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Ma adesso non potevo farne a meno. Avevo un debito nei riguardi di Callina, e non avevo altro modo di ripagarlo. Dopo il terribile esito di quegli avvenimenti, quando ero fuggito con Marjorie — tutt'e due eravamo feriti, e lei era in fin di vita — era stata Callina ad aprirci le porte della Città Nascosta.

Quella notte, quando eravamo inseguiti dai fucili dei terrestri e dalle lame dei darkovani, Callina aveva rischiato di essere contaminata dai residui radioattivi lasciati dalle vecchie astronavi e aveva rischiato un'agonia lunga e terribile, per cercar di salvare Marjorie. Per lei, purtroppo, era ormai troppo tardi; ma io non me ne sarei mai dimenticato.

Eppure… ripetere in Consiglio tutta quella sgradevole vicenda… Al solo pensiero mi si copriva di sudore la fronte.

Regis disse a bassa voce: «Sei la sola speranza che ci resti, Lew. Trattandosi di te, può darsi che ti diano ascolto».

Io inghiottii a vuoto. Alla fine annuii.

«Cercherò di farlo», promisi.

«Fare che cosa? Cercare di non ubriacarti finché non ci avrai salutati tutti?» scherzò qualcuno.

Era Derik Elhalyn, che si fece strada in mezzo a Regis e a Callina per posarmi allegramente la mano sulla spalla.

«Lew, vecchio mio», disse, «non sapevo che fossi su Darkover finché non sei saltato fuori come uno di quei pupazzi con la molla che tuo padre mi regalava per scherzo! L'ho già detto prima, ma adesso lo ripeto: benvenuto a casa.»

Fece un passo indietro, come se si aspettasse che gli ricambiassi la stretta, poi scorse la mia manica vuota.

«Sono lieto di rivederti», disse in fretta, per superare l'imbarazzo. «Come ci divertivamo, ricordi?»

Io annuii. Mi dispiaceva del suo imbarazzo, ma il ricordo di quei tempi lontani mi fece sorridere.

«E ci divertiremo ancora, spero», dissi. «I falchi degli Elhalyn sono sempre i migliori delle montagne? Sali sempre sui precipizi per rubare le uova?»

«Sì, anche se non trovo quasi mai il tempo», rispose Derik, ridendo. «Ricordi quando abbiamo scalato la parete a nord di Nevarsin, aggrappandoci con le unghie e con i denti?»

Anche ora si interruppe, con un leggero imbarazzo, perché doveva essergli venuto in mente che io, almeno, non avrei più potuto fare quelle scalate. Da parte mia, mi chiedevo che ne sarebbe stato dei Comyn, una.volta che quel ragazzo così simpatico, ma così scervellato, fosse salito alla carica che era sua di diritto. Il Vecchio Hastur era uno statista e un diplomatico, ma Derik? Una volta tanto, mi rallegrai della presenza degli attenuatori telepatici, che impedivano loro di leggermi nei pensieri.

Derik, senza togliermi la mano dalla spalla, mi accompagnò verso il palco degli Hastur.

«Ogni cosa era già stata predisposta prima della morte di tuo padre, come ricorderai, ma Linnell non ha voluto sentir parlare di fissare una data, finché tu non fossi ritornato. Così», terminò allegramente, «adesso ho anche un'altra ragione per rallegrarmi del tuo ritorno!»

Gli sorrisi anch'io, perché ero affezionato a lui. Dopotutto, ragionai, non ero solo: avevo amici e famigliari. Del matrimonio fra Derik e Linnell si parlava fin da quando lei aveva messo via le bambole, eppure avevano aspettato il mio consenso.

«Non ho ancora visto Linnell», gli spiegai. E aggiunsi: «Anche se ho creduto di vederla, non appena messo piede su Darkover».

Mi chiesi se Linnell sapesse di aveva una sosia, nella Zona Terrestre. Mi riproposi di dirglielo: senza dubbio, la cosa l'avrebbe divertita.

Intanto, però, Hastur ci richiamava all'ordine, e io mi misi a sedere in mezzo a Regis e Derik. Rimasi sorpreso nel constatare come fossero pochi coloro che potevano vantare diritti ereditari a un seggio tra i Comyn: contandoli tutti, tra uomini e donne non arrivavano a una quarantina. Eppure, mi parvero un esercito schierato contro di me, quando, a un cenno dell'Hastur, mi alzai per parlare.

Iniziai a parlare lentamente, sapendo che un eccessivo calore avrebbe deposto a mio sfavore.

«Se ho ben capito», dissi, «volete allearvi con l'Aldaran, per riunire tutte le antiche Famiglie Hastur. Contate su questa alleanza per fare la pace con tutti i signori delle montagne e per eliminare le sommosse e gli atti di banditismo che si verificano ai confini. Per ottenere la cooperazione degli Aldaran nel tenere al loro posto banditi, uomini delle foreste e rinnegati, ossia per tenerli sull'altra sponda del Kadarin. Forse anche per commerciare con i terrestri e per ottenere macchine e aerei attraverso Aldaran, senza dover fare troppe concessioni all'Impero stesso.»

Si alzò Lerrys Ridenow.

«Fin qui, le tue parole sono sostanzialmente corrette», disse, in tono affettato. «Ci puoi dare qualche nuova informazione?»

«No», risposi, e mi girai a guardarlo.

Lerrys era l'unico dei fratelli di Diana che meritasse la qualifica di uomo, anche usando il termine in senso ampio. Li avevo conosciuto tutt'e tre sul satellite dei divertimenti, in orbita attorno a Vainwal. Erano delicati, effemminati, eleganti come gatti… e pericolosi come tigri. Avevano sempre cercato di godersi il meglio di tutt'e due i mondi, privilegio loro assicurato dalla loro grande ricchezza e dall'esenzione di cui godevano i Comyn rispetto alle leggi darkovane che vietavano i contatti con l'Impero Terrestre. Tuttavia, dietro i suoi atteggiamenti languidi, quasi femminili, Lerrys aveva la stoffa di un uomo, e perciò meritava una risposta.

«No», ripetei, «ma posso dirti qualcosa di vecchio», spiegai. «L'accordo non funzionerà. Beltran d'Aldaran, personalmente, è una persona corretta, ma ormai è così compromesso con banditi, rinnegati, ribelli e spie mezzosangue che non riuscirebbe a far rispettare la pace con noi neppure se lo volesse. E voi vorreste ammetterlo tra i Comyn?» chiesi.

Allargai le braccia.

«Ma certo», continuai, con ironia. «Ammettete Beltran d'Aldaran, e poi ammettete anche l'uomo che ad Aldaran viene chiamato Kadarin, e poi fate venire da Thendara il Legato Lawton e ammettete anche lui, e chiamate pure il Coordinatore terrestre di Port Chicago!»

Hastur aggrottò la fronte.

«Chi è “Kadarin”?» chiese.

«Be', non lo so», risposi. «Si diceva che fosse un lontano parente degli Aldaran», dissi.

«Come te», mormorò Dyan.

«Sì, e probabilmente è per metà terrestre. È un rivoltoso su qualsiasi pianeta in cui si rechi. L'hanno deportato da almeno due altri mondi, prima che finisse qui. E Beltran d'Aldaran — l'uomo a cui vorreste dare in sposa una Guardiana — ha trasformato il Castello di Aldaran in un rifugio per tutti i rinnegati di Kadarin.»

«“Kadarin” non è il nome di una persona umana», disse Lerrys.

«E io, infatti, non sono sicuro che sia un uomo», risposi. «Viene dai monti dietro Aldaran: sapete che cosa vive in quelle regioni. Uomini delle forge, ma anche uomini gatto, uomini delle foreste e chissà che altro: creature che non sono realmente umane. E Kadarin ha un aspetto sufficientemente umano, finché non gli guardate gli occhi.»

Dovetti fermarmi, inorridito da quel ricordo. Poi, ricordandomi all'improvviso dove fossi, mi feci forza e ripresi a parlare.

«Si è dato nome “Kadarin” in segno di sfida», ripresi. «Nei monti oltre il fiume Kadarin, qualsiasi bastardo viene genericamente definito un “figlio del Kadarin”. Dicono che quell'uomo non ha mai saputo chi fosse suo padre. Quando i terrestri lo interrogarono, diede come nome “Kadarin”. Tutto qui.»

«Allora, lavora anche contro i terrestri», disse Lerrys.

«Forse sì, forse no. Ma è collegato a Sharra.»

«Be', lo eri anche tu», disse Dyan Ardais. «Ma adesso sei qui.»

Mi sollevai di scatto, facendo cadere la sedia.

«Sì, maledizione!» esclamai. «Perché credi che mi assoggetterei a tutto questo, se non sapessi che male è? Pensi che il pericolo sia scomparso? Se potessi mostrarvi un luogo dove, ancora adesso, la forza di Sharra è fuori controllo — a neppure dieci miglia da qui — allora rinuncereste a questa folle alleanza?»