Per un momento, parve che si potesse richiudere la porta, e vidi Casdoe, che era indietreggiata inorridita, cercare di spingere il battente. L’alzabo sembrò avanzare lentamente, perfino pigramente, eppure fu troppo veloce per lei ed il bordo della porta batté contro le costole dell’animale che parvero fatte di roccia.
— Lascia aperto — dissi alla donna. — Avremo bisogno di ogni possibile fonte di luce.
Avevo sguainato Terminus Est, che ora brillava alla luce del fuoco tanto da sembrare essa stessa una fiammella. Una balestra come quella che i sicari di Agia avevano usato, le cui quadrelle venivano accese dall’attrito con l’atmosfera ed esplodevano quando colpivano come pietre gettate in una fornace, sarebbe forse stata un’arma migliore, ma non mi sarebbe sembrata un prolungamento del mio braccio come lo era Terminus Est, e forse avrebbe dato all’alzabo il tempo di balzarmi addosso mentre cercavo di ricaricare, se non lo avessi colpito con la prima quadrella.
La lunga lama della mia spada non eliminava completamente il pericolo: la sua punta squadrata non poteva impalare la bestia, se questa avesse saltato. Avrei dovuto sferrare un fendente mentre era in aria, e, anche se non dubitavo di riuscire a staccare quella testa dal suo spesso collo, sapevo comunque che sbagliare avrebbe significato la mia fine. Inoltre, avevo bisogno di un certo spazio per sferrare il colpo, e la stretta stanza non era certo adeguata. E avevo anche bisogno di luce, mentre il piccolo fuoco si stava invece estinguendo.
Il vecchio, il bambino e Casdoe erano tutti scomparsi, e non ero certo se si fossero arrampicati sulla scaletta, mentre la mia attenzione era fissa sugli occhi della bestia, o se almeno qualcuno di loro fosse riuscito a fuggire dalla porta, alle spalle dell’animale. Rimaneva solo Agia, appiattita in un angolo ed armata con il bastone dalla punta d’acciaio di Casdoe, come un marinaio che, al limite della disperazione, cercasse di allontanare una galeassa servendosi di un rampone. Sapevo che parlarle sarebbe equivalso ad attirare su di lei l’attenzione della bestia, ma speravo che, se l’alzabo avesse alzato la testa in quella direzione, sarei forse riuscito a troncargli la spina dorsale.
— Agia — dissi, — ho bisogno di luce. Al buio mi ucciderà. Una volta, hai detto ai tuoi uomini che mi avresti affrontato, se solo loro mi avessero preso alle spalle. Ora io affronterò questa bestia per te, se solo tu mi porterai una candela.
Agia annuì per dire che aveva capito, e, in quel momento, la bestia si mosse verso di me; non balzò tuttavia, come mi ero aspettato: scivolò pigramente, ma agilmente, sulla destra, venendo più vicina e cercando al contempo di tenersi fuori dalla portata della mia spada. Dopo un momento d’incomprensione, mi accorsi che, assumendo quella nuova posizione vicino al muro, la bestia aveva bloccato qualsiasi ulteriore attacco che io avrei potuto sferrare, e che, se fosse riuscita ad aggirarmi (come aveva quasi fatto) fino a portarsi fra me ed il fuoco, avrei perduto la maggior parte del vantaggio che mi veniva dalla luce della fiamma.
Iniziammo così un attento gioco, nel quale l’alzabo cercava di sfruttare il più possibile le sedie, il tavolo ed i muri, ed io tentavo di trovare il massimo spazio possibile per la mia spada.
Poi balzai avanti. L’alzabo, così mi parve, evitò il mio colpo per non più di un dito di distanza, si allungò contro di me e si trasse indietro appena in tempo per evitare il mio colpo di ritorno. Le sue mascelle, grandi abbastanza per addentare la testa di un uomo come un uomo addenterebbe una mela, si erano chiuse di scatto davanti alla mia faccia, inondandomi con il puzzo del suo respiro marcio.
Rimbombò un altro tuono, tanto vicino che, quando il suo rombo si fu spento, potei udire il tonfo del grande albero di cui esso aveva proclamato la morte; il lampo, illuminando ogni dettaglio con la sua luce abbagliante, mi lasciò intontito ed accecato. Agitai Terminus Est nell’oscurità che seguì, e la sentii mordere un osso e poi rimbalzare. Quando il tuono risuonò di nuovo, roteai ancora la spada, ma questa volta sfasciai solo qualche pezzo di mobilio.
Poi, ci vidi nuovamente. Mentre l’alzabo ed io ci scambiavamo alcune finte e mutavamo posizione, anche Agia si era mossa, e doveva essere corsa verso la scala quando era scoppiato il lampo: era già a metà della scaletta, e vidi Casdoe allungare una mano per aiutarla. L’alzabo era fermo dinnanzi a me, e sembrava integro, se non fosse stato per una pozza di sangue nero che si stava formando ai suoi piedi. Il suo pelo appariva rosso ed ispido alla luce del fuoco, e gli artigli delle zampe, più grossi di quelli di un orso, erano anch’essi di un rosso cupo. Poi, più orrenda della voce che uscisse dalle labbra di un cadavere, sentii ancora la voce che aveva chiesto a Casdoe di aprire la porta.
— Sì - disse, — sono ferito, ma il dolore non è molto, e posso reggermi in piedi e muovermi come prima. Non mi puoi tenere per sempre lontano dalla mia famiglia.
Dalla bocca di quella bestia usciva la voce di un uomo serio ed onesto.
Trassi fuori l’Artiglio e lo deposi sul tavolo, ma esso non emetteva che una debole scintilla azzurra.
— Luce! — gridai ad Agia, ma non mi venne fornito alcun lume, e sentii invece il suono della scaletta del solaio, mentre le donne la tiravano su.
— La via della fuga ti è preclusa, vedi? - disse ancora la bestia, con la voce dell’uomo.
— Lo è anche la tua avanzata. Puoi forse saltare tanto in alto, con una zampa ferita?
Bruscamente, la voce si trasformò in quella sottile e tremolante della bambina.
— Ma posso arrampicarmi. Credi forse che non penserei di spostare il tavolo sotto l’apertura? Io, che posso parlare?
— Allora sai di essere una bestia!
— Noi sappiamo di essere dentro questa bestia, come una volta eravamo dentro gli involucri di carne che essa ha divorato. - Era di nuovo la voce dell’uomo.
— E tu acconsentiresti a che essa divori anche tua moglie e tuo figlio, Becan?
— Lo ordinerei. Sono io che lo ordino. Voglio che Casdoe e Sevenan ci raggiungano qui, come io ho raggiunto Severa quest’oggi. Quando il fuoco si spegnerà, anche tu morirai… ti unirai a noi… e così anche loro.
— Ti sei dimenticato che ti ho ferito quando non potevo vederci? — risi. Tenendo pronta Terminus Est, attraversai la stanza fino a raggiungere la sedia che avevo fracassato, e, preso quello che era stato il suo schienale, lo gettai nel fuoco, generando una nube di scintille. — Quello mi sembrava legno ben stagionato, e lucidato con cura con cera d’api. Dovrebbe bruciare bene.
— Il buio verrà… ugualmente. - La bestia… Becan… sembrava infinitamente paziente. — Il buio verrà, e tu ti unirai a noi.
— No. Quando tutta la sedia sarà bruciata e la luce comincerà a mancare, io avanzerò e ti ucciderò. Adesso sto solo aspettando per farti sanguinare.
Seguì un silenzio reso maggiormente strano dal fatto che nulla, nell’espressione della bestia, lasciava supporre che questa stesse pensando. Sapevo che, come quanto restava dell’attività neurale di Thecla era stato fissato nei nuclei di alcune delle mie cellule frontali grazie ad una secrezione distillata dagli organi di una creatura come quella, così quell’uomo e sua figlia si aggiravano nell’opaco bosco che era la mente di quell’animale ed erano convinti di essere vivi. Ma io non riuscivo neppure ad immaginare che spettro di vita potesse essere il loro, né quali sogni o desideri potessero entrarvi.
— Fra un turno di guardia o due, quindi - disse ancora la voce dell’uomo, — io ucciderò te o tu ucciderai me. O forse ci distruggeremo a vicenda. Se adesso mi volto e me ne vado nella notte e nella pioggia, mi darai la caccia quando Urth si girerà ancora una volta verso il sole? O rimarrai qui per tenermi lontano dalla donna e dal bambino che mi appartengono?