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— No, temo di no — replicai, chiedendomi se scherzasse.

— La faccia… la faccia! La mia faccia sarebbe andata perduta, ed è la faccia a cui gli uomini sono abituati ad obbedire! — La sua mano mi strinse il braccio nel buio. — Dissi loro che non andava. Allora uno dei dottori suggerì che si poteva sostituire l’intera testa. Sarebbe risultato anche più facile, sosteneva, perché sarebbero state lasciate intatte le complesse connessioni neurali che controllano il linguaggio e la vista. Gli promisi un palatinato se avesse avuto successo.

— Mi sembrerebbe che… — cominciai.

— Che sarebbe stato meglio se fosse stata prima rimossa la testa originale? — rise ancora Typhon. — Sì, l’ho sempre pensato anch’io. Ma la tecnica per operare le connessioni neurali era difficile, ed il dottore scoprì… lavorando su soggetti sperimentali che gli procurai… che il modo migliore era quello di trasferire chirurgicamente solo le funzioni volontarie. Quando questo fosse stato fatto, quelle involontarie si sarebbero alla fine trasferite da sole, ed allora si sarebbe potuta rimuovere la testa originale. Sarebbe rimasta una cicatrice, ovviamente, ma la camicia sarebbe bastata a coprirla.

— Ma qualcosa è andato storto? — Mi ero allontanato da lui quanto più era possibile nello spazio ristretto della barca.

— Soprattutto, era questione di tempo. — Il terribile vigore della sua voce, che era parso incessante, sembrò ora svanire. — Piaton era uno dei miei schiavi, non il più grosso, ma il più forte di tutti, li abbbiamo analizzati. Non ho mai pensato che uno forte come lui potesse rivelarsi forte anche nell’aggrapparsi al controllo del funzionamento del suo cuore…

— Capisco — commentai, anche se in realtà non capivo nulla.

— Era anche un periodo di grande confusione. I miei astronomi mi avevano detto che l’attività del sole sarebbe lentamente diminuita, fin troppo lentamente, in effetti, perché il mutamento fosse percepibile nel corso della vita di un uomo. Si sbagliavano. Il calore del sole diminuì di quasi due parti su mille nel giro di pochi anni, poi si stabilizzò. I raccolti furono rovinati, e sopravvennero carestia e disordini. Sarei dovuto partire allora.

— Perché non l’hai fatto?

— Sentivo che era necessaria una mano ferma. Ci può essere una sola mano ferma, che sia del governante o di qualcun altro… Inoltre, era comparso un operatore di meraviglie, nel modo in cui sono soliti quei tipi. Non era veramente un fomentatore di disordini, anche se alcuni dei miei ministri hanno detto che lo era. Io mi ero ritirato qui, per restarvi fino a quando il trattamento fosse stato completato, e, dal momento che malattie e deformità sembravano scomparire dinnanzi a lui, ordinai che venisse condotto da me.

— Il Conciliatore! — esclamai, e, un momento più tardi, mi sarei tagliato le vene per averlo detto.

— Sì, quello era uno dei suoi nomi. Sai dove sia adesso?

— È morto da molte chiliadi.

— Eppure rimane ancora, giusto?

Quell’osservazione mi sorprese al punto che abbassai lo sguardo sulla sacca che avevo appesa al petto per vedere se la luce azzurra non ne trapelasse. In quel momento, il vascello su cui eravamo sollevò la prua e cominciò a salire, ed il fischio del vento intorno a noi divenne il ruggito di una tromba d’aria.

XXVI

GLI OCCHI DEL MONDO

Forse l’imbarcazione era controllata dalla luce, poiché non appena essa brillò intorno a noi, si arrestò immediatamente. Nel grembo della montagna avevo sofferto il freddo, ma quello era nulla in confronto a ciò che provavo ora. Non soffiava il vento, ma faceva più freddo che nell’inverno più gelido che riuscissi a rammentare, e lo sforzo di alzarmi a sedere mi fece girare la testa.

— È passato molto tempo dall’ultima volta che sono stato qui — commentò Typhon, balzando giù. — Bene, è bello essere di nuovo a casa.

Eravamo in una camera vuota scavata nella solida roccia, un luogo grande quanto una sala da ballo. Due finestre circolari all’estremità più lontana lasciavano entrare la luce, e Typhon si affrettò in quella direzione; esse distavano fra loro forse cento passi, e ciascuna era larga forse dieci cubiti. Lo seguii fino a che notai che i suoi piedi nudi lasciavano sul terreno distinte impronte scure: la neve era entrata dalle finestre e si era accumulata sul pavimento di pietra. Caddi sulle ginocchia, la raccolsi e me ne riempii la bocca.

Non avevo mai assaporato nulla di così delizioso. Il calore della mia lingua parve fonderla immediatamente e tramutarla in nettare, ed ebbi l’impressione che sarei potuto rimanere dov’ero per tutta la vita, in ginocchio a divorare neve. Typhon si volse, e, vedendomi, rise.

— Mi ero dimenticato di quanto sei assetato. Fa’ pure, abbiamo tempo in abbondanza, e quello che ti volevo mostrare può aspettare.

La bocca di Piaton si mosse come aveva già fatto in precedenza, e mi parve di cogliere un’espressione di simpatia su quel volto da idiota; questo mi fece tornare in me, forse anche perché avevo già inghiottito parecchie boccate di neve. Dopo aver deglutito ancora, rimasi dov’ero, accumulando un’altra porzione di neve, ma dissi:

— Mi hai detto di Piaton. Perché non può parlare?

— Non può respirare, poveretto — spiegò Typhon. — Come ti ho detto, io controllo tutte le funzioni volontarie… e presto controllerò anche quelle involontarie. Così, anche se il nostro povero Piaton può ancora muovere le labbra e la lingua, è come un musicista che tocca i tasti di un corno che non è in grado di soffiare. Quando ne avrai avuto abbastanza di quella neve, dimmelo, ed io ti mostrerò dove puoi trovare qualcosa da mangiare.

— Così è sufficiente — risposi dopo essermi riempito ancora la bocca ed aver deglutito. — Sì, ho molta fame.

— Bene — commentò Typhon, e, allontanatosi dalla finestra, si accostò al muro su un lato della camera. Quando mi avvicinai a mia volta, vidi che esso non era di pietra (come avevo supposto) ma sembrava invece fatto di cristallo o di uno spesso vetro fumoso; al di là, potevo vedere forme di pane e molti strani piatti, altrettanto immoti e perfetti come cibo dipinto.

— Tu hai un talismano di potere — mi disse Typhon. — Ora me lo devi dare, in modo che possiamo aprire questa dispensa.

— Temo di non capire cosa intendi dire. Vuoi la mia spada?

— Voglio la cosa che porti al collo — spiegò, e tese la mano.

— Non c’è potere in essa. — Indietreggiai.

— Allora non perderai nulla. Dammela. — Mentre Typhon parlava, la testa di Piaton si mosse impercettibilmente da una parte all’altra.

— È solo una rarità. Una volta credevo che avesse grandi poteri, ma quando ho tentato di resuscitare una bellissima donna che stava morendo non ha avuto alcun effetto, e ieri non ha potuto resuscitare il bambino che viaggiava con me. Come sai di essa?

— Vi stavo osservando, naturalmente. Mi sono arrampicato abbastanza in alto da poterti vedere bene, e, quando il mio anello ha ucciso il bambino e tu sei andato da lui, ho visto il fuoco sacro. Non è necessario che tu me lo metta in mano, se non vuoi… fa’ solo ciò che ti dico.

— Allora avresti potuto avvertirci — osservai.

— Perché avrei dovuto? In quel momento non contavate nulla per me. Vuoi mangiare, sì o no?

Tirai fuori la gemma. Dopo tutto, Dorcas e Jonas l’avevano vista, ed avevo sentito dire che le Pellegrine l’esponevano in mostra in molte occasioni. Essa giacque sul mio palmo come un pezzo di vetro azzurro, tutto il suo fuoco svanito. Typhon si chinò con curiosità.