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Alla fine si sentirono alcuni passi, tanto rapidi e leggeri che li avrei scambiati per quelli di un bambino. Una voce vagamente familiare chiese:

— Chi c’è? Che cosa vuoi?

— Sono il Maestro Severian — risposi, — dell’Ordine dei Ricercatori della Verità e della Penitenza… Vengo in qualità di braccio dell’Autarca, la cui giustizia è il pane dei suoi sudditi.

— Hai proprio ragione! — esclamò il Dr. Talos, e spalancò la porta. Per un momento, non riuscii a fare altro che fissarlo. — Dimmi, cosa vuole da noi l’Autarca? L’ultima volta che ti ho visto, eri in viaggio per la Città dei Coltelli Ricurvi. Ci sei mai arrivato?

— L’Autarca desiderava sapere perché i tuoi vassalli hanno messo le mani addosso ad uno dei suoi servitori — replicai, — cioè addosso a me. Questo getta una luce vagamente diversa sulla faccenda.

— È vero! È vero! Anche dal nostro punto di vista, devi capirlo. Non sapevo che eri tu il misterioso visitatore giunto a Murene. E sono sicuro che non lo sapeva neppure il povero Baldanders. Vieni, e ne parleremo.

Attraversai l’arcata aperta nel muro ed il dottore richiuse il pesante portale alle mie spalle, facendo scorrere la sbarra di ferro.

— In verità non c’è molto di cui parlare — dissi, — ma potremmo cominciare con quella gemma di valore che mi è stata presa con la forza e che, a quanto mi è stato detto, è stata inviata a voi.

Mentre parlavo, tuttavia, la mia attenzione era lontana dalle parole che stavo pronunciando, attratta com’era dalla massa della nave degli Hieroduli, che si trovava esattamente sopra di me, ora che avevo superato il muro. Tenere lo sguardo sollevato verso di essa mi dava quella sensazione di dislocazione che ho talvolta avvertito nel guardare attraverso la doppia curva di una lente d’ingrandimento; il lato inferiore, convesso, della nave aliena aveva un che di estraneo non solo al mondo degli esseri umani, ma a tutto il mondo visibile.

— Oh, sì — replicò il Dr. Talos. — Baldanders ha il tuo ninnolo, credo. O almeno, lo aveva e lo ha messo da qualche parte. Sono sicuro che te lo restituirà.

Dall’interno della torre rotonda che sembrava sostenere la nave (anche se una cosa del genere sarebbe stata materialmente impossibile) provenne, debole, un solitario e terribile suono che avrebbe potuto essere l’ululato di un lupo. Non avevo più udito nulla del genere da quando avevo lasciato la nostra Torre di Matachin, ma sapevo cos’era e dissi al Dr. Talos:

— Avete dei prigionieri, là dentro.

— Sì — annuì. — Temo che oggi siamo stati troppo occupati per ricordarci di nutrire quelle povere creature, con tutto ciò che è successo. — Agitò vagamente una mano in direzione della sovrastante nave. — Non avrai obiezioni ad incontrarti con alcuni cacogeni, spero, Severian? Se vuoi andare dentro e chiedere a Baldanders di restituirti il tuo gioiello, temo che li dovrai incontrare. Lui è là dentro che parla con loro.

Dissi che non avevo obiezioni, anche se temo di aver rabbrividito interiormente nel dirlo.

Il dottore sorrise, mostrando al disopra della barba rossa la fila di denti candidi ed appuntiti che rammentavo così bene.

— È meraviglioso. Sei sempre stato una persona meravigliosamente priva di pregiudizi. Se posso dirlo, suppongo che il tuo addestramento ti abbia insegnato ad accettare ogni essere per quello che è.

XXXIII

OSSIPAGO, BARBATUS E FAMULIMUS

Come è comune in simili torri, non c’era un ingresso al livello del suolo. Una scala stretta, diritta, ripida e senza ringhiera conduceva ad una porta altrettanto stretta, situata a circa dieci cubiti di altezza al disopra della pavimentazione del cortile. Quella porta era aperta, e fui felice di notare che il Dr. Talos non la richiudeva alle nostre spalle. Percorremmo un breve corridoio, che equivaleva indubbiamente allo spessore della parete, e sbucammo in una stanza che sembrava occupare (come tutte le camere che vidi all’interno di quella torre) tutto lo spazio disponibile a quel livello. Essa era piena di macchinari che mi parvero almeno altrettanto antichi quanto quelli che avevamo nella Torre di Matachin, ma il cui uso andava al di là della mia capacità d’immaginazione. Su un lato di quella stanza, un’altra scala stretta saliva al piano superiore, e, dalla parte opposta, un’oscura scala scendeva verso il luogo, quale che fosse, in cui era rinchiuso il prigioniero che avevo sentito urlare poco prima: infatti sentii ancora la sua voce emergere dall’oscurità sottostante.

— È impazzito — commentai, reclinando la testa in direzione del suono.

— La maggior parte lo sono — annuì il Dr. Talos. — Per lo meno, la maggior parte di quelli che ho esaminato. Somministro loro decotti di elleboro, ma non posso dire che servano a molto.

— Avevamo alcuni clienti come quelli al terzo livello della nostra segreta, perché eravamo costretti a detenerli per via di cavilli legali. Essi erano stati consegnati a noi, capisci, e nessuno che ne avesse l’autorità era disposto ad autorizzare il loro rilascio.

— Simpatizzo con il vostro problema. — Il dottore mi stava guidando verso la scala che saliva.

— Con il tempo, morivano — continuai cocciutamente, — o per le conseguenze delle torture subite o per altre cause. Non si otteneva alcuno scopo valido nel tenerli imprigionati.

— Suppongo di no. Sta’ attento a quell’aggeggio con l’uncino: sta cercando di agganciarti il mantello.

— Perché lo tenete rinchiuso? Non avete obblighi legali nel senso in cui li avevamo noi, ne sono certo.

— Per restare nella parte, suppongo. È per questo che Baldanders conserva la maggior parte di questi aggeggi. — Il Dr. Talos si volse a guardarmi, un piede sul primo scalino. — Adesso ricordati di comportarti bene. Non amano essere chiamati cacogeni, sai. Rivolgiti loro usando i nomi che diranno di avere questa volta, e non fare riferimenti al fango, anzi, in effetti, sarà meglio che tu non parli di nulla di spiacevole. Il povero Baldanders ha lavorato così duramente per rimediare e far la pace con loro dopo aver perso la testa nella Casa Assoluta! Sarà annientato se tu dovessi rovinare tutto proprio quando loro stanno per partire.

Promisi che sarei stato il più diplomatico possibile.

Dal momento che la nave si librava sulla torre, avevo supposto che Baldanders ed i comandanti della nave si trovassero all’ultimo livello, ma mi ero sbagliato. Mentre salivamo al piano successivo udii un mormorio di voci e poi il suono di quella del gigante che mi fece pensare, come mi era accaduto spesso quando viaggiavamo insieme, al crollo di un lontano muro in rovina.

Anche quella stanza conteneva macchinari, ma questi, anche se apparivano altrettanto vecchi quanto quelli al piano di sotto, sembravano però funzionanti ed inoltre collegati, in base a qualche logica ma incomprensibile relazione, gli uni con gli altri, come i congegni nella sala di Typhon. Baldanders ed i suoi ospiti si trovavano all’estremità più lontana della camera, dove la testa del gigante, tre volte più grossa di quella di un uomo normale, si ergeva al disopra dell’ammasso di metallo e cristallo come quella di un tirannosauro che sbucasse dalle più alte foglie di una foresta. Mentre avanzavo verso di loro, notai quel che rimaneva di una giovane donna che avrebbe potuto essere una sorella di Pia, e che giaceva sotto una campana lucente. Il suo addome era stato aperto con una lama tagliente ed alcuni dei suoi visceri rimossi e disposti intorno al suo corpo che sembrava essere nel primo stadio di decomposizione, anche se le labbra si muovevano. I suoi occhi si aprirono mentre le passavo accanto, poi si richiusero.

— Abbiamo compagnia! — annunciò il Dr. Talos. — Non immaginerai mai chi è!

La testa del gigante si volse lentamente, ma mi fissò senza dar mostra di capire, come aveva fatto quando il Dr. Talos lo aveva svegliato, quella prima mattina, a Nessus.