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— Parlami ancora — l’incitai, — di questa storia degli archivi perduti.

— Quando l’ultima macchina fu fredda ed immota e ciascuno di coloro che avevano appreso da esse il patrimonio proibito che l’umanità aveva accantonato si separò da tutti gli altri, allora il timore scese nel cuore di ognuno, poiché tutti sapevano di essere solo comuni mortali, e, per la maggior parte, non più giovani. Ognuno comprese che, con la sua morte, il sapere che più gli era caro sarebbe morto con lui, e quindi… credendo di essere l’unico a farlo… cominciò a mettere per iscritto tutto quello che aveva appreso durante i lunghi anni in cui aveva prestato ascolto agli insegnamenti che svelavano tutto il sapere nascosto, relativo alle caratteristiche selvagge dell’uomo. Molti di quegli scritti andarono perduti, ma molti di più sopravvissero, cadendo talvolta nelle mani di persone che li copiavano, ravvivandoli con aggiunte personali o indebolendoli con omissioni… Baciami, Severian.

Nonostante la mia maschera ci ostacolasse, le nostre labbra s’incontrarono, e, mentre Cyriaca si traeva indietro, mi si affollarono nella mente i ricordi velati degli antichi, scherzosi affari amorosi di Thecla, giocati fra i boudoirs pseudothyri e catachtoniani della Casa Assoluta, e dissi:

— Non lo sai che queste cose richiedono la più completa attenzione da parte di un uomo?

— È per questo che l’ho fatto — sorrise Cyriaca, — per vedere se mi stavi ascoltando.

— Comunque, per lungo tempo… nessuno sa quanto, credo, e comunque allora il mondo non era ancora vicino allo spegnimento del suo sole, e gli anni erano più lunghi… quegli scritti circolarono, oppure rimasero a sgretolarsi nei cenotafi dove i lori autori li avevano nascosti per maggior sicurezza, ed erano scritti frammentari, contraddittorii ed esegetici. Poi un autarca (anche se allora non veniva chiamato autarca), nella speranza di ripristinare il dominio esercitato dal primo impero, fece raccogliere quegli scritti dai suoi servitori, uomini vestiti di bianco che saccheggiarono i nascondigli ed abbatterono le androsfingi erette a memoria delle macchine ed entrarono nei cubicoli di donne moiraiche morte da tempo. Il loro bottino fu riunito in un grande mucchio nella città di Nessus, allora appena costruita, perché venisse bruciato.

«Ma, la notte precedente il rogo, l’autarca di quel tempo, che prima di allora non aveva mai sognato i sogni sfrenati del sonno, ma solo sogni ad occhi aperti di dominio, finalmente fece un sogno, e vide tutti i mondi selvaggi della vita e della morte, delle pietre e dei fiumi, delle bestie e degli alberi che gli scivolavano per sempre dalle mani.

«Quando fu mattino, egli ordinò che non si accendessero le torce, e che venisse invece costruita una grande volta per ospitare tutti quei volumi e quelle pergamene che gli uomini vestiti di bianco avevano raccolto. Ordinò questo perché pensava che se, alla fine, l’impero che progettava di costruire non fosse sorto, avrebbe sempre potuto ritirarsi nella cupola ed entrare in quei mondi che, ad imitazione degli antichi, era deciso ad accantonare.

«Il suo impero lo tradì, come era destino che facesse, perché non si può trovare il passato in un futuro che non lo contiene più… almeno non finché il mondo metafisico, che è molto più grande e quindi molto più lento di quello fisico, abbia completato la sua rivoluzione e sia sorto il Sole Nuovo. Ma l’autarca non si ritirò, come aveva progettato, nella cupola, all’interno del muro di protezione di cui l’aveva fatta circondare, perché quando l’uomo si è gettato alle spalle le cose selvagge una volta per tutte, queste imparano a riconoscere le trappole e non si lasciano più ricatturare.

«Nondimeno, si narra che, prima che tutto ciò che egli aveva raccolto venisse sigillato per sempre, l’autarca mise un guardiano a proteggerlo, e che, quando il tempo di quel guardiano su Urth fu scaduto, questi si scelse un successore, che se ne scelse uno a sua volta, cosicché essi rimasero sempre fedeli ai comandi dell’autarca, perché erano saturi dei pensieri selvaggi emanati dal sapere salvato dalle macchine, ed una simile fedeltà fa parte di quelle cose selvagge.

Mentre Cyriaca parlava, io l’avevo spogliata, e le stavo baciando il seno, ma osservai ugualmente:

— Ma, tutti quei pensieri di cui hai parlato, hanno forse abbandonato il mondo, dopo che l’autarca li ha sigillati? Ho mai sentito parlare di loro?

— No, perché sono stati trasmessi di mano in mano per lungo tempo, e sono penetrati nel sangue di tutto il popolo. Inoltre, si dice che talvolta il guardiano li mandi fuori, e che, anche se alla fine essi tornano sempre a lui, quei libri vengano letti, da uno o da molti, prima di sprofondare ancora nell’oscurità.

— È una storia meravigliosa — commentai, — e credo di saperne più di te in merito, ma non l’avevo mai sentita prima. — Scoprii che aveva le gambe lunghe, lisce e ben modellate, dalle cosce simili a cuscini di seta alle snelle caviglie. Tutto il suo corpo era modellato per il piacere.

Le sue dita toccarono il fermaglio del mio mantello.

— Devi proprio toglierlo? — chiese. — Non ci può coprire?

— Lo può — risposi.

VII

ATTRAZIONI

Sprofondai quasi nel piacere che mi diede Cyriaca, poiché, anche se non l’amavo come avevo un tempo amato Thecla, né come ancora amavo Dorcas, ed anche se non era splendida come lo era stata Jolenta, provavo ugualmente per lei un tenerezza che era solo in parte generata dal vino che avevo bevuto; Cyriaca era l’incarnazione di quel tipo di donna che avevo sognato quando ero ancora un ragazzo lacero, nella Torre di Matachin, prima di aver mai contemplato il volto a forma di cuore di Thea vicino alla tomba aperta, e sapeva molto di più sulle arti dell’amore delle altre tre.

Quando ci alzammo, ci avvicinammo ad un’argentea fontana per lavarci. Là c’erano due donne che erano state amanti come lo eravamo stati noi, e che ci fissarono, ridendo; ma, accorgendosi che non avrei avuto pietà di loro solo perché erano donne, fuggirono strillando.

Ci lavammo a vicenda, e so che Cyriaca si aspettava che a quel punto la lasciassi, come io mi aspettavo che lei se ne andasse, ma non ci separammo (anche se forse sarebbe stato meglio se lo avessimo fatto), e ci avviammo invece verso un silenzioso giardinetto, pieno di oscurità, dove sostammo vicino ad una fontana solitaria.

Cyriaca mi teneva la mano, ed io tenevo la sua, come spesso fanno i bambini.

— Hai mai visto la Casa Assoluta? — mi chiese. Stava osservando le nostre immagini riflesse nell’acqua illuminata dalla luna, e la sua voce era tanto bassa che la udii a stento.

Le dissi che vi ero stato, e, a quelle parole, la sua mano strinse maggiormente la mia.

— Hai visitato la Fontana delle Orchidee? — chiese ancora, e, quando scossi il capo, aggiunse: — Anch’io sono stata alla Casa Assoluta, ma non ho mai visto la Fontana delle Orchidee. Si dice che, quando l’Autarca ha una consorte… cosa che il nostro non ha… lei tiene là la sua corte, nel luogo più bello del mondo. Anche oggi, solo alle più belle è permesso di passeggiare in quel luogo. Quando siamo andati laggiù, il mio signore ed io abbiamo alloggiato in un piccola stanza adeguata al nostro rango di armigeri. Una sera, mentre il mio signore era assente ed io non sapevo dove fosse, uscii nel corridoio, e, guardando a destra ed a sinistra, vidi passare un alto funzionario della corte. Non conoscevo né il suo nome né la sua carica, ma lo fermai e gli chiesi se potevo andare alla Fontana delle Orchidee.

Cyriaca fece una pausa, e, per il tempo di due o tre respiri, non vi fu altro suono che la musica proveniente dal padiglione e lo sgocciolio della fontana.