Fuggii e caddi, stirandomi tutti gli arti. Per un attimo, vidi le stelle reali nel cielo inondato di sole, ma il sonno mi attrasse con una forza irresistibile come la gravità. Camminavo accanto ad una parete di vetro, e, dall’altra parte, vidi il bambino, che fuggiva spaventato, vestito con la stessa consunta camicia grigia che io avevo indossato quando ero apprendista, correndo dal quarto livello, credo, all’Atrio del Tempo. Dorcas e Jolenta si avvicinarono, mano nella mano, sorridendosi a vicenda, e non mi videro. Poi alcuni autoctoni, dalla pelle color rame e dalle gambe storte, adorni di piume e gioielli, presero a danzare dietro il loro shamano, sotto la pioggia, e l’ondina cominciò a nuotare nell’aria, vasta come una nube, coprendo la luce del sole.
Mi svegliai. Una pioggia leggera mi batteva sulla faccia, e, accanto a me, il piccolo Severian dormiva immobile. Lo avvolsi meglio che potevo nel mio mantello e lo trasportai nuovamente attraverso la lacerazione nella cortina di viticci, al di là della quale, fra gli alberi dallo spesso tronco, la pioggia non penetrava quasi affatto. Là, ci sdraiammo e dormimmo ancora; questa volta non feci alcun sogno, e, al mio risveglio, scoprii che avevamo dormito un giorno ed una notte e che la pallida luce dell’alba si stava stendendo dovunque.
Il ragazzino era già sveglio, e stava gironzolando fra i tronchi degli alberi; mi fece vedere dove scorreva il ruscello all’interno della foresta, ed io mi lavai e mi feci la barba meglio che potevo senza acqua calda, cosa che non avevo più fatto dal primo pomeriggio trascorso nella casetta sulla montagna. Poi, ritrovato il sentiero familiare, ci dirigemmo ancora a nord.
— Non incontreremo gli uomini colorati come alberi? — mi chiese il bambino, ed io gli raccomandai di non spaventarsi e di non fuggire… perché mi sarei occupato io degli uomini colorati come alberi. La verità era che ero molto più preoccupato a causa di Hethor e della creatura che questi aveva lanciato sulle mie tracce: se non era perita nell’incendio, poteva darsi che stesse avanzando verso di noi, perché, anche se mi era parso un animale che rifuggiva dalla luce del sole, nella giungla la luce era pressocché crepuscolare.
Solo un uomo dipinto apparve sul sentiero, ma non per sbarrarci il passo, bensì per prostrarsi al suolo. Fui tentato di ucciderlo e di farla finita, perché, sebbene ci fosse stato insegnato che dovevamo uccidere o mutilare solo dietro espresso ordine di un giudice, quel tipo di addestramento si era indebolito sempre più in me man mano che mi allontanavo da Nessus e mi avvicinavo alla guerra ed alle montagne selvagge. Alcuni mistici sostengono che i vapori emananti dai campi di battaglia hanno effetto sul cervello umano, anche ad una grande distanza sottovento, e forse era proprio così. Comunque, feci alzare quell’uomo e gli chiesi semplicemente di farsi da parte.
— Grande Mago — mi disse questi, — che ne hai fatto del buio strisciante?
— L’ho rimandato nell’abisso da cui l’ho chiamato — replicai, perché, dal momento che non avevo ancora incontrato la creatura, ero quasi certo che fosse morta o che Hethor l’avesse richiamata.
— Cinque di noi hanno trasmigrato.
— Allora i vostri poteri sono più grandi di quanto credessi. Quell’essere ha ucciso centinaia di persone in una sola notte.
Non ero affatto certo che non ci avrebbe attaccato quando gli avessimo voltato le spalle, ma non lo fece. Il sentiero che il giorno prima avevo percorso da prigioniero era ora deserto, e nessun’altra guardia apparve a fermarci, mentre alcune delle strisce di tessuto rosso erano state strappate via e calpestate, anche se non riuscivo ad immaginarne il perché. Vidi inoltre molte impronte di piedi sul sentiero che in precedenza era stato liscio (forse perché raschiato con un rastrello).
— Cosa stai cercando? — mi chiese il ragazzino.
— Il fango dell’animale davanti al quale siamo fuggiti la notte scorsa — spiegai, tenendo la voce bassa perché non avevo modo di sapere se c’erano ascoltatori nascosti fra gli alberi.
— E lo vedi? — insistette. Scossi il capo, e per qualche tempo il bambino rimase silenzioso. Poi disse: — Grande Severian, da dove veniva quella bestia?
— Ti rammenti la storia? Da una delle montagne al di là di Urth.
— Là dove viveva Vento di Primavera?
— Non credo si trattasse della stessa montagna.
— E come è arrivato qui?
— Lo ha portato un uomo cattivo. Ora taci per un po’, piccolo Severian.
Se fui brusco con il ragazzo, fu solo perché anch’io ero tormentato dallo stesso pensiero. Era chiaro che Hethor doveva aver trasportato di nascosto i suoi animali sulla nave su cui si era imbarcato, e, quando mi aveva seguito fuori da Nessus, poteva aver portato le notule in un qualche piccolo contenitore sigillato, nascosto sulla sua persona… per quanto terribili, quelle creature non erano più spesse di un pezzo di tessuto, come Jonas ben sapeva.
Ma, come aveva portato la creatura che avevo visto nella sala dei confronti? Essa era apparsa anche nell’Anticamera della Casa Assoluta, dopo che Hethor vi era giunto, ma come? Aveva seguito Hethor ed Agia come un cane mentre viaggiavano verso nord fino a Thrax? Cercai di ricordare la bestia così come l’avevo vista quando aveva ucciso Decuman, e tentai di valutarne il peso: doveva essere stata pesante come parecchi uomini, forse addirittura come un destriero, e certo sarebbe stato necessario un grosso carro per nasconderla e trasportarla. Hethor aveva forse guidato un carro del genere attraverso queste montagne? Non riuscivo a crederlo. E quel viscido orrore che avevamo visto, aveva forse diviso un simile carro con la salamandra che era perita a Thrax? Non potevo credere neppure a questo.
Il villaggio sembrava deserto quando lo raggiungemmo. Alcune parti della sala dei confronti erano ancora in piedi e fumavano, ed io cercai invano fra esse i resti del corpo di Decuman, anche se trovai il suo bastone, bruciato a metà. Il suo interno era cavo, e, dalla uniformità delle pareti, sospettai che quel bastone, senza l’impugnatura, servisse anche da cerbottana per lanciare dardi velenosi: senza dubbio, Decuman se ne sarebbe servito se mi fossi dimostrato eccessivamente resistente ai suoi incantesimi.
Il ragazzino dovette dedurre i miei pensieri dall’espressione del mio volto e dalla direzione del mio sguardo, perché osservò:
— Quell’uomo era un vero mago, no? Ti aveva quasi stregato. — Annuii, e lui aggiunse: — Tu avevi detto che non era reale.
— Sotto alcuni aspetti, piccolo Severian, io non ne so molto più di te. Non pensavo che fosse vero, perché avevo visto troppi imbrogli… la porta segreta nella stanza sotterranea dove mi avevano rinchiuso, il modo in cui ti avevano fatto apparire da sotto il mantello di quell’altro uomo. Eppure, ci sono cose oscure dovunque, e suppongo che coloro che le cercano strenuamente non possano evitare di trovarne qualcuna. Allora essi diventano, come tu hai detto, veri maghi.
— Potrebbero dare ordini a chiunque, se conoscessero la vera magia.
A quelle parole, mi limitai a scuotere soltanto il capo, ma vi ho riflettuto molto da allora, e mi pare che esistano due obiezioni all’idea del ragazzo, per quanto essa possa apparire maggiormente convincente se esposta in termini più maturi.
La prima obiezione consiste nel fatto che i maghi trasmettono ben poco del loro sapere da una generazione all’altra. Io ero stato addestrato in quella che poteva essere definita come la più fondamentale fra le scienze applicate, e quindi sapevo bene che il progresso di una scienza dipende molto meno dalle considerazioni teoretiche o dall’indagine sistematica di quanto si creda comunemente, e si fondi invece soprattutto sulla trasmissione di informazioni affidabili, ottenute per caso o per ragionamento, da parte di un gruppo di uomini ai loro successori. La natura di coloro che cercano il sapere oscuro è tale da indurii a portare con sé quel che hanno appreso, anche nella morte, oppure a trasmetterlo così celato ed offuscato dietro menzogne protettive, da renderlo di ben scarso valore. A volte, si sente parlare di qualcuno che ha trasmesso bene il suo sapere all’innamorata o ai figli, ma la natura di questa gente è tale che raramente hanno l’una o gli altri, e può anche darsi che averli indebolisca il loro potere.