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— Tu hai ucciso Agilus e te ne sei gloriato! Non sono degna di morire quanto lo era lui? Eravamo della stessa carne! — Non le avevo creduto quando mi aveva detto di essere armata con un coltello, ma ora l’arma era lì, una delle ritorte daghe di Thrax, senza che l’avessi notata mentre l’estraeva.

Da qualche tempo, l’aria era pesante per l’imminenza del temporale, ed ora il tuono rimbombò fra i picchi che ci circondavano, e, quando i suoi echi si furono spenti, qualcosa gli rispose: non so descrivere quella voce, perché non era una voce umana e non era neppure il verso di una bestia.

Ogni stanchezza abbandonò Casdoe, e venne sostituita invece da una fretta disperata: pesanti imposte di legno erano appoggiate alla parete accanto a ciascuna piccola finestra, e lei afferrò la più vicina, sollevandola come se non fosse stata più pesante di una padella e la incastrò al suo posto. Fuori, il cane abbaiò freneticamente, poi tacque, cosicché l’unico suono che rimase fu il tamburellare della pioggia.

— Così presto! — gridò Casdoe, — così presto! — E, rivolta al figlio: — Togliti di mezzo, Severian.

Attraverso una delle finestre aperte, giunse il richiamo di una voce infantile che diceva:

— Padre, non puoi aiutarmi?

XVI

L’ALZABO

Tentai di dare una mano a Casdoe, e, nel farlo, voltai le spalle ad Agia ed alla sua daga. Fu un errore che quasi mi costò la vita, perché Agia mi fu addosso non appena ebbi le mani occupate con l’imposta. Secondo il proverbio, donne e marinai tengono il coltello sotto la mano, ma Agia colpì dal basso verso l’alto per aprire la carne e raggiungere il cuore come avrebbe potuto fare un assassino di professione, ed io mi volsi appena in tempo per bloccare la sua lama con l’imposta. La punta del coltello trapassò il legno e spuntò dall’altra parte, brillando.

La forza stessa impressa al colpo tradì Agia: diedi all’imposta uno strattone laterale e la gettai dall’altra parte della stanza, con il coltello confitto dentro. Agia e Casdoe si lanciarono verso l’imposta, ed io afferrai Agia per un braccio e la trassi indietro, mentre Casdoe incastrava l’imposta al suo posto, con il coltello che sporgeva all’esterno, verso la tempesta imminente.

— Sciocca! — esclamò Agia, la voce calma per la sconfitta. — Non ti rendi conto che stai offrendo un’arma a colui che temi, chiunque sia?

— Esso non ha bisogno di coltelli — replicò Casdoe.

La casa era adesso buia, fatta eccezione per la rossiccia luce del fuoco. Mi guardai in giro alla ricerca di una candela o di una lanterna ma non ne vidi; più tardi avrei appreso che le poche che la famiglia possedeva erano state portate nel soppalco. I lampi presero a saettare all’esterno, delineando i contorni delle imposte e disegnando una spezzata linea di luce sotto la porta… ci misi un momento prima di rendermi conto che la linea di luce sotto la porta era spezzata mentre avrebbe dovuto essere continua.

— C’è qualcuno là fuori — dissi, — sullo scalino.

— Ho chiuso la finestra appena in tempo — annuì Casdoe. — Non era mai venuto così presto prima d’ora. Forse la tempesta lo ha svegliato.

— Non pensi che potrebbe essere tuo marito?

Prima che la donna mi potesse rispondere, una voce, più forte di quella del ragazzino, chiamò:

— Fammi entrare, Mamma!

Perfino io, che non sapevo chi stesse parlando, percepii una terribile distorsione esistente in quelle semplici parole: forse era la voce di un bambino, ma non di un bambino umano.

— Mamma - chiamò ancora la voce, — sta cominciando a piovere!

— Faremmo meglio a salire di sopra — suggerì Casdoe. — Se ci tiriamo dietro la scala, non ci potrà raggiungere, anche se dovesse entrare.

Mi ero avvicinato alla porta: senza la luce dei lampi, i piedi della creatura dietro la porta erano invisibili, ma potevo avvertire un respiro lento e rauco al disopra del battito della pioggia, ed una volta sentii un suono raspante, come se la cosa che aspettava nel buio avesse spostato i piedi.

— È opera tua? — chiesi ad Agia. — È una delle bestie di Hethor?

Agia scosse il capo, gli occhi castani che danzavano.

— Queste creature vagano selvagge su queste montagne, come tu dovresti sapere meglio di me.

— Mamma!

Ci fu uno strisciare di piedi… con quell’ansioso appello, la creatura all’esterno si era allontanata dalla porta. Una delle imposte aveva una fessura, e tentai di guardare attraverso essa: non vidi altro che la fitta oscurità esterna, ma potei sentire un passo morbido e pesante che era identico al suono che talvolta trapelava dalle porte sbarrate della Torre dell’Orso, a casa.

— Ha preso Severa tre giorni fa — spiegò Casdoe. Stava cercando di far alzare il vecchio che obbedì lentamente, riluttante ad abbandonare il calore del fuoco. — Non permettevo mai né a lei né a Severian di addentrarsi fra gli alberi, ma esso è venuto qui nella radura un turno di guardia prima del tramonto. Da allora, è tornato ogni notte. Il cane non voleva seguire le sue tracce, ma oggi Becan è andato lo stesso a cercarlo.

Ormai avevo intuito l’identità della bestia, anche se non ne avevo mai vista una di quella specie.

— Allora è un alzabo? La creatura dalle cui ghiandole si ricava l’analettico?

— Sì, è un alzabo — rispose Casdoe, — ma non so nulla di alcun analettico.

— Ma Severian sì — rise Agia. — Ha assaporato la saggezza di quella creatura e porta la sua amata dentro di sé. A quanto mi è dato di capire, di notte si possono sentire i loro ardenti sospiri d’amore.

Cercai di colpirla, ma Agia schivò abilmente e mise il tavolo fra lei e me.

— Non sei felice, Severian, che quando altri animali vennero portati su Urth per sostituire quelli che gli uomini avevano sterminato, fra essi ci fosse anche l’alzabo? Senza l’alzabo, avresti perduto la tua adorata Thecla per sempre. Racconta a Casdoe quanto ti ha reso felice l’alzabo!

— Sono davvero dispiaciuto di apprendere della morte di tua figlia — dissi invece a Casdoe. — Difenderò questa casa dall’animale che c’è fuori, se sarà necessario.

La mia spada era appoggiata al muro, e, per dimostrare la mia buona volontà, allungai la mano verso di essa. Fu una vera fortuna che lo facessi, perché in quel momento da dietro la porta giunse la voce di un uomo:

— Aprimi, cara!

Agia ed io balzammo contemporaneamente avanti per fermare Casdoe, ma nessuno di noi fu abbastanza rapido, e, prima che avessimo potuto raggiungerla, aveva già sollevato la sbarra. La porta si spalancò.

La bestia che attendeva fuori era un quadrupede, ma anche così le sue spalle massicce arrivavano all’altezza della mia testa. La testa era bassa, con le punte degli orecchi al disotto della cresta di pelo che cresceva sulla schiena; alla luce del fuoco, i suoi denti brillavano candidi ed i suoi occhi avevano un bagliore rosso. Ho visto gli occhi di molte di quelle creature che si dice siano giunte qui da oltre i margini del mondo… attratte, come sostengono certi filosofi, dalla morte di quelle bestie che avevano avuto origine qui, così come tribù di enchors, armate di coltelli di pietra e di fuochi, sciamano su un territorio la cui popolazione sia stata annientata dalla malattia o dalla guerra. Comunque, gli occhi di quelle creature erano soltanto gli occhi di una bestia, mentre le orbite rosse dell’alzabo erano qualcosa di più, poiché non avevano l’intelligenza propria degli uomini ma neppure l’innocenza dei bruti. Erano occhi uguali a quelli di un demonio che fosse appena riuscito ad emergere dall’abisso di una stella nera. Poi, mi rammentai degli uomini-scimmia, che erano chiamati demoni ma che avevano occhi umani.