Gli alberi ed il cielo lo inghiottirono, lasciando solo il silenzio.
Gridai ancora, ed avanzai verso la porta con il cane alle calcagna, e l’avevo quasi raggiunta quando una donna apparve sulla soglia. Aveva un volto delicato che avrebbe potuto essere bello se non fosse stato per gli occhi tormentati, ma il suo abito lacero differiva da quello di una mendicante solo per il fatto che era pulito. Un momento più tardi, il volto rotondo di un ragazzino, dagli occhi più grandi di quelli della madre, fece capolino dietro alle gonne di quest’ultima.
— Mi spiace se ti ho spaventata — dissi, — ma mi sono perso in queste montagne.
La donna annui, esitò, poi si trasse indietro dalla soglia ed io entrai. All’interno dei muri spessi, la casa era ancora più piccola di quanto avessi supposto, ed era impregnata del pungente odore di un qualche vegetale che stava bollendo in una pentola appesa sul fuoco. Le finestre erano poche e piccole, e, a causa dello spessore delle pareti, sembravano più riquadri di ombra che aperture luminose. Un vecchio sedeva su una pelle di pantera, con la schiena rivolta al fuoco, ed i suoi occhi erano talmente sfocati e privi d’intelligenza che in un primo momento lo credetti cieco. In un angolo della stanza c’era un tavolo che aveva intorno cinque sedie, di cui tre sembravano essere state costruite per adulti. Mi rammentai quanto aveva detto Dorcas circa il fatto che il mobilio contenuto nelle case abbandonate di Nessus veniva rivenduto agli eclettici che avevano adottato usi più civilizzati, ma quel mobilio sembrava fabbricato sul posto.
— Mio marito tornerà presto — osservò la donna, notando la direzione del mio sguardo. — Prima di cena.
— Non ti devi preoccupare — ripetei. — Non voglio farvi alcun male. Se mi permetterai di dividere la vostra cena e di dormire stanotte al riparo dal freddo, e se mi darai domattina indicazioni per trovare la strada, sarò ben lieto di aiutarti a finire qualsiasi lavoro ci sia da far qui.
La donna annuì, ed il bambino cinguettò, cosa del tutto inaspettata:
— Hai visto Severa?
Sua madre gli si rivolse contro con una rapidità tale da farmi venire in mente il Maestro Gurloes quando ci mostrava le prese da usare per controllare i prigionieri. Sentii il colpo, anche se non riuscii a vederlo, e udii il ragazzino gridare. Sua madre si mosse per ostruire la porta, ed il bambino si nascose dietro una cassapanca che si trovava nell’angolo della stanza più lontano da lei. Allora compresi, o credetti di comprendere, che Severa doveva essere una ragazza o una donna che la madre del bambino considerava più vulnerabile di se stessa ed a cui lei aveva ordinato di nascondersi (probabilmente nel soppalco sotto il tetto) prima di lasciarmi entrare. Ritenni che avrei sprecato fiato a protestare ulteriormente che le mie intenzioni erano buone, perché era chiaro che la donna, se era ignorante, non era però una sciocca, e decisi che il modo migliore per guadagnarmi la sua fiducia era di meritarmela. Cominciai quindi con il chiederle un po’ d’acqua per lavarmi, e dissi che sarei stato ben lieto di andarla a prendere alla loro fonte, se lei mi avesse poi permesso di scaldarla sul fuoco. La donna mi diede un recipiente e mi spiegò dove fosse la sorgente.
In varie occasioni, ho visitato la maggior parte dei luoghi che vengono considerati romantici nel senso convenzionale del termine… in cima ad alte torri, giù nelle viscere della terra, all’interno di palazzi, nella giungla, a bordo di una nave… eppure nessuno di quei luoghi mi ha mai colpito nella stessa misura di quella povera capanna di pietre. Essa mi sembrava l’archetipo di quelle grotte in cui, come c’insegnano gli studiosi, l’umanità si è rifugiata ogni volta che ha raggiunto il punto più basso di ciascun ciclo di civilizzazione. Ogni volta che ho udito o letto la descrizione di un idilliaco ritiro rustico (ed era un’idea che Thecla amava molto), esso era organizzato in modo ordinato e pulito, con un letto di foglie di menta sotto una finestra, la legna affastellata contro la parete più fredda, un lucido pavimento di lastrico e così via. Qui non c’era nulla di tutto questo, nulla d’ideale, eppure quella casa appariva più perfetta in ragione di tutte le sue imperfezioni, perché dimostrava come esseri umani potessero vivere ed amare in un luogo tanto isolato, pur senza la capacità di trasformare l’ambiente circostante in un poema.
— Ti radi sempre con la spada? — mi chiese la donna. Era la prima volta che mi parlava senza stare in guardia.
— È un’usanza, una tradizione. Se la spada non fosse abbastanza affilata da poter servire come rasoio, mi vergognerei di portarla. E se è abbastanza affilata, che bisogno ho di un rasoio?
— Eppure, deve essere difficile tener sollevata una simile lama, e tu devi prestare molta attenzione per non tagliarti.
— L’esercizio rafforza il mio braccio, e poi, è un bene che io maneggi la spada ogni volta che ne ho l’occasione, in modo che essa mi divenga familiare come i miei arti.
— Allora sei un soldato. Lo pensavo.
— Sono un macellatore di uomini.
— Non intendevo insultarti — replicò la donna, apparentemente interdetta per la mia risposta.
— Non mi hai insultato. Tutti uccidiamo certe cose… tu hai ucciso quelle radici che sono nella pentola quando le hai messe a bollire nell’acqua. Quando uccido un uomo, io salvo la vita di tutte le cose viventi che lui avrebbe distrutto se avesse continuato a vivere, compresi forse molti altri uomini e donne e bambini. Che cosa fa tuo marito?
A quelle parole, la donna sorrise leggermente: era la prima volta che la vedevo sorridere, e la faceva sembrare molto più giovane.
— Tutto. Un uomo deve saper fare di tutto, quassù.
— Allora non siete nati qui.
— No — rispose. — Solo Severian… — Il suo sorriso svanì.
— Hai detto Severian?
— È il nome di mio figlio. L’hai visto al tuo arrivo, ed ora ci sta spiando. Qualche volta è un ragazzo sventato.
— Questo è anche il mio nome. Io sono il Maestro Severian.
— Hai sentito? — gridò la donna al ragazzo. — Questo buonuomo si chiama come te! — Poi tornò a rivolgersi a me. — Pensi che sia un bel nome? Ti piace?
— Temo di non averci mai riflettuto molto, ma, sì, suppongo di sì: mi sembra che mi si addica. — Avevo finito di radermi, e sedetti su una delle sedie per occuparmi della lama.
— Io sono nata a Thrax — continuò la donna. — Ci sei mai stato?
— Ne vengo ora — risposi, perché tanto, se i dimarchi avessero dovuto interrogarla dopo la mia partenza, la descrizione del mio abito sarebbe stata sufficiente a tradirmi.
— Hai mai incontrato una donna chiamata Herais? È mia madre.
Scossi il capo.
— Bene, è una grande città, credo. Ci sei rimasto a lungo?
— No, per poco. Mentre vivevi su queste montagne, hai sentito parlare delle Pellegrine? Sono un ordine di sacerdotesse vestite di rosso.
— Temo di no. Non ci arrivano molte notizie, qui.
— Sto tentando di trovarle, o, se non vi riuscissi, di unirmi all’esercito che l’Autarca ha inviato contro gli Asciani.
— Mio marito potrebbe darti migliori indicazioni di quanto possa fare io. Comunque, non avresti dovuto spingerti tanto in alto. Becan… mio marito… dice che le pattuglie non infastidiscono mai i soldati quando questi percorrono le vecchie strade.
Mentre la donna parlava dei soldati che si muovevano verso nord, qualcun altro, molto più vicino a noi, si mosse a sua volta. Fu un movimento talmente furtivo da essere quasi impercettibile a causa dello scoppiettio del fuoco e del rauco respiro del vecchio, ma era ugualmente un suono inconfondibile di piedi nudi che, incapaci di mantenere più a lungo l’assoluta immobilità richiesta dal silenzio, si erano mossi con molta cautela, facendo tuttavia scricchiolare le assi per via della nuova distribuzione di peso.