Non accadde nulla del genere. Il proiettile volò… una striscia brillante… sull’acqua e cadde nel lago ad una dozzina di passi circa dalla prua della barca più vicina.
Per il tempo di un respiro non accadde nulla. Poi vi fu una violenta detonazione, una sfera di fuoco ed un getto di vapore. Qualcosa di scuro, apparentemente il missile stesso, ancora intatto e gettato in aria dall’esplosione che aveva causato, balzò nel cielo solo per ricadere ancora, questa volta fra le due barche che c’inseguivano. Seguì una nuova esplosione, un po’ meno intensa della prima, ed una della barche fu quasi sommersa, mentre l’altra si allontanava virando. Seguirono una terza ed una quarta esplosione, ma il proiettile, quali che fossero gli altri suoi poteri, sembrava incapace di seguire le barche nel modo in cui le notule di Hethor avevano invece seguito Jonas e me. Ogni esplosione lo portava più lontano, e, dopo la quarta, esso parve scarico. Le due barche si portarono fuori tiro, ma io ammirai comunque il loro coraggio nel proseguire ugualmente l’inseguimento.
— I proiettili di potere fanno scaturire il fuoco dall’acqua — mi disse Pia.
— Ho visto — annuii, mentre cercavo di raccogliere le gambe sotto di me e di trovare un appoggio sicuro nell’ammasso di canne.
Non è affatto difficile nuotare con le mani legate, anche dietro la schiena… Drotte, Roche, Eata ed io eravamo soliti allenarci a nuotare con i pollici stretti dietro la schiena. Con le mani legate davanti a me, sapevo che sarei riuscito a stare a galla anche per parecchio tempo, se necessario, ma ero preoccupato per Pia, e le dissi di portarsi quanto più possibile a prua.
— Ma allora non potrò riuscire a slegarti.
— Non ci riuscirai mai mentre ci stanno osservando — sussurrai. — Va’ a prua. Se questa barca si dovesse spezzare, aggrappati ad un gruppo di canne: esse continueranno a galleggiare. Non discutere.
Gli uomini a prua non la fermarono, e Pia si arrestò solo quando ebbe raggiunto un cavo di canne intrecciate che segnava la fine della prua della barca. Trassi un profondo respiro e mi buttai fuori bordo.
Se lo avessi voluto, avrei potuto tuffarmi senza quasi sollevare un’onda, ma invece raccolsi le ginocchia contro il petto per schizzare il più possibile, e, grazie al peso dei miei stivali, affondai più di quanto mi sarebbe stato possibile se mi fossi spogliato per nuotare. Era quello il punto che mi aveva preoccupato. Quando l’arciere del capo villaggio aveva lanciato il proiettile, avevo visto che c’era stata una pausa ben netta prima dell’esplosione, ed io sapevo che, oltre ad aver inzuppato entrambi gli uomini, dovevo anche aver bagnato tutti i proiettili ancora disposti sullo straccio unto… ma non potevo sapere con certezza se sarebbero esplosi prima che io tornassi alla superficie.
L’acqua era fredda, e si fece sempre più gelida man mano che sprofondavo. Aperti gli occhi, vidi un meraviglioso color cobalto che si faceva sempre più cupo man mano che ruotava intorno a me. Provai l’impulso, dettato dal panico, di sfilarmi gli stivali, ma questo mi avrebbe fatto risalire troppo in fretta, quindi riempii invece la mia mente della meraviglia suscitata dai colori e del ricordo dei corpi indistruttibili che avevo visto costellare i mucchi di rifiuti intorno alle miniere di Saltus… cadaveri che sprofondavano per sempre nell’azzurro golfo del tempo.
Lentamente e senza sforzo, ruotai fino a riuscire a scorgere la carena marrone della barca del capo villaggio sospesa sopra di me. Per un momento, quella macchia marrone ed io sembrammo raggelati nelle nostre posizioni: io giacevo sotto di essa così come gli uomini morti giacciono sotto l’uccello da preda che, riempiendo le sue ali di vento, sembra librarsi appena al disotto delle stelle fisse.
Poi, con i polmoni che minacciavano di scoppiare, cominciai a risalire.
Come se fosse stato un segnale, udii allora la prima esplosione, un cupo e distante rombo. Nuotai verso l’alto come fanno le rane, udendo altre esplosioni, ciascuna apparentemente più acuta della precedente.
Quando la mia testa emerse dall’acqua, vidi che la poppa della barca si era aperta e che i fasci di canne si stavano sparpagliando come scope di paglia. Un’esplosione secondaria alla mia sinistra mi assordò per un attimo e mi coprì la faccia di schizzi che pungevano come grandine. L’arciere si stava dibattendo nell’acqua non molto lontano da me, ma il capo villaggio (che teneva ancora stretta, come notai con gioia, Terminus Est), Pia e gli altri erano aggrappati a quanto rimaneva della barca, che galleggiava ancora grazie alla resistenza delle canne, anche se la parte più bassa era immersa nelll’acqua. Cercai di spezzare con i denti le corde che mi legavano i polsi fino a quando due degli isolani mi aiutarono a salire sulla loro imbarcazione ed uno di essi tagliò i miei legami.
XXXI
IL POPOLO DEL LAGO
Pia ed io trascorremmo la notte su una delle isole galleggianti, dove io, che avevo amato tanto spesso Thecla quando era prigioniera ma non incatenata, amai Pia che era invece incatenata ma libera. In seguito, lei rimase distesa sul mio petto e pianse di gioia… non tanto, credo, per la gioia che potevo averle dato io, quanto per la gioia di essere libera, anche se la sua gente, gli isolani, che non possedevano altri metalli tranne quelli che ottenevano a mezzo di scambi o di razzie dal popolo della riva, non avevano gli attrezzi adatti a rimuovere le sue manette.
Ho sentito dire da uomini che hanno amato molte donne che alla fine essi erano arrivati a notare certe somiglianze fra alcune delle donne amate, ed allora per la prima volta scoprii che questo era vero, in base alla mia esperienza personale, perché il corpo sottile e la bocca avida di Pia mi rammentavano Dorcas. Ma era anche una cosa falsa, in una certa misura: Dorcas e Pia si somigliavano nell’amore così come talvolta si somigliano i volti di due sorelle, ma io non avrei mai confuso l’una con l’altra.
Quando ero arrivato sull’isola mi sentivo troppo stremato per apprezzare appieno la meraviglia che essa costituiva; poi era quasi calata la notte. Ancora oggi, tutto ciò che rammento è che la piccola barca venne tirata in secco e che andai in una capanna dove uno dei nostri salvatori accese un fuoco; là oliai Terminus Est, che gli isolani avevano preso al capo villaggio prigioniero e restituito a me. Ma, quando Urth girò nuovamente il suo volto verso il sole, fu un’esperienza meravigliosa stare in piedi, con una mano appoggiata all’aggraziato tronco di un salice e sentire tutta l’isola rollare sotto di me!
I nostri ospiti cucinarono un po’ di pesce per colazione, e prima che avessimo finito, arrivò una barca che trasportava due isolani con altro pesce e radici vegetali di un tipo che non avevo mai assaggiato prima. Le facemmo arrostire sotto la cenere e le mangiammo ancora calde: il loro sapore somigliava più che ad ogni altra cosa a quello delle castagne.
Arrivarono altre tre barche, poi un’isola con quattro alberi e vele quadrate legate ai rami di ciascuna pianta che la facevano sembrare un’intera flottiglia, se vista in lontananza. Il capitano era un uomo anziano, e costituiva l’autorità più simile ad un capo che quegli isolani possedessero. Il suo nome era Llibio, e, quando Pia me lo presentò, lui mi abbracciò come i padri fanno con i figli, qualcosa che prima di allora nessuno aveva mai fatto con me.
Dopo quell’abbraccio, tutti gli altri, Pia inclusa, si allontanarono da noi per permetterci di parlare privatamente, se tenevamo bassa la voce… alcuni uomini entrarono nella capanna ed il resto (ora erano una decina in tutto) si recò verso il punto più lontano dell’isola.
— Ho sentito dire che tu sei un grande combattente, un uccisore di uomini — iniziò a dire Llibio.
Gli spiegai che ero effettivamente un uccisore di uomini, ma non grande.
— È così. Ogni uomo combatte in risposta… per uccidere altri, eppure la sua vittoria non viene dall’uccidere quegli altri, bensì dall’uccidere una certa parte di se stesso.