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— Se il sole è ancora là, perché le stelle brillano maggiormente?

Dal suo tono di voce compresi che era compiaciuto della sua furbizia nel discutere, ed anch’io ne ero compiaciuto, e di colpo mi resi conto del perché al Maestro Palaemon piacesse ragionare con me quando ero bambino.

— La fiamma di una candela è quasi invisibile alla violenta luce del sole, e le stelle, che in realtà sono anch’esse soli, sembrano svanire nello stesso modo. Disegni fatti nei giorni antichi, quando il nostro sole era più luminoso, indicano che allora le stelle non erano affatto visibili fino al tramonto. Le antiche leggende… ho nella mia giberna un libro marrone che ne racconta molte… sono piene di esseri magici che appaiono e scompaiono nello stesso modo. Indubbiamente, questi racconti sono basati sull’aspetto che avevano allora le stelle.

— Là c’è l’idra — indicò il bambino.

— Credo che tu abbia ragione. Ne conosci altre?

Il bambino mi mostrò la croce ed il grande toro, ed io gli indicai il mio amphisbaena e parecchie altre costellazioni.

— Là c’è il lupo, vicino all’unicorno, e dovrebbe esserci un piccolo lupo, ma non riesco a trovarlo.

Lo scoprimmo insieme, vicino all’orizzonte.

— Sono come noi, vero? — mi chiese il bambino. — Il grande lupo ed il piccolo lupo, e noi siamo il grande Severian ed il piccolo Severian.

Convenni che era così, e lui fissò le stelle per lungo tempo, masticando il pezzo di carne secca che gli avevo dato, poi disse:

— Dov’è il libro con quelle storie?

Glielo feci vedere.

— Anche noi avevamo un libro, e qualche volta mamma leggeva qualcosa a Severa ed a me.

— Era tua sorella, vero?

— Eravamo gemelli — annuì il bambino. — Grande Severian, hai mai avuto una sorella?

— Non lo so. Tutta la mia famiglia è morta, morta quando ero bambino. Che tipo di storia ti piacerebbe?

Mi chiese di vedere il libro, ed io glielo diedi; dopo che ebbe sfogliato qualche pagina, me lo restituì.

— Non è come il nostro.

— Non pensavo che lo fosse.

— Vedi se riesci a trovare la storia di un ragazzo che abbia un grosso amico ed un gemello. Dovrebbero esserci anche i lupi. — Feci del mio meglio, leggendo in fretta per vincere la luce che svaniva.

XIX

LA STORIA DEL RAGAZZO CHIAMATO ROSPO

Parte I — Inizio d’Estate e suo figlio

Sulla cima di una montagna, al di là delle spiagge di Urth, viveva una volta un’adorabile donna chiamata Inizio d’Estate. Ella era la regina di quella terra, ma il suo re era un uomo forte che non conosceva il perdono, e, poiché lei era gelosa di lui, lui era geloso di lei a sua volta, ed uccideva qualsiasi uomo che sospettasse essere il suo amante.

Un giorno, Inizio d’Estate stava passeggiando nel suo giardino quando vide uno splendido bocciolo di una specie a lei sconosciuta. Era più rosso di qualsiasi rosa, ed aveva un profumo più dolce, ma il suo forte stelo era privo di spine e liscio come l’avorio. La regina colse il fiore e lo portò in un angolo nascosto, dove si sdraiò a contemplarlo, ed esso crebbe fino a non sembrarle più un bocciolo, ma l’amante che aveva desiderato, possente eppure tenero come un bacio. Certi succhi della pianta entrarono in lei, ed ella concepì. Tuttavia, disse al re che il bambino era suo, e, siccome era ben sorvegliata, il re le credette.

Nacque un maschio, e, per desiderio di sua madre, fu chiamato Vento di Primavera. Alla sua nascita, vennero radunati tutti gli studiosi delle stelle perché facessero il suo oroscopo, non solo quelli che vivevano sulla cima della montagna, ma anche molti dei più grandi maghi di Urth. A lungo essi faticarono sulle loro carte, e nove volte si riunirono in solenne conclave: alla fine annunciarono che Vento di Primavera sarebbe stato imbattibile in battaglia, e che nessuno dei suoi figli sarebbe perito prima di divenire adulto. Questa profezia piacque molto al re.

Man mano che Vento di Primavera cresceva, sua madre vide con segreto piacere che il ragazzo amava soprattutto i campi, i fiori ed i frutti. Ogni cosa verde fioriva sotto la sua mano, ed era il coltello del contadino che egli desiderava impugnare, e non la spada. Ma quando fu divenuto un giovane uomo, venne la guerra, e Vento di Primavera prese lo scudo e la lancia. Poiché era di temperamento quieto ed obbediente al re (che egli credeva fosse suo padre, e che si credeva suo padre), molti supposero che la profezia si sarebbe rivelata falsa, ma non fu così. Nel fervore della battaglia, il giovane combatteva con freddezza, con ben ragionato coraggio e con sobria cautela; nessun generale aveva una mente più fertile della sua nel creare stratagemmi ed astuzie, e nessun ufficiale era più attento a compiere ogni dovere. I soldati che egli guidava contro i nemici del re erano addestrati fino a sembrare uomini di bronzo animati dal fuoco, e la loro lealtà verso di lui era tale che lo avrebbero seguito anche nel Regno delle Tenebre, il reame più lontano dal sole. Ed allora gli uomini dissero che era il vento della primavera ad abbattere le torri, ed era il vento della primavera a far rovesciare le navi, anche se non era stata questa l’intenzione d’Inizio d’Estate.

Accadde poi che le sorti della guerra portarono spesso Vento di Primavera su Urth, e là egli venne a conoscere due fratelli che erano re. Di questi, il più anziano aveva parecchi figli, mentre il più giovane aveva una figlia sola, chiamata Uccello di Bosco. Quando quella ragazza divenne una donna, suo padre fu ucciso, e suo zio, affinché ella non potesse mai generare figli in grado un giorno di reclamare il regno del nonno, fece inserire il suo nome in un ordine di sacerdotesse vergini. Questo dispiacque a Vento di Primavera, perché la principessa era bella e suo padre era stato suo amico. Un giorno, accadde che Vento di Primavera scese da solo su Urth, e, vista Uccello di Bosco che dormiva accanto ad un ruscello, la destò con i suoi baci.

Dalla loro unione nacquero due gemelli, ma, sebbene le sacerdotesse dell’ordine avessero aiutato Uccello di Bosco a celare allo zio la crescita del suo ventre, non poterono nascondere anche i bambini. Prima ancora che Uccello di Bosco li vedesse, le sacerdotesse deposero i neonati in un canestro imbottito di coperte e li portarono sulla riva dello stesso corso d’acqua dove Vento d’Estate aveva incontrato Uccello di Bosco, e, gettato il canestro nel fiume, se ne andarono.

Parte II — Come Rospo trovò una nuova madre

Quel canestro si spinse lontano, su acque dolci e salate. Altri bambini sarebbero morti, ma i figli di Vento di Primavera non potevano morire, perché non erano ancora adulti. I mostri corazzati che vivono nell’acqua spruzzarono il loro canestro, e le scimmie gettarono contro di esso ramoscelli e nocciole, ma il cesto continuò per la sua strada, e si arenò infine su una riva, dove due povere sorelle stavano lavando i loro vestiti. Quelle brave donne videro il canestro e gridarono; poi, infilate le gonne nella cintura, entrarono nell’acqua e lo portarono a riva.

Poiché erano stati trovati nell’acqua, i bambini furono chiamati Pesce e Rospo, e, quando le due sorelle li fecero vedere ai loro mariti e si capì che erano bambini notevolmente forti e belli, ciascuna sorella ne prese uno per sé. Ora, la sorella che scelse Pesce era la moglie di un pastore, mentre quella che scelse Rospo era la sposa di un taglialegna.

Questa sorella si prese ottima cura di Rospo, e lo nutrì al suo seno, perché aveva da poco perso un figlio. Lo portava appeso sulla schiena in uno scialle quando suo marito andava in terre selvagge a tagliare la legna, e per questo i creatori di leggende dicono che era la più forte di tutte le donne, poiché portava un impero sulla schiena.