua sorella Thea aveva preso la pistola di Vodalus vicino alla tomba aperta, in Cyriaca si era estinta da così tanto tempo che non rimaneva neppure il profumo della sua fiamma. Provai compassione per quella donna.

— Ora devi ascoltare la storia di come la razza dei giorni andati raggiunse le stelle e di come, per potervi riuscire, cedette in cambio la metà selvaggia del proprio essere, in modo da non assaporare più il soffio pallido del vento, né provare più amore o bramosia, né desiderare di comporre nuove canzoni o di cantare quelle vecchie, né conservare tutte quelle altre caratteristiche animalesche che essa era convinta di aver portato con sé quando era uscita dalle piovose foreste in fondo all’abisso del tempo… anche se in realtà, così mi ha detto mio zio, erano state quelle caratteristiche a spingerla fuori dalla foresta. E tu saprai, o dovresti comunque sapere, che coloro cui gli uomini affidarono queste cose, entità che erano creazioni delle loro stesse mani, le odiarono nel profondo del cuore, poiché esse avevano realmente un cuore, anche se coloro che le avevano create non lo credevano possibile. Comunque, queste entità decisero di distruggere i loro creatori, e lo fecero restituendo all’umanità, quando questa si fu sparpagliata su migliaia di soli, le cose che erano state affidate loro molto tempo prima.

«Tutto ciò dovresti saperlo già. Mio zio mi ha parlato una volta così come io ora parlo a te; disse di aver trovato tutto questo ed altre cose ancora scritte in un libro della sua collezione, un libro che egli riteneva nessuno avesse aperto da una chiliade.

«Ma come essi fecero ciò che fecero è meno noto. Rammento che, quando ero bambina, immaginavo di vedere le macchine cattive che scavavano… scavavano di notte fino a svellere le radici contorte dei vecchi alberi ed a riportare alla luce una cassa di ferro che esse avevano sepolto quando il mondo era molto giovane, ed immaginavo che, quando le macchine toglievano il lucchetto della cassa, tutte le cose di cui abbiamo parlato ne uscivano volando come uno sciame di api dorate. So che è sciocco, ma ancora oggi non riesco ad intuire quale possa essere stata la vera natura di quei motori pensanti.

Mi rammentai di Jonas, e delle piastre di metallo leggero e lucente che lui aveva al posto della pelle dei lombi, ma non riuscii ad immaginare Jonas nell’atto di scatenare una pestilenza che affliggesse la razza umana; quindi scossi il capo.

— Ma mio zio diceva che il libro spiegava chiaramente cos’avevano fatto le macchine, e che le cose che esse avevano liberato non erano uno sciame di insetti, ma un flusso di manufatti di ogni tipo, che, in base ai loro calcoli, avrebbero dovuto far rinascere quei pensieri che la gente si era lasciata alle spalle perché non potevano essere tradotti in numeri. La costruzione di ogni cosa, dalle città agli strumenti per pasticceria, era affidata alle macchine, e, dopo aver trascorso migliaia di vite a costruire città simili a grandi meccanismi, esse presero a costruire altre città che somigliavano a banchi di nubi che precedono la tempesta, ed altre ancora che sembravano scheletri di draghi.

— E questo quando accadde? — chiesi.

— Molto, molto tempo fa… prima che venissero posate le prime pietre di Nessus.

Le avevo passato un braccio intorno alle spalle, ed ora lei lasciò che la sua mano mi scivolasse in grembo, ed avvertii il suo tocco e la lenta ricerca.

— E le macchine seguirono gli stessi criteri in tutto quello che facevano — continuò a narrare. — Nel modellare i mobili, per esempio, e nel tagliare gli abiti. E, poiché i capi che avevano deciso, così tanto tempo prima, che tutti i pensieri rappresentati dagli abiti, dai mobili e dalle città dovevano rimanere alle spalle dell’umanità, erano ormai morti da parecchio, e la gente aveva dimenticato i loro volti e le loro teorie, la popolazione accolse con gioia i nuovi oggetti. E così, tutto il loro impero, che era basato esclusivamente sull’ordine, si dissolse.

«Ma anche se l’impero si dissolse, i mondi ci misero molto più tempo a morire. Inizialmente, affinché le cose che stavano restituendo agli umani non venissero rigettate, le macchine organizzarono spettacoli e fantasmagorie, le cui rappresentazioni ispirassero coloro che le guardavano a pensare alla fortuna o alla vendetta o al mondo dell’invisibile. Più tardi, le macchine diedero a ciascun uomo e donna un compagno, invisibile agli occhi di tutti gli altri, che li consigliasse. I bambini avevano già da tempo simili compagni.

«Quando i poteri delle macchine si furono ulteriormente indeboliti… secondo i desideri delle macchine stesse, esse non riuscirono a mantenere quei fantasmi nelle menti dei loro padroni, e non poterono più costruire città, prima che quelle già esistenti si fossero quasi del tutto svuotate.

«Le macchine, almeno così mi disse mio zio, erano arrivate al punto in cui speravano che la razza umana si sarebbe rivoltata contro di loro e le avrebbe distrutte, ma non accadde nulla di tutto questo, perché quelle macchine, che in passato erano state disprezzate come schiave o adorate come demoni, erano ormai profondamente amate dagli uomini.

«Fu così che esse chiamarono intorno a sé le persone che le amavano maggiormente, e, per lunghi anni, insegnarono loro tutte quelle cose che la loro razza aveva accantonato, prima di morire.

«Allora, tutti coloro che avevano amato le macchine e che erano stati amati da esse, si radunarono per decidere in che modo avrebbero potuto preservare gli insegnamenti ricevuti, perché sapevano bene che macchine di quella specie non sarebbero mai più apparse su Urth. Ma fra loro scoppiarono amare dispute: essi non avevano studiato insieme, ma piuttosto ciascun uomo e ciascuna donna aveva ascoltato una delle macchine come se al mondo non fosse esistito altro, e, poiché c’era tanto sapere e solo pochi che potessero apprenderlo, le macchine avevano insegnato a ciascuno cose differenti.

«Così, essi si divisero in gruppi, e ciascun gruppo a sua volta si divise in due, e poi ancora in due, e poi ancora, fino a che rimasero solo individui separati, incompresi, ed oltraggiati dagli altri e che a loro volta oltraggiavano i compagni. Ciascuno se ne andò per conto proprio, fuori dalle città o più addentro ad esse, salvo pochissimi che, per abitudine, rimasero nei palazzi abitati dalle macchine per vigilare sui loro corpi.

Un sommelier ci portò due coppe di vino limpido quasi quanto l’acqua ed altrettanto quieto, fino a quando veniva destato da qualche moto della coppa. Il suo profumo era simile a quello di quei fiori che nessun uomo può vedere, quei fiori che solo i ciechi sono in grado di trovare. E bere quel vino era come bere forza pura dal cuore di un toro. Cyriaca prese con avidità la sua coppa, e, dopo averla vuotata, la gettò in un angolo, dove cadde tintinnando.