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— La sofferenza?

— Sì, la sofferenza, ma anche qualcos’altro.

— Lui ti adora, sai. Ha parlato con me per qualche tempo, oggi, e credo che sarebbe pronto a camminare nel fuoco se tu glielo ordinassi. — A quelle parole dovetti sussultare, perché Dorcas aggiunse: — Tutto questo parlare di Hethor ti infastidisce, vero? Una persona malata è più che sufficiente. Parliamo di altro.

— Non è malato come te, ma non riesco a pensare ad Hethor senza rivederlo come l’ho visto una volta dall’alto del patibolo, con la bocca aperta e gli occhi…

— Sì, quegli occhi… li ho visti stanotte. — Dorcas si agitò, a disagio. — Occhi morti, anche se credo che non dovrei essere io a dire una cosa simile. Gli occhi di un cadavere. Hai la sensazione che, se li toccassi, scopriresti che sono aridi come pietre e che non si muovono mai.

— Questo non è tutto. Quando ero sul patibolo, a Saltus, ed ho guardato giù e l’ho visto, i suoi occhi danzavano. Tu hai detto però che i suoi occhi ti ricordano quelli di un cadavere. Ti sei mai guardata in uno specchio? I tuoi occhi non sono quelli di una morta.

— Forse no. — Dorcas fece una pausa. — Una volta solevi dire che erano molto belli.

— E non sei felice di essere viva? Anche se tuo marito è morto, e tuo figlio è morto e la tua casa è in rovina… anche se tutte queste cose fossero vere… non sei piena di gioia perché sei nuovamente qui? Non sei uno spettro, e neppure una resuscitata come quelli che abbiamo visto nella città di pietra. Guarda in uno specchio, come ti ho detto, oppure, se non vuoi, guarda nel mio volto o in quello di qualsiasi uomo e vedrai ciò che sei.

Dorcas si sollevò a sedere ancor più lentamente e faticosamente di quanto avesse fatto la prima volta quando si era sollevata per bere il vino, ma questa volta sporse le gambe oltre il bordo del letto, e vidi che era nuda sotto la sottile coperta. Prima della sua malattia, la pelle di Jolenta era perfetta, liscia e morbida, mentre quella di Dorcas era punteggiata di lentiggini dorate ed ella era tanto magra che riuscivo sempre ad intravedere le sue ossa. Eppure, Dorcas era molto più desiderabile nelle sue imperfezioni di quanto lo fosse stata Jolenta con la sua carne florida. Pur essendo consapevole di quanto sarebbe stato colpevole da parte mia impormi a lei o anche persuaderla a cedermi, ora che era malata e che stavo per lasciarla, avvertii ugualmente il desiderio che sorgeva in me. Per quanto grande… o piccolo… sia il mio amore per una donna, scopro sempre di desiderarla maggiormente, quando non la posso più avere.

Ma ciò che provavo per Dorcas era qualcosa di più forte ed anche di più complesso. Lei era stata, anche se solo per un tempo tanto breve, l’unica intima amica che avessi avuto, ed il nostro rapporto amoroso, sia il frenetico desiderio che ci aveva animati nel piccolo magazzino in cui ci era stato concesso di trascorrere la notte a Nessus, sia il pigro e prolungato giocare nella nostra camera nel Vincula, aveva sempre costituito una manifestazione caratteristica della nostra amicizia, oltre che del nostro amore.

— Stai piangendo — osservai. — Vuoi che me ne vada?

Dorcas scosse il capo, e poi, come se non potesse controllare oltre quelle parole che volevano uscire a tutti i costi, sussurrò:

— Oh, non vuoi venire anche tu, Severian? Non parlavo sul serio. Non vorresti venire? Venire con me?

— Non posso.

Dorcas si afflosciò sullo stretto letto, e mi parve più piccola e più bambina.

— Lo so. Tu hai il tuo dovere verso la corporazione: non puoi tradirla di nuovo e guardarti ancora in faccia, ed io non te lo chiederò. È solo che non avevo mai smesso del tutto di sperare che lo avresti fatto.

— Devo fuggire dalla città — replicai, scuotendo ancora il capo.

— Severian!

— E devo andare a nord. Tu andrai a sud, e, se io venissi con te, ci manderebbero dietro imbarcazioni piene di soldati.

— Severian, cosa è successo? — Il suo volto era molto calmo, ma gli occhi erano dilatati.

— Ho liberato una donna. Avrei dovuto strangolarla e gettare il suo corpo nell’Acis, ed avrei potuto… in realtà non provavo nulla per lei, e mi sarebbe stato facile farlo. Ma, quando sono rimasto solo con lei, ho pensato a Thecla. Eravamo in un piccolo bersò riparato da arbusti e situato proprio sull’orlo dell’acqua, e le avevo già messo le mani intorno al collo quando ho pensato a Thecla ed a come avevo desiderato di liberarla. Non ero mai riuscito a trovare il modo per farlo, te l’ho detto?

Dorcas scosse il capo quasi impercettibilmente.

— C’erano confratelli ovunque, e per la via più breve avremmo dovuto superarne almeno cinque, che conoscevano sia me che lei. — (Thecla stava ora gridando in un qualche angolo della mia mente). — In realtà, tutto quello che avrei dovuto fare sarebbe stato di dire loro che Maestro Gurloes mi aveva ordinato di portargli la prigioniera. Ma in quel caso sarei dovuto fuggire con lei, ed io stavo ancora cercando di escogitare un modo che mi avrebbe permesso di rimanere all’interno della corporazione.

Non l’amavo abbastanza.

— Adesso è passato — mi consolò Dorcas. — E, Severian, la morte non è quella cosa terribile che tu credi essa sia. — Adesso i nostri ruoli si erano invertiti, come se fossimo stati due bambini sperduti che cercassero di confortarsi a vicenda.

Scrollai le spalle. Lo spettro che avevo mangiato al banchetto di Vodalus era quasi calmo: potevo sentire le sue lunghe dita fredde sul mio cervello, e, sebbene non potessi voltarmi all’interno del mio cranio per vederla, sapevo che i suoi profondi occhi violetti erano dietro i miei. Fui costretto a fare uno sforzo per non parlare con la sua voce.

— Comunque, ero con quella donna, nel bersò, ed eravamo soli. Il suo nome era Cyriaca. Ero certo, o almeno sospettavo, che lei fosse al corrente di dove si trovavano le Pellegrine… perché una volta era stata una di loro. Ci sono mezzi di tortura silenziosi che non richiedono l’uso di alcun apparecchio, e che, pur non essendo spettacolari, risultano senz’altro efficaci. Basta manipolare direttamente i nervi del cliente. Stavo per usare quello che noi chiamiamo il Bastone di Humbaba, ma, prima che la toccassi, lei mi ha rivelato quello che volevo sapere. Le Pellegrine si stanno prendendo cura dei feriti vicino al Passo di Orinthya. Quella donna dice di aver ricevuto appena una settimana fa una lettera da una sua conoscente dell’Ordine…

XII

SEGUENDO IL FLUSSO

Il bersò aveva un tetto solido, ma i lati erano formati da semplici tralicci, sostenuti più dalle felci piantate a ridosso della loro superficie che dai sottili cannicci. I raggi della luna trapelavano fra di essi e penetravano in misura maggiore dalla porta, riflessi com’erano dalla sottostante acqua corrente. Potevo vedere il terrore sul volto di Cyriaca, e la consapevolezza che la sua unica, tenue speranza stava nell’eventualità che io provassi ancora un po’ di amore per lei; ma io sapevo che in effetti ella era priva di speranze, perché non provavo più nulla nei suoi confronti.

— All’accampamento dell’Autarca — ripeté Cyriaca. — Questo è quanto mi ha scritto Einhildis. Sono ad Orinthya, vicino alle sorgenti del Gyoll. Ma se andrai laggiù per restituire il libro, dovrai stare attento… Einhildis mi ha scritto anche che i cacogeni sono atterrati da qualche parte nel nord.

La fissai a lungo, cercando di scoprire se stesse mentendo.

— Questo è quanto mi ha scritto Einhildis. Suppongo abbiano voluto evitare gli specchi della Casa Assoluta, in modo da poter sfuggire agli occhi dell’Autarca. Lui dovrebbe essere il loro servitore, ma talvolta agisce come se toccasse a loro servire lui.

— Mi stai prendendo in giro? — La scrollai. — L’Autarca servire loro?

— Per favore! Oh, per favore…

La lasciai andare.