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— No — risposi.

— Sull’onore che possiedi? Lo giuri su quella spada, anche se non la puoi puntare verso il sole?

Feci un passo indietro e rovesciai Terminus Est, tenendo la lama in modo che la sua punta fosse diretta verso il mio cuore.

— Giuro su questa spada, l’emblema della mia Arte, che se non tornerai più questa notte, non ti darò la caccia domani, né rimarrò in questa casa.

Rapido come un serpento, l’alzabo si volse, e, forse, per un istante avrei potuto colpire la sua grossa schiena. Poi scomparve, e non rimase altra traccia della sua presenza che la porta spalancata, la sedia in pezzi e la pozza di sangue (più scuro, mi sembra, di quello degli animali del nostro mondo) che stava penetrando nelle tavole del plancito.

Andai alla porta e la sbarrai, quindi riposi l’Artiglio nella piccola sacca che avevo appesa al collo ed infine, come aveva suggerito la bestia, spostai il tavolo in modo da potermi arrampicare su di esso ed issarmi facilmente nel soppalco. Casdoe ed il vecchio mi aspettavano nell’angolo più lontano insieme al bambino, Severian, nei cui occhi vidi ricordi che sarebbero rimasti in lui per vent’anni a venire. Essi erano illuminati dalla vacillante luce di una lampada sospesa ad una delle travi.

— Sono sopravvissuto, come vedete. Avete sentito quello che abbiamo detto di sotto?

Casdoe annuì senza parlare.

— Se tu mi avessi portato il lume che ti avevo chiesto, non avrei fatto ciò che ho fatto. Così come stavano le cose, non ho sentito alcun obbligo nei vostri confronti. Se fossi in voi, lascerei questa casa non appena si fa giorno e scenderei a valle. Ma questo riguarda solo voi.

— Avevamo paura — mormorò Casdoe.

— Anch’io. Dov’è Agia?

Con mia sorpresa, il vecchio m’indicò qualcosa, ed io guardai nella direzione segnalatami, vedendo che il fitto strato di paglia era stato spostato quanto bastava per praticare un’apertura sufficiente a far passare lo snello corpo di Agia.

Quella notte, dormii accanto al fuoco, dopo aver avvertito che avrei ucciso chiunque si fosse azzardato a scendere di sotto. Al mattino, feci il giro della casa e notai che, come mi ero aspettato, il coltello di Agia non era più conficcato nell’imposta.

XVII

LA SPADA DEL LITTORE

— Ce ne andiamo — mi disse Casdoe, — ma preparerò la colazione prima di partire. Non dovrai mangiare con noi, se non lo desideri.

Annuii, ed attesi fuori fino a quando la donna mi offrì una semplice pappa d’avena in una ciotola di legno; allora portai la colazione con me fino alla sorgente e mangiai. Ero protetto dai cespugli, e non venni fuori. Credo che quella fosse una violazione del giuramento fatto all’alzabo, ma comunque tenni d’occhio la casa.

Dopo qualche tempo, Casdoe, suo padre ed il piccolo Severian uscirono.

La donna portava un sacco ed il bastone di suo marito, mentre il vecchio ed il bambino avevano ciascuno un piccolo fardello. Il cane, che doveva essersi nascosto sotto il plancito quando era venuto l’alzabo (non lo posso biasimare, ma Triskele non lo avrebbe fatto) stava saltellando loro intorno. Vidi che Casdoe si guardava in giro alla mia ricerca, e che, quando non le riuscì di trovarmi, si chinò e posò un fagotto sullo scalino.

Li osservai allontanarsi lungo il limitare del loro campicello, che doveva essere stato arato e seminato appena un mese prima e che ora sarebbe stato depredato dagli uccelli. Né Casdoe né suo padre si guardarono alle spalle, ma il ragazzino, Severian, si fermò e si volse prima di superare la prima altura, per vedere ancora una volta la sola casa che avesse mai conosciuto. Le pareti di pietra erano resistenti come sempre, ed il fuoco acceso per la colazione faceva ancora filtrare fumo dal camino. Poi sua madre dovette chiamarlo, perché il bambino si affrettò a seguirla e scomparve alla mia vista.

Abbandonai il riparo dei cespugli e mi avvicinai alla porta. Il fagotto conteneva due coperte di morbido guanaco ed un po’ di carne secca avvolta in una pezza pulita. Misi la carne nella giberna e ripiegai le coperte in modo da poterle trasportare sulla spalla.

La pioggia aveva lasciato l’aria fresca e pulita, ed era piacevole sapere che presto mi sarei lasciato alle spalle quella capanna di tronchi con il suo fumo ed i suoi odori. Guardai all’interno e vidi la macchia scura del sangue dell’alzabo e la sedia rotta; Casdoe aveva rimesso il tavolo al suo posto contro la parete, e notai che l’Artiglio non aveva lasciato alcun segno sulla sua superficie. Non era rimasto nulla che valesse la pena di prendere, quindi uscii e richiusi la porta.

Mi misi a seguire Casdoe ed i suoi. Non le avevo perdonato di non avermi fatto luce quando stavo combattendo contro l’alzabo… avrebbe potuto farlo con tanta facilità, calando la sua lampada dal soppalco! Eppure, non potevo biasimarla eccessivamente per essersi schierata dalla parte di Agia, una donna sola fra i volti gelidi e fissi delle cime montane; ed il vecchio ed il bambino, nessuno dei quali poteva essere ritenuto colpevole, erano almeno altrettanto vulnerabili quanto lei.

Il sentiero era soffice, al punto che potevo seguire le loro tracce quasi nel senso letterale del termine, individuando le piccole impronte di Casdoe, quelle ancora più piccole del bambino, che faceva due passi per ognuno della madre, e quelle del vecchio, con le punte rivolte all’interno. Camminai lentamente per non raggiungerli, e, sebbene sapessi che per me il pericolo aumentava ad ogni passo che facevo, osai sperare che le pattuglie dell’arconte, nel fermare ed interrogare i tre, mi avrebbero messo in guardia. Casdoe non mi poteva tradire, dal momento che qualsiasi informazione lei avesse onestamente fornito ai dimarchi, li avrebbe soltanto mandati fuori strada. E, se l’alzabo era nelle vicinanze, speravo di fiutarlo o di sentirlo prima che attaccasse… dopo tutto, non avevo giurato di lasciare la sua preda indifesa, ma solo di non dargli la caccia e di non rimanere nella capanna.

Quel sentiero non doveva essere che una pista tracciata dalla selvaggina ed allargata da Becan, e ben presto svanì. Qui lo scenario era meno cupo di quanto fosse stato al disopra della fascia di alberi; i pendii rivolti a nord erano coperti di piccole felci e di muschio, e le conifere crescevano sulle alture, mentre raramente non si udiva un suono di acqua cadente. Dentro di me, Thecla rammentò di essersi recata in un luogo molto simile a quello per dipingere, accompagnata dal suo insegnante e da due rozze guardie del corpo, ed io ebbi la sensazione che mi sarei presto imbattuto nel cavalletto, nella tela e nella cassetta dei pennelli, abbandonati presso una cascata quando il sole aveva smesso di giocare fra gli spruzzi.

Naturalmente, non trovai nulla, e per parecchi turni di guardia non vi fu ia minima traccia di esseri umani. Mescolate a quelle di Casdoe e dei suoi, c’erano tracce di daini, e, due volte, anche le tracce di quei gattoni dal pelo rossiccio che si nutrono di essi, impronte che dovevano certo essere state lasciate all’alba, quando la pioggia aveva cessato di cadere.

Poi vidi una fila di tracce lasciate da un piede nudo più grande di quello del vecchio: in effetti, ciascuna impronta era grande quanto quella del mio piede calzato di stivale, ed il passo era certo più lungo. Quelle tracce attraversavano ad angolo retto quelle che stavo seguendo, ma una di esse cadeva su una di quelle del ragazzo, il che significava che chi le aveva lasciate era passato fra me e loro.

Mi affrettai ad avanzare.

Avevo immaginato che quelle impronte fossero state lasciate da un autoctono, anche se ricordo di essermi meravigliato per le loro dimensioni e per il passo lungo, dal momento che normalmente quei selvaggi montanari sono piuttosto bassi di statura. Se era davvero un autoctono, era improbabile che facesse del male a Casdoe ed agli altri, anche se era quasi certo che avrebbe preso loro tutto quello che avevano: da quanto avevo sentito dire, gli autoctoni erano bravi cacciatori, ma non bellicosi.