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— No — risposi. — Possiamo andare avanti senza cibo molto più a lungo di quanto tu creda. Avere qualcosa da bere è più urgente, ma, se non riusciamo a trovare nulla qui, vi sarà certamente un po’ di neve più in alto, sulla montagna.

— Come è morto? — mi chiese. Per chissà quale ragione, non ero riuscito a costringermi a toccare il cadavere, mentre ora il bambino fece scorrere le dita grassottelle sul braccio avvizzito.

— Gli uomini muoiono. Quel che mi meraviglia è che un simile mostro sia vissuto: creature del genere, di solito muoiono alla nascita.

— Credi che gli altri lo abbiano lasciato qui quando se ne sono andati? — domandò.

— Che lo abbiano lasciato qui vivo, vuoi dire? Suppongo che potrebbero averlo fatto. Forse non ci sarebbe stato un luogo adatto per lui nelle pianure, o forse lui non è voluto andare. Forse lo hanno legato su questo giaciglio quando si è comportato male, o forse era soggetto a pazzia o ad attacchi d’ira violenta. Se una qualsiasi di queste supposizioni è vera, deve aver trascorso i suoi ultimi giorni vagabondando sulla montagna e tornando qui per mangiare e bere, morendo poi quando il cibo e l’acqua da cui dipendeva si sono esauriti.

— Allora qui non c’è acqua — osservò, pratico, il ragazzo.

— Questo è vero. Eppure, non possiamo essere certi che le cose siano andate in quel modo. Potrebbe essere morto per una qualsiasi altra ragione prima che le sue provviste si esaurissero. I vari tipi di ragionamento che abbiamo fatto sembrano suggerire che questa creatura fosse una sorta di animale domestico o di mascotte per la gente che ha intagliato la montagna, e questo è un modo molto elaborato per conservare un animale domestico. Ad ogni modo, non credo che sarò mai in grado di riattivare questo meccanismo.

— Credo che dovremmo scendere a valle — annunciò il bambino, mentre uscivamo dall’edificio circolare.

Mi volsi e mi guardai alle spalle, pensando a quanto fossero stati sciocchi i miei timori. Le porte erano rimaste aperte, nulla si era mosso, nulla era cambiato. Se quella era mai stata una trappola, era una trappola che la ruggine aveva bloccato ormai da secoli.

— Lo penso anch’io — replicai. — Ma il giorno è quasi finito… vedi ora quanto sono lunghe le nostre ombre? Non voglio essere sorpreso dal buio mentre stiamo scendendo lungo l’altro versante, quindi ho intenzione di vedere se posso raggiungere l’anello che abbiamo visto stamattina. Forse troveremo anche l’acqua oltre all’oro. Stanotte dormiremo in quell’edificio rotondo, al riparo dal vento, e domattina cominceremo a discendere il versante settentrionale, alle prime luci dell’alba.

Il bambino annuì per indicare che aveva compreso e mi accompagnò di buon animo quando mi misi a cercare un sentiero che conducesse all’anello. Esso si trovava sul braccio meridionale, quindi stavamo in un certo senso tornando sui nostri passi anche se in effetti ci eravamo avvicinati agli splendenti catafratti provenendo da sud-est. Avevo temuto che l’ascesa fino al braccio si sarebbe dimostrata difficoltosa; invece, non appena raggiungemmo il punto in cui l’immensa altezza del torace e del braccio si levavano dinnanzi a noi, trovai ciò che avevo desiderato parecchie ore prima: una stretta scala. C’erano centinaia di scalini, il che rese la salita ugualmente faticosa, e mi costrinse a trasportare il ragazzo per buona parte di essa.

Il braccio era di pietra liscia, tanto ampio da presentare ben poco pericolo che il bambino potesse cadere, fintanto che rimanevamo nel centro. Lo presi per mano e mi avviai a passo svelto, il manto agitato dal vento.

Alla nostra sinistra, giaceva la salita che avevamo percorso il giorno precedente, e, al di là di essa, c’era la sella montana, verde sotto la sua coltre di giungla. Più in là ancora, velata dalla distanza, c’era la montagna su cui Becan e Casdoe avevano costruito la loro casa. Nel camminare, cercai d’individuare la loro capanna, o almeno la radura in cui essa sorgeva, ed alla fine trovai quella che mi sembrava la superficie della collina che avevo disceso per raggiungerla, una piccola macchia di colore sul fianco della montagna meno alta, con un bagliore d’acqua cadente al suo centro che creava una nota iridescente…

Quando l’ebbi individuata, mi volsi ed osservai il picco sui cui pendii stavamo ora camminando. Adesso potevo vedere la faccia, con la sua mitra di ghiaccio, e, sotto di essa, una spalla su cui un migliaio di cavalleggeri avrebbe potuto esercitarsi agli ordini del loro chiliarca… Davanti a me, il ragazzo indicò e gridò qualcosa che non compresi, mostrandomi i sottostanti edifici e le figure delle guardie di metallo. Ci volle un momento prima che comprendessi quello che intendeva dire… le facce delle statue si erano voltate di tre quarti verso di noi, come lo erano state quella mattina. Le teste si erano mosse. Per la prima volta, seguii la direzione dei loro sguardi… e scoprii che stavano fissando il sole.

— Ho visto! — gridai al ragazzo, annuendo.

Eravamo sul polso, con la piccola pianura della mano stesa dinnanzi a noi, ancor più ampia e sicura del braccio. L’anello era sull’indice, un indice più grosso di un tronco tagliato dal più grande degli alberi. Il piccolo Severian corse su di esso, mantenendo l’equilibrio senza difficoltà, e lo vidi allungare le mani per toccare l’anello.

Vi fu un lampo di luce… brillante ma non accecante nel chiarore pomeridiano, e, poiché era tinta di violetto, parve quasi un’oscurità.

La luce lasciò il ragazzo annerito e consumato. Per un momento, credo, sopravvisse ancora, poiché la testa si gettò all’indietro e le braccia si allargarono. Poi ci fu uno sbuffo di fumo, portato immediatamente via dal vento. Il corpo cadde, contraendosi come fanno le zampe di un insetto morto, e rotolò fino a scomparire dalla mia vista nel crepaccio che separava l’indice dal medio.

Io, che avevo visto marchiare ed accecare tante persone, e che avevo perfino usato personalmente il ferro rovente (fra gli altri bilioni di cose, rammento perfettamente il bruciare della carne delle guance di Morwenna), riuscii a stento a costringermi ad andare a vedere.

In quella stretta fenditura fra le dita c’erano altre ossa, ma erano ossa molto vecchie, che si spezzarono sotto i miei piedi quando saltai giù, come le ossa che costellavano i sentieri della nostra necropoli, ed io non mi curai di esaminarle. Estrassi l’Artiglio. Quando avevo imprecato contro me stesso per non averlo usato allorché il corpo di Thecla era stato portato al banchetto di Vodalus, Jonas mi aveva detto di non essere stupido, e che i poteri dell’Artiglio, quali che fossero, non avrebbero potuto ridare la vita alla carne arrostita.

Ed ora non potei fare a meno di pensare che, se la gemma avesse avuto effetto sul piccolo Severian, non mi sarebbe rimasto altro da fare che condurlo in un luogo sicuro e poi tagliarmi la gola con Terminus Est, perché, se avesse avuto effetto su di lui, allora avrebbe potuto anche richiamare in vita Thecla, se lo avessi usato, mentre ora Thecla era parte di me stesso ed era morta per sempre.

Per un momento, mi parve che ci fosse un luccichio, un’ombra luminosa o un’aura, poi il corpo del bambino si afflosciò in un mucchio di cenere nera agitata dal vento inquieto.

Mi alzai, riposi l’Artiglio e mi avviai per tornare indietro, chiedendomi vagamente quante difficoltà avrei incontrato nel lasciare quella crepa e nel tornare sul dorso della mano. (Alla fine, dovetti poggiare Terminus Est sulla sua punta e mettere un piede sull’elsa per salire, e poi strisciare a testa in avanti fino a che non riuscii ad afferrarla ed a recuperarla). Non c’era alcuna confusione nella mia memoria, ma per un certo tempo ci fu solo una confusione mentale, ed il bambino si fuse in essa con quell’altro bambino, Jader, che aveva vissuto con la sorella morente nello jacal sulla collina di Thrax. Il primo, che era divenuto tanto importante per me, non ero riuscito a salvarlo, mentre avevo curato il secondo, di cui m’importava così poco. In qualche modo, mi sembrava che essi fossero lo stesso bambino, ed indubbiamente quella fu solo una reazione protettiva della mia mente, un rifugio che essa cercò dalla tempesta della pazzia; comunque, mi parve chissà perché che, finché Jader fosse vissuto, il bambino che sua madre aveva battezzato Severian non sarebbe realmente morto.