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Non riuscivo ad immaginare che cosa stesse dicendo e le chiesi se pensava che qualcuno cercasse di avvelenarla.

— No, niente affatto. Non vuoi aprire il cassetto? Tu sei tanto coraggioso: non vuoi guardare?

— Ti credo. Se tu dici che ci sono proiettili di fionda nel cassetto, sono certo che ci sono davvero.

— Ma non credi che io li abbia vomitati. Non ti biasimo. Non esiste una storia che riguarda la figlia di un cacciatore cui venne fatto dono di un incantesimo per cui, quando parlava, le cadevano perle nere dalla bocca? E allorché la moglie di suo fratello le rubò l’incantesimo, dalle sue labbra scaturirono solo rospi quando parlava? Ricordo di averla sentita, ma non ci avevo mai creduto, prima.

— Ma come potrebbe una persona vomitare oggetti di piombo?

— Facilmente, molto facilmente. — Dorcas rise, ma senza allegria. — Lo sai che cosa ho visto oggi? Lo sai perché non ti ho potuto parlare quando mi hai trovata? E non potevo farlo, Severian, te lo giuro. So che tu hai creduto che fossi arrabbiata e caparbia, ma non lo ero… ero divenuta come una pietra, incapace di parlare, perché sembrava che nulla avesse importanza, e non sono ancora sicura che non sia così. Mi dispiace per quello che ti ho detto… che non sei coraggioso. Tu sei coraggioso, lo so, è solo che il tuo non mi sembra più coraggio, quando fai quelle cose a quei poveri prigionieri. Eri così coraggioso quando hai combattuto contro Agilus, e poi quando sei stato pronto a batterti con Baldanders perché credevamo che stesse per uccidere Jolenta… — Piombò nuovamente nel silenzio, poi sospirò: — Oh, Severian, sono così stanca.

— Volevo discutere di questo, dei prigionieri — dissi. — Voglio che tu capisca, anche se non mi potrai perdonare. Quella era la mia professione, la cosa che mi era stata insegnata a fare fin dall’infanzia. — Mi chinai in avanti e le presi la mano, che mi parve fragile come un uccello canterino.

— Hai già detto in precedenza qualcosa del genere. Io ti comprendo, davvero.

— Ed io sapevo farlo bene, Dorcas. Questo è quello che tu non capisci. La tortura e le esecuzioni capitali sono arti, ed io ho il tatto, il dono, la benedizione. Questa spada… tutti gli strumenti che noi usiamo, vivono nelle mie mani. Se fossi rimasto nella Cittadella, sarei potuto diventare un Maestro. Dorcas, mi stai ascoltando? Questo non significa nulla per te?

— Sì — rispose. — Un po’, sì. Ho sete. Se hai finito di bere, adesso versami un po’ di vino, per favore.

Feci come mi aveva chiesto, riempiendo il bicchiere solo per un quarto, nel timore che lo potesse versare e macchiare così le lenzuola.

Dorcas si sollevò a sedere per bere, una cosa che, fino ad un momento prima, non ero stato certo che fosse in grado di fare, e, dopo aver bevuto fino all’ultima goccia il liquido scarlatto, gettò il bicchiere fuori dalla finestra. Lo sentii infrangersi nella strada sottostante.

— Non voglio che tu beva dopo di me — mi spiegò. — E sapevo che avresti bevuto se non avessi agito così.

— Allora pensi che il tuo male sia contagioso?

— Sì — rise nuovamente Dorcas, — ma tu sei già contagiato. Lo hai contratto da tua madre. La morte. Severian, non mi hai ancora chiesto che cos’era quello che ho visto oggi.

XI

LA MANO DEL PASSATO

Non appena Dorcas mi fece osservare che non le avevo ancora chiesto che cosa avesse visto quel giorno, mi resi conto che avevo cercato di allontanare la conversazione da quell’argomento. Avevo la sensazione che si sarebbe trattato di qualcosa assolutamente privo di significato per me ed a cui Dorcas avrebbe invece attribuito una grande importanza, come fanno spesso i pazzi quando pretendono che i segni lasciati dai vermi sotto la corteccia degli alberi siano una sorta di scrittura sovrannaturale.

— Pensavo che sarebbe stato meglio allontanare la tua mente da questo argomento, di qualunque cosa si tratti — risposi.

— Lo sarebbe indubbiamente, se solo potessimo farlo. Era una sedia.

— Una sedia?

— Una vecchia sedia, un tavolo e parecchie altre cose. Nella Strada dei Tornitori sembra esserci un negozio che vende vecchio mobilio agli eclettici ed a quegli autoctoni che hanno assorbito quanto basta della nostra cultura per desiderarli. Qui non esistono fonti adeguate per sopperire alle richieste di quel tipo di materiali, così, due o tre volte all’anno, il proprietario del negozio ed i suoi figli vanno a Nessus… nei quartieri abbandonati del sud… e riempiono la loro barca. Ho parlato con il padrone, sai, e so tutto in proposito. Laggiù ci sono decine di migliaia di case vuote: alcune sono crollate molto tempo fa, ma altre sono ancora come le hanno lasciate i proprietari. La maggior parte di quelle case sono state saccheggiate, eppure qua e là si trovano ancora pezzi d’argento ed articoli di gioielleria. Ed anche se quasi tutto il mobilio è andato perduto, i proprietari, nell’andarsene, si sono sempre lasciati dietro qualcosa.

Ebbi l’impressione che stesse per piangere, e mi protesi in avanti per accarezzarle la fronte. Con un’occhiata, Dorcas mi fece capire che non gradiva il mio gesto, e tornò a sdraiarsi sul letto.

— In alcune case, poi, l’arredo è ancora completo — proseguì. — L’uomo ha detto che per lui sono le migliori. Lui pensa che alcune famiglie, o forse solo alcuni individui, siano rimasti lì a vivere da soli, quando il quartiere è morto. Forse erano troppo vecchi per andarsene, o troppo cocciuti. Ci ho riflettuto sopra, ed ho concluso che quelle persone dovevano avere laggiù qualcosa che non potevano lasciarsi alle spalle, forse la tomba di un familiare. Comunque, esse sprangarono le finestre per difendersi dai razziatori, e presero dei cani, ed esseri anche peggiori, per proteggersi. Alla fine se ne andarono o giunsero al termine della vita, ed i loro animali divorarono i corpi e poi fuggirono. Ma ormai laggiù non c’era più nessuno, né razziatori né sciacalli, almeno fino all’arrivo di quest’uomo e dei suoi figli.

— Deve esserci una quantità di vecchie sedie — osservai.

— Non come quella. Conoscevo tutto di essa… le incisioni sulle gambe e perfino i disegni tracciati sui braccioli. Allora mi tornarono in mente molte cose. E poi, qui, quando ho vomitato quei pezzi di piombo, simili a semi duri e pesanti, ho compreso. Ti rammenti, Severian, com’era quando abbiamo lasciato il Giardino Botanico? Tu, Agia ed io siamo usciti da quel grande vivaio di vetro e tu hai noleggiato una barca perché ci portasse dall’isola a riva, ed il fiume era pieno di neufari dai fiori azzurri e dalle verdi foglie scintillanti. I loro semi sono scuri, duri e pesanti come quel piombo, ed io ho sentito dire che sprofondano nel letto del Gyoll e vi rimangono per intere ere del mondo. Eppure, quando il caso li riporta vicino alla superficie, essi fioriscono, non importa quanto siano antichi, cosicché si possono veder rifiorire boccioli risalenti ad una chiliade fa.

— L’ho sentito dire anch’io — replicai, — ma questo non significa nulla per te e per me.

Dorcas era immobile, ma la voce le tremava.

— Qual è il potere che li richiama in vita? Me lo sai dire?

— La luce del sole, suppongo… ma no, non lo so spiegare.

— E non esiste altra fonte di luce che non sia il sole?

Sapevo che cosa intendeva dire, anche se in me c’era qualcosa che m’impediva di accettarlo.