Liberai dall'isolante la matrice, e sentii di nuovo il suo familiare tepore. Era una gemma di forma ovale, azzurra, con sottili pagliuzze dorate all'interno, e con qualche inclusione chiara, alla superficie, che pareva accendersi e spegnersi.
«Gli zaffiri dell'impugnatura», spiegai, «sono sensibilizzati, e ripetono lo schema di forze della matrice, per fare da secondo fuoco. La pietra ha sensibilizzato anche le mie reazioni nervose, e…»
M'interruppi. Che sorta di idiozia, di desiderio di punirmi con le mie mani, me l'aveva fatta riportare su Darkover? Stavo riaprendo volontariamente le porte dell'inferno che Kadarin aveva spalancato per me.
«Ma che cosa intendi fare, esattamente?» chiese Derik.
Cercai di trovare una spiegazione facilmente comprensibile.
«In tutti gli Hellers e qua e là per le Pianure», spiegai, «ci sono dei punti ancora “attivi”, come quello di cui vi parlavo, che è a una ventina di miglia dalla Città Nascosta. Sono stati caricati d'energia mentale — non saprei dire da quale dei precedenti possessori della matrice — per rispondere alle vibrazioni specifiche della dea Sharra. Quei punti si possono utilizzare per attingere alla forza di Sharra.»
Nessuno mi rivolse la domanda che temevo maggiormente: Che cos'è Sharra? Avrei dovuto rispondere che non lo sapevo. La tradizione dice che è la dea del fuoco, trasformatasi in diavolo. Io non volevo discutere la natura di Sharra. Io volevo soltanto tenermene lontano.
E quella era la sola cosa che non potevo fare.
Il Vecchio Hastur s'impietosì di me, e proseguì al posto mio.
«Una volta che un certo luogo è stato messo in risonanza con la matrice di Sharra, e con le forze che chiamiamo “Sharra” — come è stato fatto in passato in quei luoghi — vi rimane un residuo di energia mentale, e quel punto è facilmente riattivabile.
«Lew», proseguì, «ha tenuto con sé la matrice per tutti questi anni, nella speranza di poter trovare quei punti, mediante la loro risonanza con la matrice stessa che li ha attivati, e di togliere loro l'energia residua.
«Una volta scoperti e “scaricati” tutti i punti attivi, la matrice può essere tenuta sotto controllo da un normale schermo delle Torri oppure può essere disattivata e distrutta. Ma neppure un Alton riuscirebbe a fare quel tipo di lavoro senza un secondo centro. Non basta un solo corpo per sopportare una vibrazione così intensa.»
«E il secondo centro sono io, se sopravvivo», disse Marjus, con impazienza. «Possiamo procedere?»
Gli rivolsi un'occhiata, in fretta; poi, senza altri preliminari, entrai in contatto con la sua mente.
Non c'è modo di descrivere il primo impatto di un rapporto mentale. L'accelerazione di un jet alla partenza, un pugno al plesso solare, un tuffo nell'ossigeno liquido: potrebbero darne l'idea, se faceste tutt'e tre queste esperienze nello stesso tempo. Sentii che Marjus, sotto la scossa, si afflosciava letteralmente sulla sella, e che tutte le difese della sua mente si concentravano nel compito di allontanarmi. La mente umana non era fatta per quel genere di esperienze. Un istinto cieco gli faceva alzare quelle barriere; una mente normale sarebbe morta a causa del solo sforzo occorrente per offrire quel tipo di resistenza.
Tutto si riduceva a una semplice alternativa: se aveva ereditato la Dote degli Alton, sarebbe sopravvissuto, se non l'aveva ereditata, sarebbe morto.
Interiormente, io ero totalmente concentrato su Marjus, ma, esteriormente, ogni particolare dell'ambiente che mi circondava giungeva con grande precisione ai miei sensi, come se fosse inciso con l'acido; il sudore freddo che mi scorreva lungo la schiena, la pietà sul viso del vecchio Reggente, le facce dei presenti. Sentivo gemere Lerrys.
«Fermateli!» diceva. «Fateli smettere! Si stanno uccidendo tutt'e due!»
Per un istante, provai un dolore così grande che temetti di essermi messo a gridare. Sentii la tensione di un arco teso, piegato fino al punto in cui si sarebbe dovuto rompere, e poi ancora e ancora, finché anche la rottura e la morte sarebbero state un sollievo indescrivibile.
In quel momento, Regis Hastur scattò come una molla; prese dalle mani del Reggente l'impugnatura della spada, con le sue gemme accordate su Sharra, e la infilò a viva forza nella mano di Marjus. Sentii sparire ogni dolore dalla mente di mio fratello, sentii i suoi pensieri mettersi a fuoco, sovrapporsi e integrarsi. La trasformazione si allargò a tutto il cervello, come le onde circolari fatte da una pietra caduta in uno stagno. In breve, la sua mente fu ferma e salda, capace di resistere alla mia.
Un Alton! Nelle sue vene scorreva una parte di sangue terrestre, ma era un vero Alton, e mio fratello!
Il mio respiro di sollievo si trasformò quasi in un singhiozzo. Non c'era bisogno di parole, ma le dissi ugualmente.
«Tutto a posto, fratello?» chiesi.
«Certo», rispose, e abbassò gli occhi sull'impugnatura di spada che aveva in mano. «Dove diavolo ho preso questa cosa?»
Gli consegnai la matrice di Sharra, e contrassi i muscoli, in attesa della familiare sensazione di dolore; ma, quando Marjus la toccò, non sentii altro che l'abituale contatto telepatico. Tornai a respirare.
«Fatto», dissi. «Allora, Hastur?»
Il Reggente fece un inchino a Marjus, con grande serietà; un segno ufficiale di riconoscimento. Poi mi disse: «A te il comando».
Mi guardai attorno, osservando gli uomini a cavallo che ci accompagnavano.
«Alcuni dei punti attivati sono qui vicino», dissi, «e più presto li scaricheremo, più presto saremo al sicuro. Ma…»
M'interruppi. Tutto preso dall'orrore di quanto dovevo fare a mio fratello, non avevo pensato a chiedere una scorta. A quanto pareva, però, non era venuto in mente neppure agli altri. Oltre ai due Hastur, a Dyan, Derik e ai fratelli Ridenow, c'erano solo cinque o sei guardie.
«A volte», riflettei a voce alta, «gli uomini delle foreste si spingono così vicino alla Città Nascosta.»
«Non se ne sono più visti, dopo la campagna di Narr», disse Lerrys, con distacco.
Il suo pensiero, però, mi giunse chiaramente: Siete stati tu e i tuoi amici di Sharra a scatenarli contro di noi. Poi ve la siete squagliata, ed è toccato a noi combattere!
«Eppure…» Alzai gli occhi, verso gli alberi. Era sicuro allontanarsi così tanto, con così pochi uomini? Gli uomini delle foreste sono una razza intelligente originaria di Darkover, e alcune loro tribù, nelle valli più isolate, sono pacifici umanoidi che costruiscono i loro villaggi sugli alberi, e attaccano l'uomo soltanto se gli vedono accendere un fuoco. Ma quelli delle zone intorno ad Aldaran sono una razza mista, frutto di incroci risalenti all'Epoca del Caos — quando una scienza delle matrici, ormai dimenticata, permetteva quel genere di interventi che i terrestri chiamano “ingegneria genetica” — e sono pericolosi.
Alla fine mi strinsi nelle spalle.
«Se non avete paura voi», dissi, «allora non l'ho neanch'io.»
Dyan mi guardò e sorrise ironicamente.
«Tu e tuo fratello vi siete vantati di poter fare una cosa», disse. «Hai paura che qualcuno ti chieda di mantenere la promessa?»
Chiaramente, era indispettito dal fatto che Marjus fosse riuscito a resistere, sotto la mia mente, e non fosse morto.
Rivolsi a Marjus un'occhiata interrogativa, ed egli annuì. Tutti insieme, ci avviammo verso l'ombra sotto gli alberi.
Per ore cavalcammo in mezzo alla foresta, e per tutto il tempo continuai a concentrarmi sui punti di potere che riuscivo a percepire grazie alla matrice. Il mio corpo e la mia mente cominciavano a essere stanchi: non ero più abituato a quel prolungato sforzo mentale, e, per di più, non andavo a cavallo da quando avevo lasciato Darkover. Certa gente parla del potere della mente sulla materia, ma in realtà il rapporto è quello inverso. Una schiena indolenzita impedisce la concentrazione con la stessa efficacia di un attenuatore telepatico.