— Nessuna montagna è tanto alta — osservai. — Se questa fosse la più alta del mondo, e si trovasse in cima alla seconda più alta, un uomo non potrebbe ugualmente vedere lontano quanto sto vedendo io.
— Questa montagna è tanto alta quanto io desidero che sia. — Typhon mi prese per una spalla. — Hai dimenticato che faccia essa porta?
Seppi soltanto fissarlo.
— Sciocco. Tu vedi attraverso i miei occhi. Ora tira fuori il talismano. Riceverò il tuo giuramento su di esso.
Trassi fuori l’Artiglio… per l’ultima volta, pensai… dalla sacca di cuoio che Dorcas aveva cucito per esso. Mentre lo facevo, notai un certo movimento sotto di me: la vista del mondo dalla finestra della camera era sempre splendida al di là di ogni immaginazione, ma era solo quella che si può vedere da un alto picco, e cioè quella dell’azzurro disco di Urth. Fra le nubi sottostanti, riuscii ad intravedere il grembo della montagna, con i numerosi edifici rettangolari, la costruzione circolare al centro ed i catafratti: lentamente, essi stavano distogliendo i volti dal sole e li stavano sollevando per guardare noi.
— Essi mi onorano — disse Typhon. La bocca di Piaton si mosse, ma non all’unisono con la sua, e stavolta prestai attenzione ad essa.
— Prima eri affacciato all’altro occhio — risposi a Typhon, — ed essi non ti hanno onorato allora. Essi salutano l’Artiglio. Autarca, che ne sarà del Nuovo Sole, se mai verrà? Sarai anche suo nemico, come sei stato nemico del Conciliatore?
— Giura dinnanzi a me, credi in me, e, quando verrà, io sarò il suo signore, ed egli il più abbietto dei miei schiavi.
Allora colpii.
Esiste un modo di fracassare il naso con il palmo della mano così che l’osso scheggiato vada a conficcarsi nel cervello. Bisogna però essere molto svelti, perché, senza riflettere, la vittima tende ugualmente a sollevare le mani per proteggersi quando vede arrivare il colpo. Io non fui svelto quanto Typhon, che alzò le mani a proteggere la sua faccia, ma colpii Piaton e percepii il piccolo e terribile scricchiolio che è il sigillo della morte. Il cuore che non aveva servito più Piaton da così tante chiliadi cessò di battere.
Dopo un momento, spinsi con un piede il corpo di Typhon nel precipizio.
XXVII
PER ALTI SENTIERI
La barca galleggiante non mi voleva obbedire, perché non conoscevo la parola per farla muovere. (Ho spesso pensato che quella parola fosse una delle cose che Piaton aveva cercato di dirmi, così come mi aveva suggerito di togliergli la vita; e vorrei avergli prestato attenzione prima). Alla fine, fui costretto a scendere dall’occhio destro, la peggiore scalata di tutta la mia vita. In questo prolungato racconto delle mie avventure, ho più volte detto che non dimentico mai nulla, e invece ho dimenticato molte cose di quella discesa perché ero esausto al punto che mi muovevo come nel sonno. Quando finalmente entrai barcollando nella silenziosa e sigillata città ai piedi dei catafratti, doveva essere quasi notte, e mi distesi accanto ad un muro che mi proteggeva dal vento.
Le montagne posseggono una terribile bellezza, anche quando portano una persona quasi all’orlo della morte; invero, io credo che questa loro bellezza sia allora più evidente, e che i cacciatori che penetrano nelle montagne ben vestiti e ben nutriti e le lasciano ben nutriti e ben vestiti, raramente la notino. Lassù, tutto il mondo può apparire come un bacino naturale d’acque immote e ghiacciate.
Quel giorno discesi per un buon tratto, e trovai altipiani che si stendevano per miglia, coperti di dolce erba e di fiori quali non avevo mai visto a più basse altitudini, fiori piccoli e rapidi a fiorire, perfetti e puri come le rose non potranno mai esserlo.
Quegli altipiani erano frequentemente costeggiati da alture, e, più di una volta, pensai che non avrei più potuto proseguire e sarei dovuto tornare indietro, ma alla fine riuscii sempre a trovare un passaggio, più in alto o più in basso, ed a continuare. Non vidi soldati cavalcare o marciare sotto di me, e, sebbene quello fosse in un certo senso un sollievo, … poiché avevo avuto il timore che le pattuglie dell’arconte stessero ancora seguendo le mie tracce… era una cosa che mi metteva anche a disagio, in quanto mi faceva capire che non ero più nelle vicinanze delle piste lungo le quali veniva rifornito l’esercito.
Il ricordo dell’alzabo tornò a perseguitarmi: sapevo che dovevano esserci molti altri esemplari della sua specie sulle montagne, e poi non potevo avere la certezza che quello incontrato fosse realmente morto. Chi poteva dire quali capacità di recupero possedesse una simile creatura? Se anche riuscivo a dimenticare quella paura alla luce del sole, allontanandola a forza, per così dire, dalla sfera della mia coscienza servendomi delle preoccupazioni relative alla presenza o all’assenza dei soldati, e delle immagini di migliaia di adorabili picchi e cataratte e vallate profonde che assalivano i miei occhi da ogni lato, essa ritornava di notte, quando, raggomitolato nella coperta e nel mantello, e bruciante di febbre, avevo l’impressione di udire il passo soffice della bestia e lo strisciare dei suoi artigli.
Si dice spesso che il mondo sia ordinato in base ad un piano (che si tratti di un piano preesistente alla sua creazione o derivato durante i bilioni di eoni di esistenza del mondo dall’inesorabile logica dell’ordine e della crescita, non fa alcuna differenza); se è così, allora in tutte le cose deve esistere la rappresentazione miniaturizzata delle glorie più grandi ed una descrizione enfatizzata degli aspetti più infimi.
Per tenere lontana la mia attenzione dal ricordo dell’orrore costituito dall’alzabo, cercai di fissarla su quella sfaccettatura della natura della bestia che le permette d’incorporare i ricordi e la volontà degli esseri umani per farli divenire suoi. Il parallelo con le cose più infime mi creò qualche difficoltà: l’alzabo poteva essere paragonato a certi insetti, che si ricoprono il corpo con ramoscelli ed erba, in modo da non essere scoperti dai loro nemici. Vista sotto un certo aspetto, questa cosa non è un inganno… i ramoscelli e l’erba sono là e sono reali. Eppure, l’insetto è sotto di essi. E così era per l’alzabo. Quando Becan, parlando con la bocca della bestia, mi aveva detto di desiderare di avere con sé la moglie ed il figlio, era lui stesso convinto di descrivere i propri desideri, ed in effetti lo stava facendo; eppure, quei desideri sarebbero serviti a nutrire l’alzabo, che era nascosto all’interno e che celava i suoi bisogni e il suo io dietro la voce di Becan.
Non mi sorprese il fatto che si rivelasse molto più difficile riuscire a collegare l’alzabo con una qualche verità più elevata, ma alla fine decisi che poteva essere paragonato all’assorbimento da parte del mondo materiale dei pensieri e degli atti di esseri umani che, per quanto non più vivi, hanno lasciato in quel mondo materiale, con attività che noi possiamo definire opere d’arte, sia che fossero edifici, canzoni, battaglie o esplorazioni, un’impronta tale che per qualche tempo dopo la loro scomparsa si può dire che il mondo prolunghi la loro vita. Proprio sotto questo punto di vista si poteva vedere il suggerimento avanzato dalla bambina Severa all’alzabo di spostare il tavolo nella casa di Casdoe per raggiungere il soppalco, anche se la bambina Severa era morta.
Poi, Thecla venne a consigliarmi, e, sebbene io mi appellassi a lei con ben poca speranza, ed ella avesse ben pochi consigli da darmi, era però stata messa in guardia tante volte contro i pericoli delle montagne da sentirsi indotta a spingermi a proseguire sempre più in basso, verso minori altitudini e maggior calore, non appena fosse sorto il sole.
Non avevo più fame, perché la fame è una cosa che passa se non si mangia. Adesso ero invece provato dalla debolezza, accompagnata da un’eccezionale chiarezza di mente. Poi, la sera del secondo giorno, dopo che ero disceso dalla pupilla dell’occhio destro, m’imbattei nel rifugio di un pastore, una sorta di alveare di pietra, all’interno del quale trovai una pentola ed una quantità di granturco macinato.