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Per qualche tempo, sondai il terreno circostante alla ricerca di un punto morbido dove poter scavare con il bastone di Casdoe, ma alla fine trasportai i corpi fino ad un tratto di terreno roccioso vicino ad un corso d’acqua e là costruii un tumulo su di essi, che li avrebbe coperti, almeno speravo, per quasi un anno, fino allo scioglimento delle nevi, e cioè fin quasi alla data della festa di Santa Katharine, disgelo che avrebbe trascinato via le ossa della figlia e del padre.

Il piccolo Severian all’inizio mi aveva soltanto osservato, poi mi aveva portato a sua volta alcune piccole pietre prima che il tumulo fosse completato; infine, mentre ci lavavamo nel torrente dalla polvere e dal sudore, mi aveva chiesto:

— Sei mio zio, tu?

— Sono tuo padre… per ora, almeno — gli dissi. — Quando a qualcuno muore il padre, se ne deve trovare uno nuovo, se è una persona giovane come te. E sono io.

Il bambino annuì, perso nelle sue riflessioni, ed io, improvvisamente, mi rammentai come, appena due notti prima, avessi sognato di un mondo in cui gli abitanti si sapevano legati da vincoli di sangue perché discendenti tutti da un’unica coppia di coloni. Io, che non conoscevo i nomi di mia madre e mio padre, avrei potuto essere parente di quel bambino che portava il mio stesso nome, o, per questo, parente di chiunque incontravo. Il mondo di cui avevo sognato era stato, per me, il letto stesso su cui giacevo. Vorrei poter essere in grado di descrivere quanto eravamo seri, fermi là vicino al ridente ruscello, e quanto apparisse solenne e pulito il bambino, con il volto lavato e le gocce d’acqua che brillavano fra le ciglia dei suoi grandi occhi.

XVIII

SEVERIAN E SEVERIAN

Bevvi quanto più potei e raccomandai al bambino di fare altrettanto, perché c’erano molti luoghi aridi sulle montagne, ed avremmo potuto non trovare altro da bere fino al mattino successivo. Il bambino mi chiese se adesso saremmo tornati a casa, e, sebbene avessi progettato di tornare indietro sui miei passi, fino all’abitazione di Casdoe, risposi di no, perché sapevo che sarebbe stato troppo doloroso per lui rivedere quella casa, il giardinetto ed il piccolo campo e doverli lasciare per la seconda volta. Alla sua età, il ragazzino poteva anche essere convinto che, chissà come, suo padre, sua madre, sua sorella e suo nonno fossero ancora dentro quella casa.

Comunque, non potevamo scendere ulteriormente, perché eravamo già molto al disotto dell’altitudine a cui il cammino si faceva pericoloso per me. Il braccio dell’arconte poteva arrivare a cento e più leghe di distanza da Thrax, ed era probabile che Agia si sarebbe affrettata a mettere i dimarchi sulle mie tracce.

A nord-est c’era il picco più alto che avessi mai visto: non soltanto la sua cima, ma anche le spalle erano coperte di neve che gli scendeva fin quasi alla vita. Non avrei saputo dire, e forse nessuno era in grado di farlo, a chi appartenesse il volto orgoglioso che guardava verso occidente dominando molte altre vette minori, ma certamente doveva essere appartenuto a qualcuno che aveva regnato all’inizio del periodo più grandioso dell’umanità, e che aveva comandato energie in grado di modellare il granito, come il coltello di uno scultore modella il legno. Guardando la sua immagine, mi sembrava che perfino gli induriti dimarchi, che conoscevano tanto bene quelle selvagge montagne, dovessero provare davanti a lui un reverenziale timore. E così, mi avviai in quella direzione, o meglio, verso l’alto passo che collegava le pieghe della tunica alla montagna su cui Becan aveva stabilito la sua dimora. Per il momento, il cammino non era molto erto, e noi spendemmo la maggior parte delle energie nel camminare piuttosto che nell’arrampicarci.

Il bambino Severian mi teneva spesso per mano, anche quando non aveva bisogno del mio sostegno; io non sono molto bravo a giudicare l’età dei bambini, ma mi sembrava che si trovasse in quello stadio di crescita in cui, se fosse stato uno dei nostri apprendisti, sarebbe entrato per la prima volta nell’aula scolastica del Maestro Palaemon… il che voleva dire che era grande abbastanza da camminare bene e da parlare quanto bastava per capire e per farsi capire.

Per più di un turno di guardia, il bambino non disse altro, a parte ciò che ho già riferito; poi, mentre stavamo discendendo un aperto pendio erboso orlato di pini, un luogo molto simile a quello in cui era morta sua madre, mi chiese:

— Severian, chi erano quegli uomini?

— Quelli non erano uomini — risposi, sapendo a chi si riferiva, — anche se una volta lo erano stati ed ancora somigliavano ad esseri umani. Erano zoantropi, una parola che indica quelle bestie che hanno forma umana. Capisci quello che sto dicendo?

— Perché non portavano vestiti? — chiese il ragazzino, dopo aver annuito solennemente.

— Perché, come ti ho detto, non erano più esseri umani. Un cane nasce cane, ed un uccello nasce uccello, ma divenire un essere umano è una conquista… dovresti rifletterci. Devi averci già pensato durante gli ultimi tre o quattro anni almeno, piccolo Severian, anche se non te ne sei reso conto.

— Un cane cerca soltanto il cibo — osservò il ragazzo.

— Esatto. Ma questo solleva la questione se una persona debba essere obbligata a simili riflessioni, e c’è gente che molto tempo fa ha deciso che non era un obbligo. Noi possiamo talvolta costringere un cane a comportarsi come un uomo… a camminare sulle zampe di dietro, a portare un collare e così via, ma non potremmo e non dovremmo obbligare un uomo ad agire come un uomo. Non hai mai desiderato dormire, quando non eri stanco e neppure assonnato? — chiesi, ed il bambino annuì. — Questo perché volevi deporre il fardello derivante dall’essere un ragazzo, almeno per un po’. Qualche volta, io bevo troppo vino, e questo perché vorrei smettere per un po’ di essere un uomo. Qualche volta, c’è gente che per questo motivo si toglie la vita. Lo sapevi?

— Oppure fanno cose che li fanno soffrire — aggiunse il ragazzino, con l’aria di ripetere discorsi sentiti da altri, il che mi indusse a pensare che Becan doveva essere stato proprio quel tipo di uomo, altrimenti non avrebbe portato la sua famiglia a vivere in un luogo tanto solitario ed isolato.

— Sì — convenni, — quella è la stessa cosa. E qualche volta, certi uomini e perfino certe donne, arrivano ad odiare il fardello costituito dal pensiero, senza però desiderare di morire. Vedono gli animali e vogliono diventare come loro, obbedire solo agli istinti e non dover pensare. Lo sai cos’è che ti fa pensare, piccolo Severian?

— La mia testa — rispose prontamente il ragazzine prendendosela fra le mani.

— Anche gli animali hanno la testa… perfino ammali molto stupidi come i gamberi, i buoi o le pulci. Quello che ti fa pensare è solo una piccola parte della tua testa, all’interno, proprio sopra gli occhi. — Gli toccai la fronte. — Ora, supponiamo che, per una qualche ragione, tu voglia farti tagliare una mano: ci sono uomini abilissimi nel farlo, da cui potresti andare. Supponiamo, per esempio, che la tua mano abbia subito un danno da cui non guarirà mai: essi sarebbero in grado di tagliartela in modo tale da non procurare alcun danno al resto della tua persona.

Il bambino annuì.

— Molto bene. Quegli stessi uomini possono anche togliere quella piccola parte della tua testa che ti fa pensare. Non possono più rimetterla, bada bene, e, anche se potessero farlo, non si potrebbe chiedere loro di rimetterla una volta che fosse stata tolta. Ma, qualche volta, ci sono persone che pagano questi uomini perché rimuovano quella parte della testa. Essi vogliono smettere per sempre di pensare, e spesso dicono di voler volgere le spalle a tutto quello che l’umanità ha fatto. Allora, non è più giusto trattarli come esseri umani… essi sono divenuti animali, anche se animali di forma umana. Tu mi hai chiesto perché non portano vestiti: essi non comprendono più l’uso dei vestiti, per cui non li usano neppure se hanno freddo, anche se può darsi che vi si sdraino sopra o vi si arrotolino dentro.