— Poco impressionante. Ora inginocchiati. — Obbedii. — Ripeti con me: io giuro in nome di tutto ciò che questo talismano rappresenta che, in cambio del cibo che riceverò sarò la creatura di colui che conosco come Typhon, consegnandogli per sempre… — Stava nascendo un incantesimo al confronto del quale la rete di Decuman sembrava un tentativo primitivo. Quest’incantesimo era tanto sottile che ero quasi inconsapevole della sua presenza, eppure percepivo al tempo stesso che ogni sua parte era dura come acciaio. — … tutto ciò che ho e tutto ciò che sarò, ciò che possiedo ora e ciò che possiederò nei giorni a venire, vivendo o morendo a suo piacimento.
— Ho infranto altri incantesimi prima d’ora — dissi, — e se lo pronuncio, infrangerò anche questo.
— Allora pronuncialo — ribatté Typhon. — È poco più di una formalità che dobbiamo seguire. Pronuncialo, e te ne libererò non appena avrai finito di mangiare.
— Hai detto che amavi la verità — risposi invece, alzandomi. — Ora capisco perché… è la verità che acceca gli uomini. — Misi via l’Artiglio.
Se non lo avessi fatto, un momento più tardi lo avrei perso per sempre: Typhon mi afferrò, bloccandomi le braccia contro i fianchi in modo che non potessi estrarre Terminus Est, e mi trasportò di corsa fino ad una delle grandi finestre. Lottai, ma con gli stessi risultati di un cucciolo che si dibatta nelle mani di un uomo forte.
Mentre ci avvicinavamo, le grandi dimensioni della finestra mi diedero l’impressione che non fosse affatto una finestra: era come se una parte del mondo esterno fosse penetrata nella camera, ed era una parte che non era formata dai prati e dagli alberi della base della montagna, come mi ero aspettato, ma da semplice vuoto, da un frammento di cielo.
La parete di roccia della camera, spessa meno di un cubito, fluttuò all’indietro lungo gli angoli del mio campo visivo come la linea confusa che si vede quando si nuota con gli occhi aperti e che segna la demarcazione fra l’acqua e l’aria.
Poi mi trovai all’esterno. La presa di Typhon si era spostata alle mie caviglie, ma, a causa dello spessore degli stivali o forse solo del senso di panico che m’invadeva, per un momento ebbi l’impressione di non essere tenuto affatto. Avevo la schiena rivolta alla massa di montagna, e l’Artiglio, racchiuso nel suo morbido involucro, mi dondolava sotto la testa, trattenuto dal mento. Ricordo di aver provato l’improvviso, assurdo timore che Terminus Est potesse scivolare fuori dal suo fodero.
Mi tirai su con i muscoli addominali, come farebbe un ginnasta che si spenzoli dalla sbarra tenendosi con i piedi, e Typhon lasciò andare una delle mie caviglie per colpirmi alla bocca con un pugno, cosicché ricaddi all’indietro. Gridai, e tentai di ripulirmi gli occhi dal sangue che sgocciolava su di essi dalle labbra.
La tentazione di estrarre la spada, sollevarmi e colpire fu quasi troppo forte perché potessi resistervi, eppure sapevo bene che non potevo fare una cosa del genere senza dare a Typhon tutto il tempo necessario per notare cosa intendevo e lasciarmi cadere. Anche se fossi riuscito, sarei morto.
— Ti ordino ora… — la voce di Typhon giunse dall’alto, apparentemente distante in quella dorata immensità, — … di richiedere al tuo talismano tutto l’aiuto che esso è in grado di darti… — Fece una pausa, ed ogni momento parve l’Eternità stessa. — Ti può aiutare?
— No — riuscii a rispondere.
— Capisci dove ti trovi?
— Lo vedo. Sulla faccia dell’autarca della montagna.
— È la mia faccia… lo vedi? Io ero l’autarca. Sono io che torno di nuovo. Sei all’altezza dei miei occhi, ed alle tue spalle c’è l’iride del mio occhio destro. Non capisci? Tu sei una lacrima, una singola lacrima nera che io verso. In un istante, potrei lasciarti cadere a macchiare il mio abito. Chi ti può salvare, Portatore del Talismano?
— Tu, Typhon.
— Soltanto io?
— Soltanto Typhon.
Mi tirò indietro, ed io mi aggrappai a lui come una volta il bambino si era aggrappato a me, fino a che non fummo ben addentro la camera che era la cavità cranica della montagna.
— Ora — disse Typhon, — faremo ancora un tentativo. Devi venire di nuovo con me vicino all’occhio, e questa volta devi venirci spontaneamente. Forse ti riuscirà più facile se ci avvicineremo all’occhio sinistro invece che al destro.
Mi prese per il braccio, e suppongo che si sarebbe potuto dire che andai di mia spontanea volontà, perché camminai; ma credo, in vita mia, di non aver mai camminato altrettanto controvoglia. Fu solo il ricordo della mia recente umiliazione che m’impedì di rifiutare. Non ci arrestammo fino a che fummo sul bordo stesso dell’occhio, ed allora, con un gesto, Typhon mi costrinse a guardare fuori: sotto di noi, si stendeva un ondulato oceano di nubi, azzurro d’ombre dove non era tinto di rosa dalla luce del sole.
— Autarca — dissi, — come mai siamo così in alto quando il vascello che ci ha trasportati è sceso per un tunnel tanto lungo?
— Perché la gravità dovrebbe servire Urth, quando può servire Typhon? — L’uomo accantonò la domanda con una scrollata di spalle. — Eppure Urth è bella. Guarda! Vedi il manto del mondo: non è splendido?
— Decisamente splendido — convenni.
— Può essere il tuo manto. Ti ho detto che ero autarca di molti mondi, e lo sarò ancora, questa volta di molti più mondi. Di questo pianeta, il più antico di tutti, avevo fatto la mia capitale, ed è stato un errore, perché ho indugiato troppo allorché è accaduto il. disastro. Quando finalmente ho deciso di fuggire, la via di fuga mi era preclusa. Coloro cui avevo affidato il comando di navi in grado di raggiungere le stelle erano andati via con esse, ed io ero assediato da questa montagna. Non ripeterò lo stesso errore. La mia capitale sarà altrove, e darò a te questo mondo, perché lo governi come mio vassallo.
— Non ho fatto nulla per meritare una simile esaltata posizione — obiettai.
— Portatore del Talismano, nessuno, nemmeno tu, può chiedermi di giustificare le mie azioni. Contempla invece il tuo impero!
Mentre parlava, si era levato un forte vento, sotto la cui sferza le nubi si erano divise come soldati e distribuite in ranghi serrati muovendo verso est. Al disotto di esse, vidi le montagne, le pianure costiere, e, al di là delle pianure, la vaga linea azzurra del mare.
— Guarda! — Typhon indicò, e, mentre lo faceva, un puntino di luce apparve fra le montagne a nord-est. — Qualche grande arma ad energia è stata usata laggiù. Forse dal governante di quest’epoca, forse dai suoi nemici. Chiunque sia stato, adesso la sua postazione è rivelata, e verrà distrutta. Le armi di quest’epoca sono deboli: fuggiranno dinnanzi ai nostri flagelli come la pula al tempo del raccolto.
— Come puoi sapere tutto questo? — chiesi. — Tu eri morto, fino a quando mio figlio ed io non siamo giunti da te.
— Sì, ma ho vissuto quasi un giorno intero, ed ho inviato i miei pensieri in luoghi lontani. Ci sono poteri nel mare, ora, che vorrebbero governare: essi diverranno nostri schiavi, e le orde del nord sono loro schiave.
— Che ne sarà della gente di Nessus? — Ero gelato fino alle ossa e le gambe mi tremavano.
— Nessus sarà la tua capitale, se tu lo desideri. Dal tuo trono di Nessus m’invierai un tributo di belle ragazze e di bei giovani, di antichi congegni, di libri e di tutte le belle cose che questo mondo di Urth produce.
Indicò nuovamente, e vidi i giardini della Casa Assoluta come uno scialle verde ed oro gettato su un prato, e, al di là di essi, il Muro di Nessus e la possente città stessa, la Città Immortale, che si stendeva per così tante centinaia di leghe che perfino le torri della Cittadella erano perse in quell’interminabile distesa di tetti e di strade tortuose.