Выбрать главу

La seconda obiezione sta nel fatto che l’esistenza stessa di simili poteri postula l’esistenza di una forza contraria. Noi chiamiamo oscuri i poteri della prima categoria, anche se essi si possono servire di una sorta di luce mortale, come aveva fatto Decuman; e chiamiamo luminosi quelli della seconda categoria, anche se suppongo che talvolta anch’essi si servano dell’oscurità come un uomo onesto che deve comunque tirare le tende per andare a dormire. Eppure, esiste qualcosa di vero in questa contrapposizione di luce e di oscurità, perché, così parlando, si dimostra chiaramente come uno dei due implichi l’altro. Il racconto che avevo letto al piccolo Severian diceva che l’universo non era altro che una lunga parola dell’Increato, ed allora noi siamo le sillabe di quella parola. Ma il pronunciare una qualsiasi parola è inutile a meno che ci siano altre parole, parole non pronunciate. Se una bestia ha un unico verso, quel verso non dice nulla, ed anche il vento ha una moltitudine di voci, in modo che coloro che siedono al riparo le possano udire e possano capire se è violento o mite. I poteri che noi chiamiamo oscuri mi sembrano le parole che l’Increato non ha pronunciato, se poi l’Increato esiste davvero; e quelle parole devono rimanere in uno stato di quasi esistenza, se l’altro mondo, quello delle parole pronunciate, deve essere distinto da esse. Quello che non viene detto può essere importante… ma quel che è detto è più importante ancora. Per questo la mia consapevolezza dell’esistenza dell’Artiglio era stata quasi sufficiente a spezzare l’incantesimo di Decuman.

E se coloro che cercano le cose oscure le trovano, non possono anche coloro che cercano le cose luminose riuscire a trovarle? E questi ultimi non saranno maggiormente propensi a tramandare il loro sapere? Così le Pellegrine avevano custodito l’Artiglio da una generazione all’altra, e, pensando a questo, io divenni ancor più fermo nella mia decisione di restituirlo a loro, perché, se anche non lo avessi saputo prima, la notte in cui avevo affrontato l’alzabo mi aveva fatto comprendere che ero solo carne, e che, con il tempo, sarei certamente morto, e forse anche presto.

Poiché la montagna cui ci stavamo avvicinando era rivolta a nord e quindi proiettava la sua ombra sulla sella coperta di giungla, nessun viticcio cresceva da quella parte. Il verde pallido delle foglie si fece ancora più tenue, ed il numero di alberi morti aumentò, anche se quegli alberi erano più piccoli; il tetto di fogliame sotto cui avevamo camminato tutto il giorno si aprì sempre più di sovente, fino a svanire del tutto.

Poi la montagna si erse dinnanzi a noi, troppo vicina perché potessimo vedere il volto dell’uomo intagliato in essa. Grandi pendii discendevano da un banco di nubi, ed io sapevo che non erano altro che i drappeggi dell’abito di quell’uomo: quante volte doveva essersi alzato dal letto per indossarlo, forse senza riflettere che esso sarebbe stato qui immortalato per ere, tanto immenso da sfuggire quasi alla vista della razza umana!

XXIII

LA CITTÀ MALEDETTA

Verso mezzogiorno del giorno successivo, trovammo ancora l’acqua, la sola che noi due eravamo destinati ad assaporare su quella montagna. Rimanevano ormai poche strisce della carne secca che Casdoe mi aveva dato, e le divisi fra noi, dopo di che bevemmo al ruscello, che non era altro che un rivoletto delle dimensioni del pollice di un uomo. Questo mi sembrava strano, poiché avevo visto tanta neve sulla testa e sulle spalle della montagna, ma più tardi avrei avuto modo di scoprire che i pendii sottostanti ai campi innevati, dove la neve avrebbe potuto depositarsi per sciogliersi con l’arrivo della primavera, venivano mantenuti sgombri da un forte vento, mentre più in alto gli strati nevosi si accumulavano da secoli.

Le nostre coperte erano umide di rugiada, e le stendemmo sulle pietre ad asciugare, e, anche senza sole, il vento secco che sferzava la montagna le asciugò in un turno di guardia circa. Sapevo che avremmo trascorso la prossima notte in alto, sulle pendici montane, più o meno come io avevo trascorso la mia prima notte dopo la fuga da Thrax, ma, in qualche modo, questa consapevolezza non era in grado di deprimermi. Mi sembrava di essere stato insozzato, e pensavo che la fredda aria montana mi avrebbe ripulito, e, per qualche tempo, quella sensazione rimase nel mio intimo quasi inavvertita ed insondata; poi, quando iniziammo la salita vera e propria, mi resi conto che quello che mi turbava soprattutto era il ricordo delle menzogne che avevo detto ai maghi, pretendendo di essere come loro in grado di comandare grandi poteri e di essere a conoscenza d’immensi segreti. Quelle menzogne erano state del tutto giustificate… mi avevano aiutato a salvare la mia vita e quella del piccolo Severian; nondimeno, mi sentivo ugualmente un uomo inferiore per aver fatto ricorso ad esse. Il Maestro Gurloes, che ero arrivato ad odiare prima di dover abbandonare la corporazione, aveva mentito molto di frequente, ed ora io non avrei saputo dire con certezza se avevo odiato il Maestro perché mentiva o il fatto di aver mentito perché lui lo faceva.

Eppure, il Maestro Gurloes aveva avuto una ragione valida quanto la mia, e forse addirittura migliore: aveva mentito per difendere la corporazione e migliorarne le fortune, fornendo a svariati funzionari ed ufficiali resoconti esagerati del nostro lavoro e, quando era necessario, nascondendo i nostri errori. Nel far questo, lui aveva certamente migliorato la sua posizione, in quanto capo effettivo della corporazione, ma nel contempo aveva migliorato anche la mia, quella di Drotte, di Roche, di Eata e di tutti gli altri apprendisti ed artigiani che avrebbero un giorno ereditato la sua carica. Se il Maestro fosse stato davvero l’uomo semplice e brutale che amava far credere a tutti di essere, avrei potuto adesso avere la certezza che la sua disonestà era intesa a suo esclusivo tornaconto; ma io sapevo che non era così, e che forse, per anni, lui si era visto come io ora vedevo me stesso.

Tuttavia, non potevo essere certo di aver agito per salvare il piccolo Severian. Quando era fuggito, ed io avevo consegnato la spada, forse sarebbe stato per lui più vantaggioso se io avessi invece combattuto… mentre la mia persona era stata quella al cui immediato vantaggio era andata la mia docile resa, poiché, se li avessi affrontati, avrei potuto facilmente essere ucciso. Più tardi, quando ero fuggito, ero certo tornato tanto per recuperare Terminus Est quanto per riprendere il ragazzino: per riprendere la spada ero tornato nella miniera degli uomini-scimmia, quando il bambino non era con me, e, senza essa, sarei divenuto un semplice vagabondo.

Un turno di guardia dopo aver rimuginato su questi pensieri, stavo scalando una superficie rocciosa con la spada ed il ragazzo sulla schiena, e senza una maggiore chiarezza su quanto m’importasse di ciascuno dei due di quanta ne avessi posseduta prima. Per fortuna, ero piuttosto fresco, non dovevo affrontare una salita difficile e, una volta in cima, c’imbattemmo in un’antica autostrada.

Per quanto avessi camminato in molti posti strani, non ne ho mai attraversato uno che mi facesse provare una maggiore sensazione di anomalia. Alla nostra sinistra, a non più di venti passi di distanza, potevo vedere la fine di quell’ampia strada là dove una frana aveva portato via la sua estremità più bassa. Davanti a noi, essa si stendeva altrettanto perfetta come il giorno in cui era stata completata, un liscio nastro di pietra nera che saliva tortuoso verso quell’immensa figura il cui volto era nascosto al disopra delle nuvole.